La summa di eresie del cardinal McElroy
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In un articolo su America, la rivista dei gesuiti, il card. McElroy guarda con favore a diaconato femminile, accesso alla Comunione per divorziati risposati, coniugi sposati solo civilmente e persone Lgbt che non hanno rinunciato al loro stile di vita. Ma le sue posizioni contraddicono il Magistero e le Sacre Scritture.
Il cardinale e vescovo di San Diego, Robert McElroy, a fine gennaio ha inviato alla rivista dei gesuiti America alcune sue riflessioni sullo stato attuale in cui versa la Chiesa. La rivista ha pubblicato queste riflessioni con il titolo Il cardinale McElroy sull’“inclusione radicale” per le persone Lgbt, per le donne e per altri soggetti nella Chiesa cattolica: una summa dell’ecclesialmente corretto dove le parole chiave sono inclusione, condivisione e discernimento. Un articolo pieno zeppo di stereotipi, un eccellente paradigma delle posizioni progressiste che si sono affacciate nei sinodi degli anni passati, di quelli presenti e - così temiamo - di quelli futuri. Insomma, un’efficace sintesi delle teorie eretiche interne alla Chiesa con cui già abbiamo avuto a che fare e con cui dovremo fare i conti anche a breve.
Facendo riferimento appunto ai sinodi del passato e del prossimo futuro, il cardinale si dice favorevole al diaconato femminile e guarda con molta indulgenza l’accesso alla Comunione per i divorziati risposati, per i coniugi sposati solo civilmente e per le persone Lgbt che non hanno rinunciato al loro stile di vita. McElroy indica tre strade per far accedere queste categorie di persone alla santa Comunione.
La prima: siamo tutti feriti dal peccato, egli afferma, e quindi - questo il sottinteso del ragionamento del cardinale - non si capisce il motivo per cui alcune ferite siano di impedimento all’accesso all’Eucarestia e altre no. Risposta: alcuni peccati sono così gravi, i cosiddetti peccati mortali, che hanno la forza di rompere il rapporto di amicizia con Dio. Quindi, prima occorre ricostruire questo vincolo con Dio tramite la Confessione e dunque prima occorre pentirsi di quel peccato e decidere di non commettere più alcun peccato e solo dopo si potrà ricevere la Comunione. In caso contrario, non solo gli adulteri e le persone che praticano l’omosessualità potranno accostarsi alla santa Comunione, ma anche gli omicidi, i ladri, i violentatori, i truffatori, gli abortisti, etc., perché anch’essi, come affermato da McElroy, dopo tutto sono persone ferite dal peccato.
Seconda soluzione proposta dal cardinale: «Mentre l’insegnamento cattolico deve svolgere un ruolo critico nel processo decisionale dei credenti, è la coscienza che ricopre il posto privilegiato. Le esclusioni categoriche minano tale privilegio proprio perché non possono comprendere la conversazione interiore tra donne e uomini e il loro Dio». Tradotto: la coscienza personale viene prima della dottrina, perché viene prima il dialogo interiore tra il fedele e Dio e poi il Magistero. Risposta: la coscienza è chiamata a declinare i principi di morale e fede nelle situazioni concrete. Quindi, gerarchicamente sono più importanti questi principi, insegnati dal Magistero, che l’operato della coscienza, proprio perché questa opera rifacendosi a tali principi. McElroy, inoltre, si scorda che la coscienza può anche errare. Il soggetto, se agirà in buona fede, potrà anche non accorgersi di sbagliare, ma sta alla Chiesa illuminare la sua coscienza erronea e ricondurlo a ben pensare e a ben agire.
Terza soluzione: «La chiesa deve abbracciare una teologia eucaristica che inviti effettivamente tutti i battezzati alla mensa del Signore», scrive il cardinale, perché l’Eucarestia è un medicinale dell’anima. Vero è che è un medicinale, ma solo per chi ha deciso di guarire. Per tutti gli altri quel medicinale farà più male che bene, come ci ammonisce San Paolo, «perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti» (1 Cor 11, 29-30).
Occorre essere degni di ricevere il Signore e ciò per pura logica teologica di base. Infatti c’è un’oggettiva incompatibilità tra la Santissima Eucarestia e la volontà di perseverare nel peccato grave, tra la grazia che promana dall’Eucarestia e chi la rifiuta perché vuole rimanere in peccato mortale, stato in cui è assente la grazia. È stato esplicito Gesù sul punto. Ricordiamo le sue parole di fuoco rivolte al primo papa della storia, San Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16, 23). Sulla stessa frequenza d’onda non poteva che registrarsi San Paolo il quale mette al centro della sua ammonizione alla comunità dei Corinzi proprio il concetto di dignità: «Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice» (1 Cor 11, 27-28). Prima la Confessione e poi la Comunione.
Questa argomentazione, che non è altro che dottrina cattolica, è esplicitamente rifiutata dal cardinale americano con queste parole: «Questa obiezione dovrebbe essere affrontata a testa alta». E come l’affronta? Incidentalmente McElroy insinua che la dottrina sui peccati che attengono alla sfera sessuale (ma riguardo ai divorziati risposati e agli sposati solo civilmente i peccati non interessano solo la sfera sessuale) derivi dalla tradizione. In realtà sono di diritto divino positivo, vedasi il sesto comandamento. Ma il punto su cui insiste il cardinale è un altro: «Il cuore del discepolato cristiano - egli scrive - è una relazione con Dio Padre, Figlio e Spirito radicata nella vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo. La chiesa ha una gerarchia di verità che scaturiscono da questo kerygma fondamentale. La pratica sessuale, sebbene rivesta un’importanza profonda, non si trova al centro di questa gerarchia. Eppure nella prassi pastorale l'abbiamo posta al centro stesso delle nostre strutture di esclusione dall'Eucaristia. Questo dovrebbe cambiare».
Siamo concordi che il centro della fede cattolica è la Santissima Trinità che mostra il suo amore per l’uomo tramite l’incarnazione, morte e risurrezione di Cristo. Ma da questo centro di verità scaturiscono tutta una serie di condotte che sono doverose proprio perché consone a tali verità e quindi tutta una serie di divieti relativi a scelte incompatibili con questo nucleo di verità. Che poi la pastorale si interessi spesso di tematiche Lgbt e di divorziati risposati questo accade per due motivi: primo, perché molti pastori vogliono accogliere non solo le persone omosessuali e i divorziati, ma anche l’omosessualità e il divorzio. In secondo luogo, perché oggi sui media e sui social network non si fa altro che parlare di omosessualità e transessualità.
In definitiva, l’articolo del cardinale di San Diego è interessante perché sintetizza le strategie attualmente seguite nei Paesi occidentali per tentare di sovvertire la dottrina in merito al matrimonio, all’omosessualità e alla transessualità, strategie che certamente emergeranno nel Sinodo sulla sinodalità dell’ottobre 2023.