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CREMONA

Messa interrotta, tra reato e abuso di potere: ma il vescovo scarica don Lino

Don Lino Viola, il parroco che ha fermato il carabiniere sull'altare, vuole ricorrere al Prefetto. I carabinieri giustificano la loro irruzione in chiesa: «Abbiamo fatto quello che si doveva fare». Ma l'interruzione della Messa è legittima solo in casi di urgente necessità, ad esempio fermare un omicidio, non per notificare una multa. Nel frattempo il sacerdote viene scaricato dal suo vescovo: «Il comportamento del parroco è in contraddizione con le norme civili». 
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Libertà religiosa 21_04_2020

Il caso lo ha risolto lo stesso don Lino Viola: «E’ abuso di potere». Più chiaro di così si muore, eppure il sacerdote che ha stoppato il carabiniere salito sull’altare per interrompere la Messa a Soncino (CR), sta passando lui per furfante della peggior specie. Per alcuni giornali, ad esempio, i quali ribaltano la frittata dicendo che è il prete a non aver ascoltato l’autorità e non invece il carabiniere a interrompere – sacrilegamente – la Messa. Ma anche per il vescovo di Cremona Antonio Napolioni che in una nota stampa lo ha letteralmente scaricato dandogli la responsabilità del misfatto.

E come se non bastasse anche per gli stessi Carabinieri che ieri hanno difeso l’operato dei loro militari.

L’ARMA SI DIFENDE
«I Carabinieri hanno fatto quello che dovevano fare», spiega alla Nuova BQ il Maggiore Lorenzo Carlo Maria Repetto, comandante provinciale dell’Arma a Cremona. «Sono state sanzionate delle persone le quali hanno la facoltà di ricorrere nei modi di legge». Ma il fatto rischia di avere conseguenze e non solo perché don Lino ieri ha espresso la volontà di ricorrere al Prefetto contro il provvedimento. A cominciare dal fatto che un’interruzione della Messa c’è stata e questa potrebbe costituire un reato.

«Discutibile – precisa il Maggiore Repetto – forse che se dovessi impedire un omicidio in chiesa non potrei entrare? È evidente che ci sono circostanze in cui si possono interrompere le Messe».

Per la verità, la questione non è così automatica. La turbatio sacrorum è disciplinata dall’articolo 405 del codice penale e prevede due anni di reclusione per chi turba o impedisce una funzione religiosa alla presenza di un ministro di culto ed è un reato procedibile d’ufficio.

Il punto è stabilire se vi sia stato davvero un turbamento/interruzione e se questo caso rientrasse nei pieni poteri dei carabinieri.

Il turbamento della Messa e la mancanza di necessità sono evidenti

MESSA TURBATA
Sul primo punto è evidente che un turbamento sia avvenuto. Il secondo video comparso ieri al momento dell’omelia mostra chiaramente il carabiniere mettersi di fronte al presbiterio e intimare nell’ordine la sospensione della Messa, l’uscita dei fedeli e la ripresa della celebrazione con la sola presidenza del sacerdote e del «chierichetto». Ma don Lino gli ha resistito parlando di «abuso di potere».   

A quel punto, all’Orate fratres (dopo l’Offertorio) il carabiniere è salito in presbiterio, ma prima c’era stata anche l’incursione della perpetua con il telefono e il sindaco dall’altra parte. È evidente che un’interruzione c’è stata così come una turbativa, la quale si determina a norma di legge anche con il solo distogliere l’attenzione dei fedeli denigrando la figura del sacerdote.

NESSUNA URGENTE NECESSITA’
D’accordo, ma il Maggiore ha giustificato l’intervento dei suoi sottoposti. E qui entra in gioco il secondo tema e cioè se l’irruzione in chiesa fosse giustificata. L’esempio dell’omicidio non può essere preso a modello in questo caso perché questo è un reato mentre, a partire dal 25 marzo, l’eventuale violazione delle prescrizioni del governo è una semplice violazione amministrativa: equiparare le due cose è errato dal punto di vista giuridico, oltre che piuttosto grottesco. Ma c’è di più: l’articolo 5, comma 2 dell’accordo tra Santa Sede e Repubblica Italiana, che modifica le norme del Concordato dice che «salvo casi di urgente necessità, «la forza pubblica non potrà entrare per l’esercizio delle sue funzioni negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica».

Si badi bene: qui si parla della sola entrata, per la quale deve essere informato il vescovo. Ma il vescovo non è stato informato.

Un altro elemento che può far cadere il principio dell’urgente necessità è il fatto che il carabiniere volesse passare la telefonata del sindaco a don Lino, che poi il prete ha rifiutato. Che cosa c’entra? Perché i carabinieri dovrebbero avere il compito di favorire la telefonata tra il sindaco e il parroco? Anche fosse urgente la notifica della violazione, sarebbero comunque scattati i 90 giorni di tempo.

Codice penale e Concordato: la legge è chiara

LA CHIESA COME IL BINGO?
Ma che il fatto sia giuridicamente chiaro lo dimostra il decreto legge n. 19 del 25 marzo che non permette l'interruzione di una cerimonia; prevede la chiusura di attività commerciali (cinema, sale giochi, sale scommesse, negozi, fiere) aperte nonostante i divieti. Ma le chiese non sono sale bingo.

È STATO UN REATO?
Insomma: se reato c’è stato, questi è stato un reato di turbamento di cerimonie religiose (procedibile d'ufficio) da parte di Carabinieri che, entrati in chiesa come Forza pubblica senza avere avvisato l'autorità ecclesiastica e senza che ve ne fosse necessità urgente, hanno tentato di interrompere la cerimonia e l'hanno comunque turbata senza alcuna giustificazione. Le norme dettate per l'emergenza Coronavirus infatti, non permettevano questo turbamento, né permettono affatto di impedire la celebrazione delle cerimonie religiose. 

APPOGGI LEGALI PER DON LINO
Resta da vedere poi se don Lino fosse a sua volta responsabile di una violazione, celebrando con le porte aperte e vedendosi entrare in chiesa dei fedeli non autorizzati. Difficile dimostrare una sua colpa dato che il parroco non è responsabile della condotta delle persone, le quali, tra l’altro, erano tutte a distanza e con mascherina. Oltre che in un numero davvero esiguo per giustificare quello che don Lino ha chiamato «un pandemonio». Per il resto vale sempre il buonsenso. Si trattava di sei persone in più rispetto all’autorizzato in una chiesa di 300mq.

Ora il parroco dovrà ricorrere al Prefetto cercando di far valere le sue ragioni per non pagare la sanzione, ben sapendo però che, mentre diversi avvocati si stanno facendo vivi per offrirgli appoggio legale, gli verrà a mancare forse l’appoggio istituzionale più importante: quello del suo vescovo.

IL VESCOVO LO SCARICA
Il vescovo di Cremona ieri pomeriggio ha preso posizione scaricando l’anziano sacerdote al suo destino: «La Diocesi di Cremona, pur consapevole dell’intima sofferenza e del profondo disagio di tanti presbiteri e fedeli per la forzata e prolungata privazione dell’Eucaristia, non può non sottolineare con dispiacere che il comportamento del parroco è in contraddizione con le norme civili e le indicazioni canoniche che ormai da diverse settimane condizionano la vita liturgica e sacramentale della Chiesa in Italia e della nostra Chiesa cremonese».

La nota del vescovo è stata subito rilanciata da Avvenire, l'organo dei vescovi, che non aveva nemmeno raccontato la vicenda il giorno prima. Nessun accenno all’irruzione sacrilega – e illegittima – dell’Arma in chiesa. Nessuna presa di distanza e nessuna difesa d’ufficio del sacerdote che ha provato in tutti i modi a difendere prima tutto il Sacramento e la Messa, prim’ancora della sua persona. È così che lo Stato si prenderà sempre più libertà nel porre limiti all’accesso ai luoghi di culto. La persecuzione nei Paesi comunisti è iniziata con molto meno.