Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
nuovo paradigma

Morale creativa: la toppa di McElroy è peggiore del buco

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Il porporato accusa un'eccessiva sorveglianza sui peccati sessuali e omosessuali. Accusa smentita semplicemente sfogliando il Catechismo. Semmai è lui ad averli così a cuore, che sdogana tutto in nome di una pastorale che finisce per giustificare qualsiasi comportamento perché alla fin fine Dio perdona tutti. Ma senza conversione sparisce anche la misericordia tanto invocata e tanto fraintesa.

Ecclesia 07_03_2023

Il cardinale McElroy risponde ai suoi critici in merito al peccato di natura sessuale, all’Eucaristia, agli LGBT e ai divorziati/risposati cattolici. Questo il titolo dell’articolo del 2 marzo scorso apparso sulla rivista dei gesuiti America a firma del cardinale di San Diego Robert McElroy in risposta alle critiche piovute dopo la pubblicazione di un altro suo articolo in cui apriva alla comunione per i divorziati risposati e ai gay (qui un nostro commento).

Secondo McElroy, qui sta il nocciolo della sua replica, l’approccio al tema dei peccati de sexto dovrebbe essere più pastorale che dottrinale. Ed esplicita così il suo pensiero su questo punto: «l'attributo centrale di Dio in relazione a noi […] è la misericordia. […] Gesù Cristo […] non esige prima un cambiamento di vita, ma inizia con l’abbraccio dell'amore divino». Affermazione non condivisibile. Dio con la sua misericordia ti perdona se ti fai perdonare, ossia se ammetti di aver sbagliato e quindi decidi di non peccare più e di riparare al male commesso. Senza queste condizioni “costringiamo” Dio a tenere il suo perdono solo per sé, senza che questo investa con la sua misericordia il peccatore. Gesù, per riprendere l’immagine del cardinale, ci vuole abbracciare, ma solo se ci lasciamo abbracciare, ossia solo se decidiamo di cambiare vita abbandonando il peccato.

Gesù ci accoglie a braccia aperte per richiuderle su di noi, ma posto che ci siano le condizioni per ricever quell’abbraccio, ossia che camminiamo nella direzione di quell’abbraccio, non nella direzione opposta a quella braccia spalancate. È la parabola del figliol prodigo: il padre riesce ad abbracciare il figlio perché è tornato alla casa del padre, ossia letteralmente si è convertito, ha fatto una inversione ad U nella sua vita, abbandonando il peccato e correndo verso il padre. Dunque, contrariamente a ciò che pensa il cardinal McElroy, Gesù esige, prima dell’abbraccio e in realtà contestualmente a questo, un cambiamento di vita perché condicio sine qua non perché possa abbracciarci, altrimenti il Signore finirebbe per abbracciarci a forza, cioè contrariamente alla nostra volontà che ripudierebbe quell’abbraccio e si volgerebbe altrove, lontano da Gesù.

Analoghe considerazioni si possono articolare laddove il cardinale appunta: “Cristo rivela per primo l'amore misericordioso e sconfinato di Dio. Poi si muove per guarire la particolare forma di sofferenza che la persona sta vivendo. E solo allora chiama specificamente la persona a cambiare la sua vita”. La dinamica dell’amore di Dio non può essere precisamente questa, perché Dio non può violentare la libertà umana, ossia non può guarire chi non vuole guarire, chi non vuole cambiare vita. Poi, senza dubbio, la persona sarà in grado di cambiare vita grazie soprattutto all’amore di Dio. Ma ricevere l’amore di Dio che guarisce comporta amare Dio e non si può amare Dio senza amare ciò che ci comanda. Gesù è esplicito sul punto: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. […] Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama» (Gv 14, 15 -21). Quindi condizione per amare Dio e così accogliere il suo amore salvifico è accogliere e mettere in pratica i suoi comandamenti.

Infine il cardinale scrive: «Ogni discepolo incontra alcune circostanze enormemente complesse che con costanza gli impediscono di vivere l'insegnamento della Chiesa nella sua pienezza. Tra questi vi sono coloro che sono divorziati risposati o membri sessualmente attivi delle comunità LGBT». Le cose non stanno così. Uscire dalla condizione di peccato mortale per vivere in stato di grazia è sempre possibile. In qualsiasi circostanza Dio può donare la grazia sufficiente per abbandonare il peccato, perché Dio è più potente di qualsiasi difficoltà. Affermare che ci sono situazioni in cui c’è un impedimento insuperabile a vivere il Vangelo significa svilire l’onnipotenza di Dio. È Lui che rende possibile quello che ad occhi umani sembra impossibile. In altri termini, dobbiamo ricordare che è impossibile che esistano situazioni in cui fare la volontà di Dio diventa impraticabile, situazioni, perciò, in cui necessariamente si compie il male, perché Dio non può comandare l’impossibile e non può costringere nessuno a vivere in uno stato di peccato mortale.

Inoltre, se così fosse, la necessità di compiere alcuni atti moralmente riprovevoli escluderebbe la libertà e quindi dovremmo concludere che i divorziati risposati non scelgono di sposarsi civilmente o di avere rapporti sessuali ma vi sono costretti da necessità, così anche per gli omosessuali nel compiere rapporti carnali. Ciò è palesemente falso. In aggiunta, dovremmo giungere alla conclusione che, dal momento che quegli atti contrari all’ordine voluto da Dio sono inevitabili a motivo di alcune circostanze avverse, allora non sono imputabili alle persone, sono stati cioè compiuti senza colpa. Ma se costoro sono senza colpa, allora non ci sarebbe peccato e non avrebbe senso chiedere loro di pentirsi e, parimenti, di invocare la misericordia di Dio.

Ecco allora che McElory pare intendere la pastorale come una giustificazione dottrinale del male praticato perché Dio, alla fine, perdona tutti anche chi non si pente. La pastorale allora confermerebbe nella teoria ciò che nella prassi avviene in contrasto con il volere di Dio. Una pastorale giustificatrice dell’iniquità, una pastorale che ratifica il male. La solita storia: è moralmente lecito ciò che accade nella società in modo diffuso.

Arriviamo alle conclusioni. Al di là dei singoli passaggi dell’articolo di America che qui solo in parte abbiamo analizzato, è importante sottolineare questo elemento di fondo: quella che propone il cardinale non è teologia cattolica. Sono i fondamenti, i punti di partenza ad essere antitetici alla dottrina cattolica. E così il porporato propone un primato della pastorale sulla dottrina, un primato della coscienza soggettiva sulla verità oggettiva, una ragione che non è mensura della morale, una teoria della giustificazione che prescinde dai meriti. È  come tentare di giocare a calcio con un avversario che usa regole diverse da quelle della Fifa. Oppure, con un esempio più aderente al tema trattato, è come giudicare un imputato non secondo i criteri che attengono alla gravità dell'illecito e alla responsabilità personale, ma secondo le regole del buonismo che impone di assolvere tutti, anche chi non vuole farsi assolvere.