Natalità, dietro il calo c'è la generazione degli uomini "senza"
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Gli ultimi dati Istat certificano un ulteriore calo della Natalità. Si parla di rinuncia alla genitorialità. Ma è il frutto di una generazione senza natura, senza gli altri, senza storia e in definitiva senza Dio.
		                                        Previsioni del tempo sulla natalità. Si prevede che l’anno prossimo la temperatura della fecondità femminile scenda ancora, dall’1,18 figli per donna (o per coppia) nel 2024 – ennesimo minimo storico per il nostro Paese – al 1,13 per il 2025. Secondo gli ultimi dati Istat, dal 2023 al 2024 le nascite sono calate del 2,6%, ossia 10mila bebè in meno. L’anno scorso tra fiocchi rosa e azzurri siamo arrivati a 370mila nascite. Dal 2008 le nascite sono diminuite del 35,8%. Insomma mancano all’appello più di un terzo degli Italiani dal 2008. Gli stranieri figliano di più, ma nel tempo sempre meno anche loro: prova indiretta che non è il reddito la scriminante per mettere al mondo i figli, dato che gli stranieri guadagnano meno, ma è soprattutto il contesto culturale in cui vivi a determinare se mettere al mondo un figlio oppure no. La nostra forma mentis sta plagiando anche gli islamici.
Quali i motivi di queste basse temperature dove la vita fa fatica a germogliare? L’Istat, in primis, indica il fatto che il numero di giovani si assottiglia nel tempo. Insomma la denatalità è un cane che si morde la coda. La denatalità genera se stessa. In secondo luogo vi sono diversi fattori che concorrono alla glaciazione demografica: «L’allungarsi dei tempi di formazione, le condizioni di precarietà del lavoro giovanile e la difficoltà di accedere al mercato delle abitazioni, che tendono a posticipare l’uscita dal nucleo familiare di origine, a cui si può affiancare la scelta di rinunciare alla genitorialità o di posticiparla». Noi aggiungiamo l’aumento della sterilità e infertilità tra i giovani e l’aborto: nel mondo tre gravidanze su dieci finiscono in aborto e sei gravidanze indesiderate su dieci fanno la stessa fine.
Puntiamo la lente d’ingrandimento però su una motivazione indicata dall’Istat: la scelta di rinunciare alla genitorialità. Motivazione che dice tutto e dice niente. Crediamo che dietro questa motivazione si celino quattro “senza” che affliggono l’uomo post-moderno. Costui vive, anzi sopravvive, senza natura, senza gli altri, senza storia e senza Dio (l’“altro” per eccellenza).
Senza natura: i nostri contemporanei occidentali vivono in costante lotta contro la propria natura. Questa inclina le persone a sposarsi e dunque a diventare coniugi e poi genitori. Però questa inclinazione alla genitorialità incontra diversi ostacoli. Ad esempio collide con la famigerata emancipazione femminile. Purtroppo la donna ne ricava solo una indipendenza della propria identità materna, che è caratteristica naturale ineludibile scritta a lettere di fuoco in ogni cuore femminile. E dunque si evira di un tratto essenziale della sua persona. L’emancipazione sociale diventa emancipazione metafisica dalla natura, dalla struttura ontologica più profonda che ci definisce anche come padri e madri. L’intimo richiamo a diventare ciò che siamo (Pindaro) è sopraffatto dal richiamo tutto esteriore del mondo che ci vuole stranieri a noi stessi, ossia professionisti di successo, inesausti edonisti, icone social. L’affermazione di sé conduce in realtà alla negazione di sé. La tensione solipsistica all’autenticità sfocia nella menzogna perché si contraddice la propria vocazione naturale. La sfibrante corsa alla realizzazione finisce per ingabbiarsi nel modello dell’eterogenesi dei fini: quanti amici, parenti e conoscenti che masticano il pane raffermo del rimpianto, della mancanza di realizzazione personale. E non si accorgono che questa passa anche dai vagiti di un bambino.
E così arriviamo al secondo “senza”: senza gli altri. I nostri contemporanei hanno dimenticato che il “sé” si costruisce con l’altro da sé. E il figlio è il primo ”altro” per prossimità insieme al coniuge. E non è un “altro” che è solo nemico del tuo tempo, dei tuoi spazi, delle tue relazioni, delle tue opportunità, delle tue energie – tutti aspetti di cui i figli sono oggettivamente voraci – ma amico di te perché chiede e dà amore.
Il viandante del XXI secolo è un essere irrelato, una monade ego-centrata e di per sé sussistente, un buco nero che inghiotte anche la più accecante luce, compresa quella che si sprigiona dopo un parto. Tutto è centrato su se stesso, tutto s’incardina sull’Io, non c’è altro al di fuori di sé. È onnivoro di sé, è il narciso tanto innamorato di sé quanto deluso da sé e dopo la sua morte non vede niente, semplicemente perché egli più non sarà. Tutto finirà con lui. Quindi sarebbe irragionevole programmare una discendenza.
La bulimia di sé porta alla solitudine anche per mancanza di figli. Gesù è stato folgorante: «Il chicco di grano che non muore rimane solo» (Gv 12, 24). Poteva dirci che chi non muore a sé stesso, al proprio egoismo, al proprio disperante e delirante individualismo non entrerà nel Regno dei Cieli, non è degno di seguirLo, non fa la volontà del Padre. No, niente di tutto questo: Gesù indica una conseguenza antropologica, spietatamente esistenziale. Hai cercato per tutta la tua vita te e solo te e sei rimasto solo. Senza figli e a volte senza un uomo o una donna che ti possa amare. Hai cercato te e alla fine non ti sei trovato. Come stringere in un pugno della sabbia e vederla scappare via dalle dita. Più stringi, più la tua vita ti sfugge. «Chiunque vorrà salvare la propria vita, la perderà» (Mt 16, 25). Non è solo un monito per l’Aldilà, ma anche per l’Aldiquà.
L’uomo post-moderno è poi senza storia. Siamo tutti degli spiantati, sradicati perché esseri astorici. E siamo senza storia perché hanno ucciso la tradizione, che è l’anello nuovo del tempo saldato al termine di una catena di altri e precedenti anelli la cui sequenza si perde nella notte luminosa dei tempi. Senza radici non c’è fusto e non ci sono rami protesi nel futuro. Senza passato l’uomo è una incognita a se stesso perché non può posizionarsi sull’asse temporale. Senza riferimenti non possiamo muoverci in nessuna direzione. Come persi in un piatto deserto. Quante persone vivono inconsapevoli di sé, senza senso, senza rotta esistenziale, vivendo alla giornata perché c’è solo l’oggi, orfano dello ieri e del domani? Un uomo anonimo. E come chiedere a quest’uomo di generare, se lui stesso nel suo intimo è sterile di vita? Come protendersi nel futuro se non sa da dove viene, proprio perché gli alchimisti del pensiero contemporaneo sono stati attentissimi a cancellare ogni traccia del suo passato affinchè si muova sul palcoscenico di questo mondo in modo smarrito. Un uomo così frastornato, svuotato della sua dimensione storica, delle sue tradizioni, delle sue consuetudini, della sua narrazione generazionale e dunque familiare potrà mai regalarsi un futuro in formato bambino? Certo che no. Privo delle quinte della storia come potrà essere attore del suo tempo, calcare le scene del suo presente e quindi come potrà proiettare se stesso nel futuro con la sua prole? Per costui il futuro non è promessa da realizzare, ma condanna da scampare.
Infine i nostri compagni di viaggio verso l’eternità non sanno che c’è un’intera eternità ad attenderli. Sono uomini senza Dio. Togli Dio, togli il Padre e dunque togli tutti i padri, tutti i genitori. Chiusa la fonte della vita a monte, a valle i campi non daranno frutto perché non più irrigati. Soffocata la voce di Dio nella coscienza collettiva, si è spenta anche la voce della Provvidenza. Ed ecco sorgere la paura: la nemica numero uno dei figli. Ce la faremo? Quanto costa un figlio? Mi sento pronta ad essere madre? Non è meglio aspettare di avere un contratto a tempo determinato, di aver pagato almeno mezzo mutuo, di risolvere i problemi di salute di mio padre, di ambientarci in questa nuova città? Tu aspetti, ma il ticchettio dell’orologio biologico non aspetta.
Eliminato Dio, il domani si oscura e diventa solo una minaccia, una profezia infausta, uno stato di allerta continuo, un rischio di incalcolabile portata. Nulla più concorre al bene per chi ama Dio, proprio perché non si ama Dio. Il “crescete e moltiplicatevi” pare una favoletta per quegli uomini-bambini che credono ancora in un Dio che non ci farà mancare nulla. Diventa un mito il desiderio di riempire il Cielo con i propri figli per donare la felicità eterna a persone nuove di zecca che senza il nostro “Sì” non ci sarebbe mai state. Il figlio come figlio di Dio è oggi concetto assolutamente estraneo, radicalmente alieno alla sensibilità collettiva.
Senza la trascendenza, l’immanenza si esaurisce nel non senso. E brancolando nel buio dell’esistenza, perché priva del suo senso ultimo e definitivo, come si potrebbe mai mettere al mondo un figlio? Quest’ultimo non sostanzia in sé anche un afflato divino? Quest’ultimo, in un certo qual modo, non perpetua l’esistenza dei genitori sulla Terra (e non solo con la propria memoria) e non li eterna in Cielo?
Cancellate nell’uomo la sua natura, le sue relazioni, la sua storia e Dio e lo priverete anche dei suoi figli.

