Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
ARTHUR ROCHE

Messa in latino, un cardinale inglese contro il suo popolo

Ascolta la versione audio dell'articolo

L’ulteriore stretta decisa da Roma sul rito antico crea imbarazzo e attesa nel Regno Unito, dove la Messa in latino è molto popolare. Il Prefetto del Culto Divino è infatti il cardinale inglese Artur Roche, peraltro molto poco amato dai suoi confratelli in patria. Occhi puntati su Westminster in attesa della sostituzione del cardinale Nichols.  Parla Damian Thompson.

Ecclesia 04_03_2023 English

Se è vero che dal Regno Unito arriva l'uomo che verrà ricordato per aver condotto in prima linea la guerra liturgica alla cosiddetta Messa tridentina, è anche vero che oltremanica c'è una delle più floride comunità abituate a celebrare secondo la forma straordinaria del rito romano.

Poco più di una settimana dopo la pubblicazione del Rescriptum con cui, per la terza volta in nemmeno due anni, sono state disposte restrizioni alla liberalizzazione voluta nel 2007 da Benedetto XVI, i fedeli britannici attendono di vedere se i loro vescovi daranno seguito alle misure imposte da Roma. Qualche prima risposta – amara per il popolo del Summorum Pontificum – è cominciata ad arrivare e precisamente dalla diocesi di Leeds un tempo guidata dall'attuale prefetto del Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, il cardinale Arthur Roche. Il vescovo Marcus Stock, infatti, ha fatto sapere nei giorni scorsi di aver revocato le dispense precedentemente concesse per celebrare secondo il Messale Romano del 1962 nelle chiese parrocchiali. Non è un mistero che questo sia l'intento inseguito dal Rescriptum con cui il prefetto Roche ha di fatto manifestato il malcontento della Santa Sede per come i vescovi hanno applicato Traditionis Custodes fino ad oggi.

Il caso di Leeds è emblematico dell'epilogo della decisione di accentrare la concessione delle dispense a Roma anziché delegarla ai vescovi. La Messa tridentina, tuttavia, non sparirà del tutto dalla diocesi nello Yorkshire dal momento che monsignor Stock ha concesso di celebrarla in una chiesa non parrocchiale, a Bradford. Non è da escludere – come si vocifera – che questa concessione fatta nel rispetto di quanto stabilito dal Motu Proprio del luglio 2021 sia un timido segnale di disponibilità nei confronti dei fedeli affezionati alla forma straordinaria compiuto dall'attuale vescovo che si trova obtorto collo a dover rispettare la perentoria disposizione del suo predecessore che guida il Dicastero per il culto divino.

Oltre a Leeds, l'altra diocesi a sperimentare pionieristicamente le conseguenze del Rescriptum è quella di Liverpool dove l'arcivescovo Malcolm McMahon ha comunicato ai parroci delle chiese di St Catherine Labouré a Farington e di St John's a Wigan la sospensione delle dispense finora concesse per le celebrazioni secondo il Messale di San Giovanni XXIII. Come verrà recepito il documento della Santa Sede nel resto delle diocesi britanniche? Damian Thompson, associate editor dell'autorevole The Spectator per il quale cura il seguito podcast Holy Smoke, ha una sua teoria che ha confidato a La Nuova Bussola Quotidiana: «Il cardinale Roche non è una figura popolare tra la maggior parte dei vescovi d'Inghilterra e Galles che lo ricordano come un autoreferenziale segretario generale della Conferenza episcopale e un vescovo di Leeds che si era apertamente ingraziato il defunto cardinale Murphy-O'Connor nella speranza di succedergli a Londra. Ma i vescovi sanno anche che li tormenterà costantemente fino a che non inizieranno a cancellare la Messa in latino in conformità con il suo Rescritto».

Il giornalista britannico di fede cattolica, da sempre critico nei confronti di Roche, ha osservato che questo processo sarebbe già iniziato proprio a Leeds e Liverpool, ovvero «due diocesi i cui vescovi – ironia della sorte – hanno celebrato personalmente la Messa tridentina in passato». In effetti, monsignor  McMahon – che i lettori della Bussola ricorderanno per il caso di Alfie Evans – nel 2017 ordinò in forma straordinaria due sacerdoti della Fraternità sacerdotale San Pietro nella chiesa di St. Mary a Warrington. Nello stesso anno, anche monsignor Stock aveva celebrato nella cattedrale di Leeds una Messa da Requiem in forma straordinaria per i suoi predecessori defunti. 

Gli occhi puntati, ora, sono tutti sull'arcidiocesi di Westminster perché è a Londra che a seguito del Summorum Pontificum si è registrato un vero boom di celebrazioni della cosiddetta Messa tridentina. Secondo Thompson, «sarà interessante vedere come il cardinale Vincent Nichols di Westminster gestirà questa crisi»  dal momento che «la chiesa più popolare della sua diocesi, la London Oratory, celebra ogni domenica l'antica messa accanto alla nuova».

Sullo sfondo c'è anche la questione della successione a Westminster: dopo aver compiuto i 75 anni, infatti, Nichols, ha rassegnato le dimissioni che il Papa ha accettato pur chiedendogli di rimanere donec aliter provideatur. Una decisione comunicata dall'arcivescovo ai suoi sacerdoti in una lettera e dalla quale, però, sono ormai passati più di due anni. I nomi che circolano per un'eventuale successione sono quelli di Bernard Longley, Richard Moth e John Wilson, vescovi rispettivamente di Birmingham, Arundel-Brighton e Southwark. Tutti e tre avevano consentito le celebrazioni in forma straordinaria dopo l'introduzione di Traditionis Custodes. 

«Nichols – osserva Thompson nel colloquio con La Nuova Bussola Quotidiana – non è un fan della Messa tridentina, ma non è nemmeno particolarmente innamorato di Arthur Roche, i cui modi grandiosi e i favoritismi sono in netto contrasto con lo stile di Nichols; la mia preoccupazione è che venga presto sostituito da un arcivescovo di Westminster scelto di fatto da Roche». 

È possibile immaginare che la maggior parte dei vescovi d'Inghilterra e Galles siano in attesa del parere della Conferenza episcopale prima di seguire le orme di Stock e McMahon e decidere come applicare le disposizioni volute dal Rescriptum. Ma la visione di Thompson, che ha abituato i suoi lettori ed ascoltatori ad uno stile caustico e senza peli sulla lingua, non è poi così pessimista circa la sopravvivenza della comunità di fedeli legati alla forma straordinaria. Per l'ex editorialista di The Telegraph, infatti, i vescovi britannici alla fine «potrebbero soddisfare le richieste di Roche a breve termine, ma nella consapevolezza che questa campagna tirannica difficilmente durerà oltre questo pontificato anche se il nuovo Papa dovesse essere un liberal».

Su questo punto, Thompson si  sente di rimproverare a Francesco la scelta di «affidare il compito di limitare la Messa in latino» a colui che definisce «uno dei cardinali meno popolari nella Chiesa cattolica, la cui capacità unica di alimentare il risentimento alla fine funzionerà a vantaggio dei cattolici tradizionalisti». Già nel 2009, dalle pagine del The Telegraph, il giornalista cattolico manifestò ripetutamente le sue perplessità sulla figura di Roche e ne osteggiò l'arrivo a Westminster al posto del cardinale Murphy-O'Connor che lo avrebbe voluto come suo successore. Nonostante il favore del suo predecessore, Benedetto XVI preferì all'epoca bocciare la sua candidatura e nominare proprio Nichols, salvo poi indicarlo nel 2012 come segretario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. E questo nonostante Roche, all'uscita del Summorum Pontificum nel 2007, avesse inviato una nota al clero di Leeds in cui si forniva un'interpretazione piuttosto limitante del Motu Proprio e in cui si potevano rintracciare alcuni degli elementi poi finiti nei Responsa ad dubia e nel Rescriptum sul Traditionis Custodes come una certa sollecitudine nell'essere informato su ciascun sacerdote intenzionato a celebrare in forma straordinaria per poterne stabilire l'attitudine a poterlo fare.

Di spirito opposto, però, al contenuto del Rescriptum è la pretesa che l'allora vescovo di Leeds rivendicava a sé nel concedere o meno ad un sacerdote la possibilità di celebrare sine populo sebbene Roma, nell'articolo 2 del Summorum Pontificum, avesse parlato chiaro stabilendo che «per tale celebrazione [...] il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario».