Morto un Papa, parla il segretario (sfrattato)
A breve mons. Gänswein sarà "sfrattato" dal monastero Mater Ecclesiae, scrive Die Zeit. Potrebbe essere l'epilogo delle polemiche scaturite dal libro dell'arcivescovo tedesco. Che intanto ha smentito la narrazione sulla piena continuità tra i due pontificati.
Avviso di sfratto per monsignor Georg Gänswein? Lo scrive il settimanale Die Zeit secondo cui il segretario particolare di Benedetto XVI sarebbe stato invitato a lasciare definitivamente il monastero Mater Ecclesiae entro il 1° febbraio. Un ordine arrivato direttamente dal Papa con un biglietto scritto a mano, antica consuetudine dei successori di Pietro non dismessa dall'attuale.
Potrebbe essere il clamoroso epilogo della resa dei conti a distanza che c'è stata tra i due all'indomani della morte di Benedetto XVI, con l'arcivescovo tedesco a dare voce ai sospetti di una coabitazione non sempre facile dopo la rinuncia del 2013 e Francesco pronto a replicargli indirettamente nei discorsi pubblici con il richiamo a fermare il «chiacchiericcio letale».
Nient'altro che la verità, il libro-bomba che il prefetto della Casa pontificia ha firmato con il giornalista Saverio Gaeta, è uscito ufficialmente ieri ed è già un best seller. Quasi inevitabile visto il traino della partecipazione collettiva alla morte di Benedetto XVI e le polemiche scaturite dall'uscita delle prime anticipazioni. Leggendolo, l'impressione è che davvero il segretario del Papa emerito abbia parlato a cuore aperto raccontando il dietro le quinte di alcune delle pagine più importanti della storia degli ultimi due pontificati.
È scorretto, infatti, dire che il testo di Gänswein sia contro il Papa o addirittura che sia funzionale a farlo diventare capofila dei suoi oppositori. Ad escludere quest'ultima ricostruzione, in particolare, basterebbe rilevare il fatto che l'autore non è affatto tenero con diverse personalità superficialmente annoverate da un certo tipo di stampa e di saggistica nella schiera degli antibergogliani: nella versione riportata sull'affaire relativo all'uscita di Dal profondo del nostro cuore con un contributo di Benedetto XVI poco prima della pubblicazione dell'esortazione sul Sinodo dell'Amazzonia, Gänswein non è stato certo clemente con il cardinale Robert Sarah a cui attribuisce in qualche modo la responsabilità di aver voluto forzare la mano al Papa emerito per la gestione di quell'operazione editoriale e anche delle successive polemiche.
L'iniziativa di pubblicare il volume a difesa del celibato sacerdotale a doppia firma è stata considerata una manna dal cielo dal mondo cattolico preoccupato per le posizioni emerse nel Sinodo sull'Amazzonia, ma il segretario particolare – che attribuisce lo stesso pensiero al Papa emerito – ha confessato nel suo libro la sua contrarietà all'epoca proprio perché desideroso di evitare di dare l'idea che Benedetto XVI facesse pressione sul suo successore. Una rivelazione, dunque, che certamente non gli fa buona "pubblicità" in quel fronte che – secondo decine di articoli pubblicati in questi giorni – aspirerebbe a guidare.
Bisogna dire poi che le confessioni del segretario particolare non riguardano solo fatti successivi al marzo 2013 ma toccano anche punti salienti del pontificato ratzingeriano: nel racconto della nomina del segretario di Stato, ad esempio, l'autore non fa certamente fare una bella figura al cardinale Tarcisio Bertone di cui viene presentata la presunta smania ad arrivare a quell'incarico, attribuendo persino commenti ironici di Ratzinger sull'ambizione del suo collaboratore di lungo corso. Così come poco lusinghiero è il giudizio che Gänswein dà dell'esperienza di governo di Bertone.
E a proposito dell'ex segretario di Stato, il prefetto della Casa pontificia fornisce la sua versione anche sulla sfiducia a Ettore Gotti Tedeschi dallo Ior comunicata a Benedetto XVI proprio dal primo ministro e che l'allora Pontefice regnante – a suo dire – «aveva esplicitamente approvato». Una ricostruzione ben diversa da quella a conoscenza del banchiere che in questi quasi dieci anni non ha nascosto il suo profondo legame con il pontificato ratzingeriano ed il disagio nella stagione bergogliana. Sebbene Gotti Tedeschi abbia risposto signorilmente su Stilum Curiae ribadendo affetto per Gänswein ed abbia ricordato una vecchia intervista di quest'ultimo al quotidiano Il Messaggero nella quale aveva parlato della sorpresa di Benedetto XVI per l'atto di sfiducia (sulla quale, secondo l'arcivescovo, ci sarebbe stata «un'errata interpretazione» dell'intervistatore), c'è da immaginare che quanto pubblicato in Nient'altro che la verità difficilmente possa aver fatto piacere ad un altro dei presunti oppositori di Bergoglio.
Alla luce di tutto ciò, è piuttosto evidente che presentare il libro scritto con Saverio Gaeta come una specie di discesa in campo contro Francesco per compattare i cosiddetti ratzingeriani sia non solo superficiale, ma anche sbagliato. Gänswein ha semplicemente dato la sua versione della verità dei fatti. Se lo avesse fatto solo sugli anni del pontificato ratzingeriano forse non ci sarebbero state polemiche di questo livello con scenari descritti da guerra civile nella Chiesa. A dar fastidio è che il segretario particolare abbia detto la sua anche sul rapporto con il Papa attualmente regnante e con il quale ha collaborato da vicino fino al gennaio del 2020 in qualità di prefetto della Casa pontificia.
Il ritratto di Francesco che emerge nelle parti relative ai loro incontri è quello di un Pontefice decisionista, perfettamente consapevole del potere che riveste. Ad esempio, quando dopo il caso del libro di Sarah, Bergoglio intimò al suo sottoposto di non presentarsi più a lavoro, pur potendo mantenere formalmente l'incarico. Gänswein, scioccato, gli replicò che non lo accettava umanamente ma si sarebbe adeguato in obbedienza. «Questa è una bella parola. Io lo so perché la mia esperienza personale è che accettare in obbedienza è una cosa buona», gli fece di rimando Francesco. O ancora, quando il prefetto si lamentò per non essere stato voluto nella visita a Sant'Egidio e il Papa si scusò ma non senza aggiungere che «le umiliazioni fanno molto bene».
Insomma, il racconto dell'arcivescovo tedesco conferma che i due non si prendessero troppo. Non era facile, d'altra parte, che una figura così identificata con il Papa precedente - peraltro ancora in vita e in Vaticano – potesse divenire un fedelissimo del suo successore che presenta – come disse Ratzinger – «differenze di stile e di temperamento». Tuttavia, c'è da riconoscere a Francesco che in questo caso ha dimostrato sensibilità nei confronti del suo predecessore, tenendo il suo segretario particolare in quell'incarico comunque importante in Curia nonostante – come è abbastanza evidente – non lo amasse.
Questa situazione si mantenne non senza difficoltà fino al gennaio 2020 e all'esplosione del caso Sarah, quando Gänswein diventò un «prefetto dimezzato» e venne destinato esclusivamente all'assistenza di Benedetto XVI. «Faccia scudo», gli ordinò emblematicamente Francesco e Benedetto XVI, apprendendolo, commentò con la sua solita ironia bavarese («Sembra che Papa Francesco non si fidi più di me e desideri che lei mi faccia da custode»). Non si limitò solo a questo ma prese carta e penna e scrive al suo successore per sollecitare un intervento in favore del suo segretario particolare. Che non arrivó. Non fu l'unica occasione in cui, nel racconto che fa l'autore, Ratzinger mosse quelle che potremmo definire obiezioni al suo successore.
Si può discutere sull'opportunità o meno di renderle pubbliche ora e non alla fine del pontificato, quando il rapporto tra il regnante e l'emerito sarà materia per gli storici anziché per le tifoserie. Lui stesso deve aver nutrito qualche dubbio sulla tempesitica se è vero, come ha scritto l'"amico" Die Tagespost ieri, che l'arcivescovo ha provato a convincere l'editore a bloccare la rapida pubblicazione del libro. E tuttavia Gänswein ha raccontato nient'altro che la sua verità, non ha attaccato il Papa.
Per questo gli attacchi che sta subendo in questi giorni e incentrati quasi a volergli negare il diritto a farlo e persino mirati a richiedere una punizione ad personam per averlo fatto appaiono espressione di un modo di concepire la Chiesa ben lontano da quel "cammino della franchezza" richiamato da Francesco. L'udienza concessagli lunedì dal Papa sarà stata probabilmente l'occasione per un confronto all'insegna della parresia tra i due e vedremo nelle prossime settimane o mesi quale sarà il futuro deciso per l'ex segretario particolare di Benedetto XVI.
Intanto, il libro di Gänswein sembra aver prodotto un dato oggettivo con cui tutti gli addetti ai lavori dovranno fare i conti: la persona più vicina a Ratzinger ha smentito la rappresentazione di due pontificati in piena continuità. È un elemento che non va lasciato in preda alle tifoserie – anche perché la discontinuità è legittima nel recinto di Pietro ma la circostanza eccezionale di un ex Papa vivente e parlante ha reso evidentemente problematico affermarlo – ma che non può essere taciuto.