L'icona di santo Stefano con il vaccino e la fede orizzontale
L’anomalo Stefano di Maupal che invoca un “sacro vaccino” simboleggia un cristianesimo che, mentre esegue con efficienza il suo culto liturgico, ha smesso di vedere “i cieli aperti” e pone la sua speranza nell’uomo, nella medicina e nella scienza. L'opera è irriverente ma descrive bene la perdita della fede nella Chiesa in tempi di Covid-19.
Nei giorni scorsi a Borgo Pio, a due passi dal Vaticano, è apparso un manifesto raffigurante un’icona di Santo Stefano alquanto particolare. Il santo, raffigurato secondo i canoni classici dell’iconografia bizantina, porta nella mano destra un turibolo, e nella mano sinistra una siringa nell’atto di spruzzare un medicinale. Sullo sfondo una scritta in latino a caratteri cubitali invoca un “sacro Vaccino”.
Il manifesto si aggiunge all’ampio catalogo di street art firmati dall’artista romano Mauro Pallotta (in arte Maupal) che in questi ultimi anni ha più volte scelto la vivace strada pedonale del rione borgo per esporre le sue creazioni a tematica religiosa. Tra le opere, debitamente rimosse in poche ore, ricordiamo papa Francesco versione “Superman” (o “Super Pope”), papa Francesco che lancia un salvagente ai migranti e papa Francesco che gioca a tris con una guardia svizzera. Di certo ignoriamo le intenzioni didattiche o, meglio, per usare un termine molto in voga, “pastorali” dell’artista improvvisatosi iconografo, ma senza dubbio l’iniziativa suscita alcune riflessioni.
La tradizione cristiana ci invita a rivolgerci a Dio in mezzo alle difficoltà e alle croci che la vita ci presenta. Sofferenze personali, familiari o collettive, ci mostrano la nostra fragilità e ci offrono l’occasione per alzare lo sguardo e invocare l’aiuto e il sostegno divino. La pandemia da Covid-19 che dalla Cina si è diffusa in tutto il mondo ha gettato tutti in un'inedita situazione di preoccupazione e sconforto generalizzati. Di fronte a questa situazione dolorosa e in un panorama così incerto è giusto e doveroso che la Chiesa ricordi che non c’è salvezza fuori da Dio. D’altronde è chiaro a molti che riporre la propria speranza nella scienza, dopo questa esperienza, non sembra essere la migliore soluzione.
L’improvvisa comparsa del Coronavirus ha evidenziato – oltre che l’inadeguatezza della classe politica – la fragilità della comunità scientifica, con esponenti di spicco molto sicuri di sé in televisione e alla radio (con contratti da capogiro) ma in pieno affanno in corsia. Con decisioni prese e poi rimangiate, confusione e contraddizioni (ad esempio sull’uso delle mascherine), presunte cure trovate da alcuni ed ostacolate da altri (dal plasma a fino allo spray Endovir stop passando per quelle promosse dal vescovo del Camerun ma ignorate da tutti perché l’Africa piace ma solo in alcuni casi), vaccini annunciati, testati, vaccini trovati e rifiutati (quello di Putin era poi una fake come hanno detto?)… Gli operatori sanitari, che durante la fase più acuta dell’emergenza hanno dato tutto e guadagnato la giusta stima dei concittadini (medici, infermieri, anestesisti, radiologi, tecnici in sede e a domicilio etc…) hanno mostrato il lato migliore dell’impegno e della solidarietà ma nel complesso la scienza non sembra aver fatto una bella figura in questo anno terribile che sembra volgere al termine senza che si sia riusciti ad arginare il virus mortale.
In un mondo in cui l’orizzonte esistenziale è ormai puramente orizzontale è normale che la speranza sia riposta in ultima istanza nell’uomo e nella sua scienza. Va da sé dunque che, in una società senza Dio, l’attesa del vaccino come ultima chance per frenare definitivamente i contagi e bloccare la diffusione del virus cinese acquisti i contorni di una attesa messianica. Non a caso, come già messo in evidenza (in un articolo dell'1 maggio) i virologi si sono presentati al mondo come “sacerdoti di una nuova religione”, dotati di un’autorità stra-ordinaria per decretare dai loro pulpiti l’interruzione di ogni altro culto religioso in nome di quella di una (gaia) scienza che si offre al mondo come ultima àncora di salvezza. In questa prospettiva il vaccino diventa naturalmente il nuovo auspicato farmaco e cibo di vita (se non eterna, per lo meno libera da virus cinesi) e il gel disinfettante può facilmente sostituire l’acqua santa con la quale segnarsi al fine di scongiurare ogni male.
Ma se in qualcosa il cristiano si distingue (o dovrebbe distinguersi) dal mondo che lo circonda è nell’intima certezza che la sua vita non si conclude nel cimitero ma che la promessa di Gesù Cristo è certa e veritiera; la sua promessa è la vita eterna (1 Gv 1,25) che Egli ha guadagnato per noi con la sua morte e la sua resurrezione. Il cristiano sa di essere nel mondo come un pellegrino, di passaggio, e che la meta alla quale aspira è il cielo dove poter godere della visione beatifica promessa da Cristo ai suoi discepoli.
Da qui deriva una scala di valori che mette la salvezza dell’anima al di sopra della salvezza del corpo, con la consapevolezza del fatto che se il corpo è destinato a morire noi siamo destinati alla vita eterna. Ne sanno qualcosa, e lo hanno testimoniato col sangue, quella schiera di martiri che hanno preferito salvare la loro anima piuttosto che conservarsi in vita per qualche anno in più su questa terra, a partire dai martiri della Chiesa primitiva fino ai nostri contemporanei che in Cina o in Medio Oriente hanno pagato con la vita la loro fedeltà a Cristo. Vittime di paranoie dittatoriali, di sovrani sanguinari o di terroristi islamici, in una parola vittime dell’odio e della intolleranza anticristiana.
Tra questi, un posto particolare lo ha proprio santo Stefano, primo martire cristiano, che la Chiesa ricorda ogni 26 dicembre, subito dopo la nascita del Salvatore. Uomo di grande fede, Stefano fu scelto per il servizio alle mense. Non mancò dunque di onorare i deboli, i poveri, le vedove e gli affamati procurando e distribuendo il pane per il loro sostegno fisico. Ma di fronte alla persecuzione non disdegnò di consegnare il suo corpo a favore della salvezza dell’anima e della fedeltà a Cristo; prima di morire, dopo aver annunciato il Kerygma ai suoi persecutori, affermò di contemplare “i cieli aperti e il Figlio dell’uomo, che sta alla destra di Dio”. A queste parole fu preso e trascinato fuori dalla città dove fu lapidato fino alla morte.
L’anomalo Santo Stefano di Maupall che invece invoca un “sacro vaccino” (senza abbandonare il turibolo in onore a Dio) lascia dunque perplessi perché simboleggia un cristianesimo che, mentre esegue con efficienza il suo culto liturgico, ha smesso di vedere “i cieli aperti” e pone la sua speranza nell’uomo, nella medicina e nella scienza. Nella crisi pandemica che ha sconvolto il mondo in quest’anno, spesso la Chiesa si è mostrata timida nell’offrire una lettura degli eventi a partire dalla fede (vedasi ad esempio la sollecitudine con cui si è disposta l’interruzione del culto e a sottoporre la questione ai tecnocrati al potere o leggansi le “riflessioni inattuali” di mons. Paglia nel documento humana communitas). A parte pochi e periferici richiami alla fede ciò che è emerso è una lettura orizzontale e sociologica della pandemia offrendo riflessioni per un cambiamento di “stile di vita” improntato su atteggiamenti più solidali, sinodali ed ecologici e una riorganizzazione sociale ed economica più attenta e condivisa (ad esempio sulla distribuzione dei vaccini). Al contrario chi ha proposto letture teologiche (vedendo nel virus una chiamata a conversione e un ammonimento divino) è stato prontamente redarguito e smentito da autorevoli commentatori.
Dalla Chiesa molti si aspettavano altro, una voce profetica, la novità di un annuncio di speranza, fede in chi realmente ci salva. Perché per ricordarci che dobbiamo uscirne migliori, più uniti, volendoci bene perché siamo tutti fratelli, basterebbe rileggersi Natan il saggio e i suoi tre anelli della discordia (o della concordia). Non a caso la Chiesa del tempo rifiutò la lezione illuminata di Lessing, una lezione che nega ogni trascendenza, appiattisce le religioni e relativizza la realtà divina per costruire un mondo di fratellanza universale senza Dio. In quel caso, con ragione, non ci resterebbe altra speranza al di fuori dell’ammuchina, della mascherina e del “sacro vaccino”.