Lutero e gli effetti del rifiuto dell’autorità della Chiesa
L’aspetto centrale della contesa tra i “riformatori” e la Chiesa cattolica riguarda il tema dell’autorità della Chiesa. Il criterio del “sola Scriptura” è di fatto contraddetto dall’enorme frammentazione del mondo protestante, conseguenza della separazione tra Scritture, Tradizione e Magistero.
La Theologia crucis, cui abbiamo dedicato due articoli (qui e qui), costituisce la struttura fondamentale del pensiero teologico di Lutero, con quel suo caratteristico aut-aut che nemmeno troppo velatamente mostra la genesi controversistica del suo pensiero.
L’aspetto centrale di questa contesa tra Lutero (e ovviamente gli altri “riformatori”) e la Chiesa cattolica si gioca in ultima analisi sul tema dell’autorità della Chiesa. La rilettura della famosa dichiarazione di Lutero davanti alla Dieta di Worms (18 aprile 1521) può aiutare a comprendere la questione: «A meno che non venga convinto dalla testimonianza delle Scritture o da ragioni evidenti — poiché non confido né nel Papa, né nel solo Concilio, dal momento che è certo che essi hanno spesso errato e contraddetto loro stessi — sono tenuto saldo dalle Scritture da me addotte, e la mia coscienza è prigioniera della parola di Dio, ed io non posso né voglio revocare alcunché, vedendo che non è sicuro o giusto agire contro la coscienza. Dio mi aiuti. Amen».
Il “gran rifiuto” di Lutero racchiude in nuce quella che sarà da lì in poi l’anima del protestantesimo: la Bibbia è l’unica autorità in grado di vincolare la coscienza del credente, dal momento che il suo contenuto è sufficientemente evidente a chiunque la accosti. Scriptura sui ipsius interpres: la Scrittura è essa stessa l’interprete. Corollario di questa impostazione è che la Chiesa non ha alcun ruolo vincolante da giocare nell’interpretazione delle Sacre Scritture; al massimo, la testimonianza della tradizione può essere di aiuto, come i consigli di un vecchio saggio, ma nulla più. La Scrittura come unica regola della fede, ad esclusione della Chiesa, fa inevitabilmente il paio con la sovranità della coscienza, che si ritrova così “sola” al cospetto della Bibbia. La Chiesa diviene invece origine di tradizioni che gli uomini pretendono di aggiungere alla Parola di Dio, tradendola.
L’errore di Lutero non fu chiaramente quello di rifiutare una presunta superiorità della Chiesa sulle Sacre Scritture; la costituzione dogmatica Dei Verbum (n. 10), raccogliendo l’insegnamento bimillenario della Chiesa, spiega infatti che il magistero «non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio». Il punto è un altro, anzi due: primo, la Bibbia diventa improvvisamente sinonimo della Parola di Dio, coestensiva dunque alla Rivelazione; secondo, le Sacre Scritture divengono un libro consegnato nelle mani del fedele, perché ne colga il contenuto salvifico ritenuto di per sé chiaro.
Quanto all’evidenza del senso delle Scritture, Lutero dovrà ben presto rendersi conto che su punti assolutamente fondamentali per la fede, come il battesimo, l’Eucaristia, il matrimonio, e persino la Trinità, il criterio del sola Scriptura sarà foriero di tutt’altro che unità e consenso. La pretesa evidenza delle Scritture rimane sì principio condiviso, con diverse sfumature, dalle differenti denominazioni protestanti, ma per dare origine a profonde e sempre più numerose divisioni. La storia del protestantesimo, con le sue migliaia di denominazioni, è la prova sperimentale che il senso delle Scrittura è tutt’altro che auto-evidente.
Ma c’è altro su cui si deve riflettere: Lutero ha separato, per la prima volta formalmente, quanto è sempre stato unito: Scritture, Tradizione e Magistero vivente della Chiesa. La questione è molto articolata, ma nella sostanza è in realtà molto semplice. Per comprendere questo punto, niente di meglio che rivolgersi al reale, ossia a come i discepoli del Signore e i Padri abbiano trasmesso di fatto la fede. Prendiamo, per esempio, l’episodio narrato negli Atti degli Apostoli: l’eunuco etiope aveva tra le mani un rotolo del profeta Isaia; «Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: “Capisci quello che stai leggendo?”. Quegli rispose: “E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?”. E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui» (8, 30-31). Un breve testo che ci dice molte cose: che la Scrittura non è affatto così chiara e che la via maestra per comprenderla è quella di rivolgersi a qualcuno che istruisca. Filippo non risponde agli interrogativi dell’eunuco dandogli un altro libro, ma annunciandogli «la buona novella di Gesù» (8, 35), così come egli l’aveva a sua volta ricevuta.
Quando guardiamo ai primi secoli della storia della Chiesa, ci rendiamo conto che le cose non andarono diversamente: non ci fu eresia che non si fondò sulla pretesa che gli insegnamenti della Chiesa non erano presenti nelle Scritture, con il dito puntato sulla Chiesa rea di distorcere il senso limpido delle Scritture con interpolazioni umane. Ma il consenso dei Padri porta ad una chiara affermazione dell’importanza delle Scritture, ma non di una loro sufficienza; principio che nasce da un’evidenza: il Signore Gesù invia gli apostoli ad annunciare e battezzare, non a scrivere libri. La preziosa presenza dei testi sacri nasce da questo movimento di trasmissione della fede e della grazia, di cui è pertanto parte co-essenziale, al pari di quanto gli apostoli hanno insegnato con la loro viva voce e istituito nelle chiese da loro fondate. È questa duplice modalità di trasmissione che la Chiesa vivente nei secoli accoglie, custodisce, scruta e consegna agli uomini di ogni tempo, guidata da quello stesso Spirito che ha soffiato sugli scrittori sacri e ha illuminato la predicazione apostolica.
Scagliare l’autorità delle Scritture contro l’autorità della Chiesa è dunque un artificioso e pernicioso non-senso, che spezza quella profonda unità tra Scritture, Tradizione e insegnamento autentico della Chiesa, uscita dalle mani del Signore Gesù. La frammentazione del mondo protestante non è dunque l’esito accidentale e imprevedibile del principio del sola Scriptura, ma la conseguenza ovvia dell’aver prodotto una separazione all’interno della Rivelazione, affermando la Scrittura al prezzo della liquidazione della Tradizione e del Magistero vivente della Chiesa. In verità le Scritture nascono nel cuore della Tradizione e da essa sono garantite; Tradizione che prosegue nell’ininterrotta successione apostolica, che costituisce il Magistero vivente della Chiesa. La Tradizione ci dà la Scrittura e la Scrittura rimanda alla Tradizione; entrambe fondano il Magistero e lo richiedono come loro garante, costituendolo così quale regola prossima della fede.
Ogni qual volta si tenta di porre una cesura in questa unità originaria, per la Chiesa sono dolori.
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