Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
IL BRACCIO DI FERRO

Mes o non Mes, abbiamo già perso sovranità a causa del nostro debito

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Dopo lo stop parlamentare alle modifiche del Mes, il fondo europeo salva-Stati, l'Italia è l'unico Paese dell'eurozona a non averlo ratificato ancora. Ma l'Italia non può permettersi di negoziare da posizioni di forza, a causa dell'enorme debito.
- Il derby elettorale FdI-Lega di Ruben Razzante

Economia 23_12_2023
Giorgia Meloni sventola il trattato che istituisce il Mes (La Presse)

Riflettori puntati sul Mes: l’Italia, infatti, è l’unico Paese dell’area euro a non averlo ancora ratificato. Al di là degli scambi di critiche e accuse tra maggioranza e opposizione, la verità è che l’Italia non è nelle condizioni di negoziare da una posizione di forza: la sovranità l’abbiamo perduta divenendo un Paese fortemente indebitato, e quindi a rischio di tenuta finanziaria, per di più in un contesto di grave crisi demografica e di collasso della produttività. Al di là degli aspetti tecnici, su cui è legittimo avere opinioni differenti, il cuore del problema rimane il debito pubblico e la sua sostenibilità, a cui si collega la sicurezza dei risparmi delle famiglie e delle Banche italiane.

Quando la traiettoria dei debiti aumenta in modo eccessivo rispetto alla crescita economica, il debitore incontra difficoltà crescenti a finanziarsi, finendo col non riuscire più a onorare il proprio debito. Ciò vale per le famiglie, le imprese e, su orizzonti più lunghi, anche per gli Stati sovrani: l’Argentina insegna.

In Italia, il grande malato è proprio lo Stato, gravato dal macigno del debito pubblico maggiore dell’area euro: circa 2.870 miliardi di euro, pari al 140% del Prodotto Interno Lordo (contro una media dell’area del 91,4%), che comporta una spesa per interessi annua pari a circa 78 miliardi di euro, destinati a salire verso i 100 miliardi nel 2024 a causa del rialzo dei rendimenti dei titoli governativi. Il quadro è aggravato dall’invecchiamento demografico, che rende sempre più pesanti gli oneri previdenziali e assistenziali, spesati su una popolazione in età lavorativa in costante contrazione, danneggiando così la produttività e le prospettive di crescita economica. Le famiglie, invece, detengono una ricchezza molto elevata rispetto ad altri Paesi dell’area euro con conti pubblici maggiormente in equilibrio. Una crisi del debito sovrano italiano avrebbe effetti traumatici sulla tenuta di tutta l’area; ciò rende comprensibile la paura dei Paesi finanziariamente più stabili, i quali vorrebbero che in tale eventualità fossero i risparmiatori italiani, in prima battuta, a farsi carico di un’eventuale ristrutturazione del proprio debito.

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) nasce nel 2012 per rispondere alla grave crisi del debito sovrano che colpisce principalmente i Paesi del sud Europa (Grecia, Spagna, Portogallo, Italia), oltre all’Irlanda. Lo scopo era e rimane quello di fungere da prestatore di ultima istanza, fornendo assistenza finanziaria agli Stati membri della zona euro che si trovano ad affrontare gravi difficoltà finanziarie e non riescono ad accedere ai mercati se non a condizioni proibitive. In assenza di aiuti, infatti, un Paese che si trovasse nell’impossibilità di finanziarsi sui mercati sarebbe costretto a subire un default del proprio debito (con un taglio sul controvalore nominale e/o con una ripianificazione delle scadenze e degli interessi promessi al creditore), con un impatto molto pesante sia sulle famiglie sia sul mondo delle imprese, in particolare sul sistema bancario. Per contro, i prestiti che il Mes concederebbe, a tassi di favore, sarebbero ovviamente condizionati all’accettazione di rigorose misure di riforme economiche e di austerità fiscale, per riportare il debito su una traiettoria coerente con il quadro macro-economico del Paese e conseguentemente minimizzare il rischio che i nuovi debiti contratti non vengano restituiti.

La messa in sicurezza dei debiti pubblici è stata finora garantita dalla Banca Centrale Europea (Bce), con programmi di massicci acquisti dei titoli dei debiti sovrani sul mercato secondario, che hanno portato i rendimenti verso, e addirittura al di sotto, dello zero: tali interventi, da un lato, hanno danneggiato i creditori/risparmiatori, che per molti anni si sono trovati nell’impossibilità di investire i propri risparmi a condizioni remunerative; dall’altro, hanno consentito ai governi di finanziarsi a costi “politici”, particolarmente convenienti, e di allungare la durata media del proprio debito, rendendosi così meno fragili a fronte di futuri shock momentanei sui tassi.

Le varie politiche di easing quantitativo attuate dalla Bce, e dalle altre principali Banche centrali mondiali, a partire dalla Grande Crisi Finanziaria del 2008-2009 e poi, in accelerazione, durante il periodo pandemico, sono state la causa profonda delle dinamiche inflazionistiche, esplose a partire dall’estate 2021, che stanno erodendo risparmi e redditi fissi, in particolare salari e stipendi. Un’ulteriore conferma del fatto che non esistono pasti gratis. Con rendimenti dei titoli governativi in forte rialzo rispetto agli anni passati, i governi incontreranno difficoltà crescenti nel rifinanziare i titoli che giungeranno a scadenza, con un incremento inevitabile della spesa per interessi e una conseguente riduzione del margine di manovra fiscale.

Il Mes è guidato da un Consiglio dei Governatori, composto dai 20 ministri delle Finanze dell'area dell'Euro, e ha un capitale sottoscritto di circa 700 miliardi di euro, di cui circa 80 già versati dai Paesi membri, in ragione delle dimensioni delle rispettive economie e popolazioni: grosso modo la Germania pesa per il 27%, seguita dalla Francia al 20% e dall’Italia al 18%. In caso di necessità, il Mes potrà richiedere il versamento delle quote non ancora versate e potrà collocare titoli obbligazionari sui mercati finanziari, per potere poi concedere finanziamenti a condizioni agevolate ai Paesi richiedenti. Oltre al debito sovrano, il Mes potrà intervenire fornendo una rete di sicurezza (il cosiddetto backstop) per gestire situazioni di crisi bancarie, allo scopo di evitare contagi, e ciò costituisce un passaggio centrale per completare l’Unione bancaria.  L’entrata in vigore del nuovo Mes nel 2024 esimerà la Banca Centrale Europea dall’intervenire in future crisi come prestatore di ultima istanza per stringere gli spread tra i rendimenti governativi dei vari Paesi dell’area, una funzione tra l’altro non prevista dai trattati europei e che la Bce ha assunto per evitare un collasso dell’area euro.

Nella riforma del MES del 2021, l’accento è posto sull’introduzione di linee di credito precauzionali, per fornire assistenza finanziaria preventiva ai Paesi dell’area euro aiutandoli quindi a prevenire le crisi. I finanziamenti concessi non saranno subordinati a condizioni per quei soli Paesi che rispetteranno il Patto di Stabilità e Crescita, che non è ovviamente il caso dell’Italia. La nuova struttura del Mes prevede alcune modifiche al funzionamento del fondo, tra cui l’introduzione di una clausola di ristrutturazione del debito per i Paesi che ne richiedono l’assistenza e la possibilità di usare il Mes come scudo anti-spread per le emissioni di debito pubblico sul mercato primario. Il voto non richiederà più l’unanimità ma sarà preso a maggioranza qualificata, per migliorare la capacità di rispondere rapidamente alle crisi.

Le critiche al Mes riguardano le condizioni richieste per la concessione di prestiti, col rischio di una forte perdita di sovranità per quei Paesi che si troveranno costretti, obtorto collo, a ricorrere all’aiuto. L’Italia, stante il quadro economico-finanziario, è ovviamente il primo candidato dell’area euro, e un intervento del Mes comporterebbe inevitabilmente l’imposizione di misure molto pesanti di austerità: di qui, le preoccupazioni e le reticenze alla ratificazione del meccanismo da parte del nostro governo.

Chi critica il meccanismo evidenziando i rischi di perdita di sovranità ha ragione. Tutto il processo di integrazione europea in atto, peraltro, va in quella direzione, basti pensare al PNRR, i cui fondi vengono stanziati a fronte dell’emissione di un debito comune da parte degli Stati membri. Il debito comune apre alla prospettiva di un futuro «Ministero del Tesoro comunitario», come evocato, con approvazione, da Mario Draghi al 41° Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione dell’agosto 2020. Potrebbe essere un modo per passare da una federazione di Stati indipendenti a una sorta di super-Stato europeo, comprimendo così ulteriormente la sovranità degli Stati membri, non solo in campo economico-finanziario ma a tutti i livelli: famiglia, sanità, educazione e libertà religiosa comprese.

Al di là delle regole e dei meccanismi, la sostanza è: un Paese perde di fatto la propria sovranità nella misura in cui il suo debito pubblico assume una dimensione troppo elevata rispetto alla dimensione della sua economia. Il nostro Paese non si trova quindi nelle condizioni per negoziare da un punto di forza, anche se a nostro favore, oltre ad aspetti di natura geo-politica, gioca il fatto che la nostra permanenza all’interno dell’area euro è necessaria alla tenuta del sistema: detto ciò, è comunque improbabile che i contribuenti dei Paesi fiscalmente più virtuosi dell’area saranno disposti a venire in aiuto dell’Italia, se e quando ciò si renderà necessario, senza chiedere contestualmente una ristrutturazione del nostro debito pubblico, perché sia spesato principalmente sui Bot people. Non ci lasceranno affogare, certamente; la nostra sovranità, tuttavia, l’abbiamo già persa, e per colpa nostra. Saremo quindi costretti ad aderire al Mes, così come alle future richieste delle burocrazie europee.

Un monito alla classe politica: per tutelare la sovranità nazionale non è sufficiente la scaltrezza nel negoziare gli accordi internazionali e neppure si può continuare a fare melina; è fondamentale, invece, aumentare la propria indipendenza finanziaria e la propria forza economica. Il paradigma della crescita a debito è finito: occorre una politica di bilancio responsabile che riporti la spesa pubblica sotto controllo, contestualmente a una riduzione del perimetro di interventismo pubblico, pre-condizione, tra l’altro, per ipotizzare una futura riduzione della pressione fiscale, che in Italia è su livelli vessatori e frena la crescita economica. L’inverno demografico in atto renderà particolarmente difficile e lungo il risanamento dei conti pubblici, ma occorre per lo meno iniziare a invertire tendenza, puntando sulla libertà economica.

Mes o non-Mes, si deve seguire con attenzione a quanto farà il nuovo Presidente dell’Argentina, Javier Milei, nei mesi a venire: se la sua cura shock funzionasse, in uno dei Paesi più disastrati al mondo, potrebbe fornire spunti interessanti, mutatis mutandis, anche qui da noi. Stiamo a vedere.