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Una mostra blasfema nella chiesa del vescovo. E la chiamano arte

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Nella chiesa del museo diocesano di Carpi una mostra di un artista locale suscita reazioni indignate: blasfemi i quadri con Gesù, la Madonna e la Maddalena. La Bussola ha visto le opere, la guida ammette la provocazione. Ma c'è l'inganno dei curatori diocesani che spacciano per arte sacra dei sacrilegi. Il vescovo Castellucci dovrà risponderne.

Ecclesia 04_03_2024 English Español

«Ma è proprio quella roba lì?». Il visitatore della mostra rimane interdetto quando vede il quadro posto ai piedi dell’altare maggiore della chiesa di Sant’Ignazio di Carpi. Sembra non voler credere ai suoi occhi. Lo guarda e lo riguarda, ci va vicino, lo scruta da una prospettiva diversa. Poi, meditabondo, tra lo scandalizzato e l’indignato, esclama a gran voce: «Ma è un rapporto orale!».

Come nella fiaba del “re nudo” anche a Carpi ci vorrebbero più persone disposte a chiamare le cose col loro nome invece di nascondersi dietro i lambiccamenti di supercazzole artistiche come quella che sta andando in scena da sabato al Museo Diocesano. Qui, proprio nella chiesa ancora consacrata di Sant’Ignazio, è stata allestita e inaugurata una mostra di un artista locale, tale Andrea Saltini (in foto). 

Mostra che si chiama Gratia Plena e che ha l’ambizione di definirsi di arte sacra, anche se di sacro - visitare per credere - nei quadri esposti non c’è neanche una parvenza lontana. Né che molto religioso sembri l’artista stesso, che nell’intervista sul catalogo, intitolata Il dubbio come sistema di credenze, viaggia tra l’ateismo, la ricerca di spiritualità, la lotta col divino e la sua attrazione, in un miscuglio di idee, molte e pure confuse.  

Il quadro che sta scandalizzando e indignando ritrae un Cristo in croce perfettamente riconoscibile dalla scritta INRI (che dà il nome all’opera in gesso, cera e argilla pigmentata) e dai segni dei chiodi sui piedi. Solo che davanti al Cristo c’è un uomo che ha il volto completamente rivolto verso le parti intime di nostro Signore (Dio ci perdoni l’ardire delle parole, ma quello è) che non è nemmeno rivestito di un misero straccio. La mano destra è nascosta dietro le cosce del Redentore, mentre la sinistra si allunga fino a premere il costato di Gesù.

Trattandosi di arte figurativa, anche se dallo stile urbano, a chiunque la guardi, l’immagine restituisce proprio quella cosa lì, che se applicata alla figura del Salvatore mette in moto nei sentimenti dei visitatori un'istintiva ripugnanza.

Ma come è possibile? Una fellatio in una chiesa e su un quadro che raffigura Gesù Cristo? In pochi minuti (l’inaugurazione è avvenuta alle 18.30 alla presenza dell’artista e dei curatori, tale don Carlo Bellini e Cristina Muccioli) l’immagine fa il giro della diocesi e anche oltre. Gira di chat in chat e arriva anche alla vista della Bussola.

Ieri mattina siamo andati a controllare armati di macchina fotografica, convinti che una spiegazione razionale dovrà pur esserci. Invece…

Invece, una volta entrati, siamo stati condotti nel tour della mostra, che occupa tutto lo spazio sacro della chiesa che è a pianta centrale, da una gentile e giovane guida, con il compito di illustrare le opere, descriverne le caratteristiche e soprattutto svelare che cosa l’immagine dovrebbe rappresentare secondo le intenzioni dell’artista.

Eh sì, il punto è proprio questo: trattandosi di arte contemporanea, il concettualismo ha la meglio su tutto, quindi tutto quello che si vede non è altro che un pretesto per dire tutt’altro, rappresentare ciò che nemmeno si sarebbe immaginato in un vortice cervellotico e astruso dove alla provocazione dell’artista si unisce l’inganno dei curatori nel voler rappresentare una cosa, ma dandole un significato diverso, cosicché il visitatore non sa se essere più ignorante perché non entra nel cervello dell’artista oppure più scemo perché non si è accorto di essere stato ingannato.

IL QUADRO “INRI”
Allora, arrivati al quadro INRI la spiegazione dataci
dalla guida è la seguente: «Si tratta di Longino (il centurione ndr.) che schiaccia la costola di Gesù». Ora, a parte che il centurione la costola di Gesù la trafigge e non la schiaccia (come la mettiamo con la Scrittura “non gli sarà spezzato alcun osso”? ), ma queste licenze sono il minore dei problemi. Il punto è dove il presunto Longino mette la faccia. Proprio lì, nell’impensabile e ardito intimo.

Facciamo notare sommessamente alla guida che la vista offre tutt’altra idea di una semplice operazione di schiacciamento di costole. Qualcosa di sconcio, ad esempio, di blasfemo, di profondamente sacrilego. Lei sorride a denti stretti: «Bè, potrebbe… del resto quello di provocare è uno degli intenti dell’artista». Dunque, abbiamo la certezza che quell’immagine, pur volendo dichiaratamente rappresentare il centurione, potrebbe anche rappresentare nella provocazione di Saltini quell’atto lì che ci siamo stancati di immaginare.

Ovviamente è questa una delle tecniche dell’inganno che viene offerto agli ignari visitatori che, entrati in una chiesa, si aspettano di tutto, tranne lo choc: dire e non dire, dissimulare, lasciar intendere ma senza dichiarare, lasciar vedere ma senza indicare.

Ma come la mettiamo con le altre opere? A fianco del quadro INRI c'è un «omaggio dell'artista a Caravaggio»: Gesù è biondo ossigenato con indosso una tutina attillata da gay pride mentre a sorreggerlo ci sono dei personaggi svestiti. Perché? Sembra una Deposizione, ma Saltini ha chiamato il quadro Ascensione incurante evidentemente che per fare arte sacra debba esserci almeno una conoscenza elementare dell'iconografia cristiana.

IL QUADRO “GRATIA PLENA”
Si scopre che la volontà di provocare
si ritrova anche in altri quadri. In Gratia Plena (foto), ad esempio, che dà il nome alla mostra, vediamo un trittico che raffigura una donna in tre sequenze che viene spogliata o comunque fatta oggetto di attenzioni morbose di uomini con in testa una specie di scafandro.

La spiegazione della guida, imbeccata dall’artista, è questa: «Il quadro raffigura la Vergine che viene spogliata dai farisei che vogliono indagare il suo concepimento virginale, ma in realtà lei si sta vestendo con un’armatura». Insomma, tra la folle pretesa di immaginarci la scena e la blasfema idea di una ispezione ginecologica, colpisce la sensualità della Madonna proposta, soprattutto nell’immagine centrale dove sono in evidenza le forme sinuose di un corpo che viene guardato con prurito misto a invasività.

Davvero un museo diocesano si merita di vedere rappresentata la Madonna con questo occhio da guardone? Davvero si può tollerare per un vescovo che dà il via libera ad una mostra in uno spazio sacro, che si insinuino dubbi sul concepimento virginale della Madonna prendendo a pretesto l'episodio inventato e assente nella Scrittura dell’ispezione farisaica nel suo corpo?

IL QUADRO “NOLI ME TANGERE”
Ambiguità e sguardo sempre rivolto a qualcosa di carnale sono anche nell’opera che raffigura una donna in intimo, da cui si vede chiaramente qualche nudità di gambe, braccia e parte del seno, che accoglie nel suo ventre un uomo lacero e quasi morente, anch’egli nudo. «Il quadro si chiama noli me tangere, che è la frase che Gesù dice alla Maddalena (non mi trattenere ndr.) però l’artista ha voluto raffigurare la lavanda dei piedi». Per la verità l’immagine non richiama né l’iconografia del Noli me tangere, dove il Cristo è risorto, né la lavanda dei piedi, come è ovvio constatare. Però il messaggio che se ne ricava unendo la vista e la descrizione fatta è quella di un Cristo che si abbandona tra le braccia della Maddalena quasi senza vita. Blasfemia? Follia? Giudichi il lettore.

Quel che è certo è che oltre che al puro gusto della provocazione, obbiettivo centrato da Saltini con queste opere, è chiaro che siamo di fronte anche ad un inganno proposto dall’artista e sposato dai committenti e promotori la mostra, cioè la Diocesi di Carpi.

L'arte figurativa può essere simbolica o allegorica, ma non può mai figurare l'opposto che dichiara. L’inganno nel quale si fa cadere il visitatore e pure il fedele consiste nella gravità di ripiegare il sacro evocando immagini pruriginose a cui si accosta una sessualità carnale e contro natura, al limite – nel caso della crocifissione – della violenza.

La pretesa dell’artista contemporaneo di obbligare lo spettatore ad entrare nel suo codice di linguaggio tutto soggettivo, sganciato da ogni tipo di razionale simbolico minimamente condiviso e codificato, è qualcosa di estremamente spaesante, oltre che disturbante i sensi di persone minimamente dotate di un po’ di raziocinio e sensibilità.

Davvero c’è bisogno che la Chiesa sposi operazioni di voyerismo pittorico capaci soltanto di profanare il sacro e turbare occhi e coscienza? Sarebbe interessante chiederlo all’artista, ma non abbiamo ricevuto risposta alla nostra richiesta. E forse anche al vescovo di Modena Erio Castellucci, che ha dato il via libera alla kermesse, forse senza neanche sapere di che cosa si trattasse.