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I venerdì della Bussola

L’equilibrio, così i santi hanno perseverato nella fede

Nell’odierna confusione, come può il cristiano perseverare nella fede? E come discernere se sta invece deviando? Un aiuto da sant’Ignazio. Il cattolicesimo dell’et-et. L’importanza dell’amicizia. Dal videoincontro di ieri con don Marco Begato.

Ecclesia 06_07_2024

In un mondo che è sempre più secolarizzato e in una Chiesa che vive, essa stessa, una grave confusione, come perseverare nella fede? Attorno a questo tema – che richiama quello scelto per la nostra campagna di raccolta fondi estiva – è ruotata la diretta di ieri dei Venerdì della Bussola, dal titolo: “Perseveranza, istruzioni per l’uso”. A condurre Stefano Chiappalone, con ospite il salesiano don Marco Begato.

Per perseverare nella fede, ha spiegato il sacerdote, c’è una «regola d’oro» ben indicata da un grande maestro di vita spirituale come sant’Ignazio di Loyola. Nei suoi Esercizi spirituali, è costante il riferimento a quello che deve essere «il duplice obiettivo» di ogni cristiano: «Primo, la maggior gloria di Dio. Secondo, la salvezza dell’anima». Due obiettivi chiaramente inseparabili, che, come osserva don Begato, «esemplificano il grande comandamento dato dal Signore: ama Dio sopra ogni cosa; e ama il prossimo come te stesso». Se invece ci poniamo altri obiettivi, ad esempio di «teologia politica», «non saremo mai soddisfatti», con il rischio di deviare noi stessi dalla retta via e acuire la confusione.

Ma un cristiano come può discernere se sta perseverando nella fede o invece deviando? Il salesiano suggerisce un altro criterio pratico, mutuato ancora da sant’Ignazio: l’analisi dei propri vizi capitali. Se magari ci si trova a essere «un militante cattolico molto interessato, informato e attivo», ipotizza don Begato, e ci si accorge di cadere più facilmente in uno o più vizi capitali, allora è un campanello d’allarme: «Per cui prima lavora sul tuo vizio, e poi i frutti verranno da sé», dice il sacerdote. È inutile e anche controproducente prendere «mille iniziative» senza coltivare davvero il nostro rapporto con Dio, perché i frutti «vengono dalla vita di grazia, quindi dall’accogliere l’azione dello Spirito Santo in noi. E i vizi sono il segnale che non lo stiamo accogliendo; e se non lo stiamo accogliendo, non possiamo operare».

Il fedele, per perseverare, deve conservare l’equilibrio, anche di fronte alle varie crisi ed “emergenze” che spuntano periodicamente, dentro e fuori la Chiesa. Se c’è un evento o un «momento X», come lo chiama don Begato, a cui si collega una svolta in negativo in un determinato contesto, non bisogna cadere nei due opposti errori del qualunquismo e dell’oltranzismo. Dietro domanda di uno spettatore, il salesiano ha fatto l’esempio della Comunione sulla lingua vietata durante la pandemia da Covid-19. Un fatto in sé certamente negativo, ma che ha avuto come risvolto indiretto quello che non pochi fedeli – abituati alla Comunione in mano – hanno scoperto che ricevere l’Eucaristia direttamente in bocca è la modalità più consona di comunicarsi (rimandiamo a un contributo di don Nicola Bux per approfondire). In sintesi: bene difendere questa pratica e farne conoscere il valore, ma senza cadere in facili condanne di chi fa altrimenti, magari perché mai adeguatamente edotto al riguardo.

Equilibrio significa anche non dividere artificiosamente il cattolicesimo, come chi, esemplifica Chiappalone, fa «la divisione tra il cattolico della liturgia e quello dei poveri»: piuttosto, va ricordata «la regola aurea cattolica dell’et-et», su cui tanto ha insistito Vittorio Messori nei suoi scritti. Don Begato osserva al riguardo come il magistero di Benedetto XVI abbia inteso ampliare la dimensione dell’et-et, cercando di ridare il giusto spazio alla tradizione. Di nuovo, è importante guardare all’esempio dei santi, che sono tali perché hanno saputo incarnare questo equilibrio. Il sacerdote salesiano ha ricordato come «san Francesco d’Assisi andasse in giro come un cencioso ma avesse sempre grande custodia degli altari, dei calici, del breviario». Similmente, san Giovanni Bosco viveva nella povertà, ma al tempo stesso aveva «una grandissima cura della liturgia».

Un ostacolo che spesso si sperimenta oggi, vista la società secolarizzata, è quello di ritrovarsi isolati, di non avere una compagnia capace di aiutarci a perseverare nella fede. Lo si vede sui posti di lavoro ma anche nelle parrocchie, ormai ampiamente penetrate dalla mentalità del secolo, come per esempio accade per le convivenze. «Di fatto, statisticamente, nella situazione attuale, noi siamo più soli rispetto a quando la società era cristiana. Allora c’era un tessuto», osserva don Begato, aggiungendo che «la soluzione rimane sempre la medesima: cioè, questo tessuto da qualche parte va ricostruito». Di qui l’importanza di coltivare amicizie autentiche, virtuose, che ci aiutino a «restare nell’equilibrio per portare avanti la nostra testimonianza anche in un contesto di crescente solitudine».

Amicizie terrene, senz’altro, ma non solo. «Non dimentichiamoci mai di quell’amicizia particolare che è l’amicizia spirituale, l’amicizia al Signore Gesù e alla Vergine Maria, l’amicizia all’angelo custode, l’amicizia di un santo», perché, come fa presente il sacerdote, nella lettura della vita di un santo, nella scoperta di un carisma possiamo ritrovare degli elementi capaci di rigenerarci e orientarci.

Per perseverare nella fede, va da sé che bisogna conoscere la fede in cui perseverare: una considerazione, questa, banale e cruciale al tempo stesso, specie nel diffuso disorientamento odierno. Bisogna stare attenti ai falsi maestri, oggi sempre più improvvisati, che magari si dichiarano cattolici ma non si basano sull’insegnamento bimillenario della Chiesa oppure lo prendono a pezzetti (che è ciò che ha sempre contraddistinto le eresie). Invece, bisogna avvalersi di «uno strumento che sia della Chiesa e che aiuti proprio a custodire la fede della Chiesa e che ci è stato donato dalla Chiesa»: questo strumento, ricorda don Begato, è il Catechismo. Del resto, sia san Giovanni Paolo II nel presentare il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) sia Benedetto XVI nel presentare il relativo Compendio (2005) avevano sottolineato l’importanza di questi testi per conoscere e preservare la retta fede.