L’unità dei cristiani è cattolica o non è
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Punti fermi sull’autentico dialogo ecumenico, al di là dei miti storici e delle illusioni teologiche che si rivelano inconcludenti poiché prescindono dalla verità. Un approfondimento dal n. 4 (gennaio) della nostra rivista di formazione apologetica "La Bussola mensile".
In occasione della Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani riportiamo un approfondimento, a firma di don Nicola Bux, sacerdote e docente di liturgia orientale, ben noto ai nostri lettori, tratto dal numero in corso della nostra rivista di formazione apologetica La Bussola mensile (pp. 16-18).
Ai nostri tempi il relativismo è entrato in Europa e, penetrando nella Chiesa, è diventato la “scelta” nuova, o, in greco, l’eresia. Giovanni Paolo II ricordava che i cristiani non sono unanimi nel riconoscere e testimoniare che Egli è, anche oggi e domani, «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6); hanno paura di essere presi per arroganti, perciò talora abbandonano questa verità per la verità dell’altro. Malgrado in Lumen gentium (nn.13 e 16) si parli di ordinamento di tutti gli uomini all’unico popolo di Dio nell’unità cattolica, proprio da parte di ecumenisti cattolici si predica un’unità parallela o addirittura una chiesa diversa dalla cattolica. Eppure, l’unità che continua ad esistere nella Chiesa cattolica non è merito dei cattolici, consapevoli ogni giorno delle debolezze e dei peccati, ma è segno e mistero della fedeltà divina.
Dinanzi a questa verità fondamentale, risulta astratto l’ecumenismo odierno di tipo protestante, ma presente in casa cattolica, il quale, mentre professa nel Credo la fede nella Chiesa una e cattolica, sogna una chiesa ecumenica. A questo punto, i cristiani tutti, non solo cattolici, devono domandarsi se perseguono l’unità ecumenica o quella cattolica del Credo. Il vocabolo “ecumenico”, dal greco oikos – che sta ad indicare tutta la terra abitata e divenuta una casa comune –, rivela il medesimo desiderio d’unità universale del termine cattolico, anch’esso d’origine greca, che significa per tutta l’estensione di; solo che il primo sostiene l’ideale dell’unione, il secondo quello dell’unità, che sono tra loro inassimilabili e per certi aspetti contrari. È logico e necessario che si abbiano quindi due ecumenismi: «un ecumenismo unico è fatalmente bastardo – osserva Jean Guitton –, perché mescola insieme credenze che si oppongono, accreditando la falsa idea d’un loro accordo, e l’idea ancor più falsa ch’esse siano due espressioni diverse d’una verità superiore all’una e all’altra» (Il Cristo dilacerato, Cantagalli, Siena 2002, p. 220). Infatti, nel capitolo primo del decreto conciliare Unitatis redintegratio, si dice che «i fratelli da noi separati, sia essi individualmente, sia le loro comunità e Chiese, non godono di quella unità, che Gesù Cristo ha voluto elargire a tutti quelli che ha rigenerato e vivificato insieme per formare un solo corpo in vista di una vita nuova, unità attestata dalle sacre Scritture e dalla veneranda tradizione della Chiesa» (n. 3). Segue l’esplicazione che solo la Chiesa cattolica, in cui c’è il collegio apostolico con a capo Pietro, è lo strumento generale di salvezza.
Per aiutare i cattolici a operare per la reintegrazione dell’unità tra i cristiani riannodando i legami spezzati “tra Pietro e Paolo”, il decreto conciliare sull’ecumenismo fissa alcuni punti (cfr. nn. 2-4):
1. Tutti quelli che sono validamente battezzati sono incorporati a Cristo e si trovano in una certa comunione con la Chiesa di Cristo.
2. Molti elementi dell’unica Chiesa si trovano nelle comunità separate dalla Chiesa cattolica (parola di Dio, azioni sacre, doni invisibili, virtù teologali, ecc.)
3. Queste comunità, sebbene imperfette e non in possesso pieno dei mezzi di salvezza, non sono prive di significato nel mistero di salvezza, perché lo Spirito se ne serve per spingere verso la pienezza che esiste nella Chiesa cattolica in quanto essa «è il mezzo universale di salvezza», poiché ha sempre conservato l’unità della Chiesa affidata al collegio apostolico unito a Pietro.
Il dialogo ecumenico non può andare oltre l’unità cattolica, ma deve recuperare al cattolicesimo quanti si sono separati; pertanto, va condotto senza smettere di essere cattolici. Invece, si è diffusa l’idea che l’unità della Chiesa, dopo il primo millennio, sarebbe andata in pezzi; la mitizzazione del primo millennio si deve alla supposizione che, in quel periodo, la Chiesa fosse indivisa. Eppure, il decreto ecumenico del Vaticano II ricordava che «in questa Chiesa di Dio una e unica sono sorte fino dai primissimi tempi alcune scissioni, condannate con gravi parole dall’Apostolo ma nei secoli posteriori sono nate dissensioni più ampie, e comunità considerevoli si staccarono dalla piena comunione della Chiesa cattolica, talora per colpa di uomini di entrambe le parti» (n. 3). Dunque, già dalle origini – nel primo millennio – nella Chiesa indivisa le comunità e i singoli cristiani si separavano dalla comunione cattolica. Paolo ebbe ad affermare: «è necessario che avvengano divisioni tra voi» (1 Cor 11,19). Le divisioni sono opera umana, ma sono anche provvidenziali, «per assumere nella divisione – rifletteva Joseph Ratzinger – ciò che è fecondo, disintossicare la divisione stessa e ricevere proprio dalla diversità quanto è positivo; naturalmente nella speranza che alla fine la rottura smetta d’essere rottura e sia invece solo una “polarità” senza contraddizione» (Chiesa, ecumenismo e politica, Edizioni Paoline, Cinisello B., 1987, p.135).
Questa verità sull’unità bisogna dirla tutta. Non si può prescindere, come scrive Hans Urs von Balthasar, dal presupposto capitale che è «la certezza di poter esibire nell’interno della Chiesa l’unità e la pienezza della verità e della realtà cattoliche. Chi lavora al recupero dell’identità cattolica, pone le basi di un dialogo ecumenico sensato» (Piccola guida per i cristiani, Jaca Book, Milano 1986, pp. 114-115)
Sebbene non pochi ortodossi abbiano giudicato “irrealistiche” le vie del ritorno alla situazione del primo millennio cristiano, e la considerazione delle rispettive visioni – cattolica e ortodossa – quali parallele o complementari, il termine ecumenico, verso la prima metà del secolo scorso, ha subito una “metatesi”, diventando sinonimo di riunificazione dei cristiani. Ma esso ha praticamente – anche in certa ecclesiologia insegnata nei seminari – eclissato e sostituito il termine “cattolico”. Poi, nell’indicare le diverse chiese e comunità cristiane, si è passati dall’uso del termine “confessione” a quello di “denominazione”. Questo ha favorito la confusione e il relativismo dottrinale che hanno minato l’obiettivo dell’ecumenismo, quello di giungere senza compromessi a recuperare l’unità della fede. Henri de Lubac aveva annotato che dal IV secolo catholicus equivale, in certi casi, a ortodosso, in opposizione all’eresia; ma non perde però il suo senso fondamentale. Quando Sant’Agostino, per esempio, parla delle vera catholica membra Christi, catholicus è già l’equivalente d’ortodosso, ma non è ancora usato che come epiteto, e mantiene dal contesto una referenza al senso di “universale”.
L’approfondimento di tutto questo fa parte dell’educazione alla fede. Di conseguenza si potrà comprendere il paradosso dell’identità nella diversità tra Cristo e la Chiesa, tra la pienezza della communio sanctorum e l’incompiutezza della communio terrena, tra l’unità della Chiesa e la molteplicità delle chiese.
Il problema ecumenico va considerato dal punto di vista del realismo cristiano prima che da quello idealistico; ripetiamo nella Messa: Credo la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica: cosa avevano in mente i padri conciliari di Nicea che formularono quella professione di fede? E cosa pensavano i padri del Vaticano II? «La Chiesa è come un Cristo dilacerato a causa della divisione dei cristiani. Ma tale smembramento, che è una sofferenza, non le toglie la sua unità, la sua vita, la sua pienezza, perché la Chiesa cattolica è la struttura unica della salvezza attorno alla quale, quando Dio giudicherà venuto il tempo, deve ricostituirsi l’unità visibile dei cristiani e degli uomini di buona volontà» (Guitton, op. cit., pp. 240-241). Queste parole del celebre pensatore laico, amico di Paolo VI, anche se scritte all’inizio del concilio nel 1963, non hanno perso alcun valore. Da cattolici non si può considerare diversamente l’ecumenismo: quello cattolico sarà attento a quei valori delle altre chiese non in opposizione con quelli che già sono patrimonio della Chiesa cattolica. Le divisioni dei cristiani sono di fatto inevitabili: in merito, Guitton aggiunge che «ogni “grande eresia” esiste in maniera latente nella struttura e nella profondità dello spirito umano»; da Ario a Bultmann si potrebbe individuare una linea costante. Ne consegue che «la storia totale del cristianesimo rassomiglierà molto all’evoluzione delle specie, come se la figurava Bergson: una spinta creatrice lungo un asse privilegiato e, separatisi da quest’asse, dei rami che non seguono la sua direzione, che si scindono, si moltiplicano, o smettono di crescere e di partecipare all’élan vital, ma rimangono tuttavia capaci di riunificazione e in certo modo sempre pronti a ripiegare verso l’asse a unirsi di nuovo ad esso, come è nelle speranze di ogni spirito ecumenico, e come delle circostanze imprevedibili possono proporre alle coscienze cristiane e la volontà divina realizzare» (Ibid., p. 24).
Vi sarà sempre un Atanasio, che con alcuni altri lucidi e coraggiosi, concorrerà col popolo fedele a salvare quanto la Chiesa cattolica ha di più caro: Gesù Cristo e la fede in lui, Verbo incarnato e Signore risuscitato. Così sarà fino alla fine del mondo. Il concilio dice qualcosa di simile quando parla degli elementa Ecclesiæ che si trovano sparsi nelle comunità separate e che rimandano all’unica Chiesa. L’ecumenismo vero, reale, non è quindi un movimento umano, ma divino, perché per la potenza di Cristo risorto – per lo Spirito Santo – può reintegrare sempre di nuovo l’unità. Guai a immaginare di raggiungerla una volta per tutte: sarebbe una superbia simile alla torre di Babele!
L’ecumenismo deve servire a che «tutti i cristiani» si trovino «riuniti in quella unità dell’unica Chiesa che Cristo fin dall’inizio donò alla sua Chiesa, e che crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica, e speriamo che crescerà ogni giorno più fino alla fine dei secoli» (UR 4).
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