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ANNIVERSARIO

L'emergenzialismo sanitario è ancora una minaccia in Occidente

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Lockdown scriteriati, chiusura di scuole e chiese, vaccinazione forzata di massa. A 5 anni dall'inizio dell'emergenza Covid è importante comprendere come sia stato possibile che una parte maggioritaria della popolazione abbia ceduto al panico e creduto a provvedimenti tanto illogici e apertamente illiberali. Perché il rischio che si ripeta è molto alto.

Cultura 03_02_2025

Sta passando, complessivamente, in sordina nel nostro Paese il quinto anniversario dell'epidemia di Covid 19, e delle misure emergenziali che furono varate - con la giustificazione di contrastarla - in gran parte del mondo, in particolare nei Paesi europei e occidentali. Misure che in Italia furono tra le più rigide e illiberali.

È prevedibile che chi promosse o favorì quella deriva emergenzialista faccia di tutto oggi per relativizzarne la gravità, e continui a rivendicarne la necessità, sia pur più flebilmente che un tempo, sostenendo che non vi fossero alternative, e che se non fosse stata adottata il bilancio dell'infezione sarebbe stato molto più tragico. Ma anche da parte di tutti coloro che a quelle misure si opposero, e si batterono in difesa delle libertà individuali e della Costituzione, forse oggi, a distanza di cinque anni dall'inizio di quel periodo, sarebbe necessario uno sforzo per andare oltre la sacrosanta e ineludibile polemica sulle cifre della mortalità e sull'efficacia o meno dei vaccini per tentare di tracciare un bilancio storico e politico complessivo di quegli avvenimenti, che ne individui le radici profonde e rappresenti la premessa più solida per evitare che episodi del genere si ripetano in futuro.

Le cifre, dicevamo. Tra le statistiche dell'Istat e i lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta istituita in questa legislatura emergono dati sempre più solidi a supporto delle tesi sostenute per anni dagli oppositori del regime di emergenza pandemica. E i tentativi di distorcere il significato di quei dati per sostenere la necessità e l'efficacia dei lockdown, della chiusura delle scuole, dell'imposizione dei vaccini attraverso il green pass appaiono in tutta la loro patetica inconsistenza.

Sappiamo ora, dati alla mano, nei particolari ciò che già dopo poche settimane dallo scoppio dell'infezione appariva chiaro a chi avesse buon senso: che l'età media dei morti positivi al virus del Covid è sempre stata superiore agli 80 anni, che la quasi totalità dei deceduti soffriva di varie altre gravi patologie (e dunque la quasi totalità dei decessi era "con" e non "per" il virus), che al di sotto dei 50 anni di età la mortalità è sempre stata irrilevante. Che, dunque, non è mai esistita una minaccia pandemica mortale generalizzata per tutta la popolazione, e non esisteva alcun motivo valido per "chiudere" una società intera per mesi e mesi, affossare l'economia e l'occupazione, sopprimere i più sacri diritti costituzionali dei cittadini (libertà personale, di circolazione, di riunione, di impresa, di culto, diritto al lavoro e all'istruzione).

E sappiamo con altrettanta certezza oggi, alla luce dei dati accumulati, che la mortalità in eccesso in Italia si è mantenuta costante anche nel 2021 e nel 2022, cioè dopo la campagna di vaccinazione (forzata) di massa. E, anzi, nelle fasce di età più giovani essa è addirittura aumentata. Il che confuta ogni tesi trionfalistica sulla presunta decisiva, salvifica efficacia dei sieri, e getta una luce inquietante sui possibili loro effetti collaterali, contro i quali per tempo gli oppositori di una profilassi vaccinale indiscriminata e pressoché obbligatoria avevano saggiamente messo in guardia.

A maggior ragione, il radicarsi di queste evidenze deve spingerci a domandarci come sia stato possibile che una parte tanto ampia della nostra e di altre società abbia creduto – pur scontando il comprensibile panico della prima fase pandemica – che provvedimenti così illogici, perniciosi e apertamente illiberali fossero indispensabili, e che ancora adesso una parte di esse, sebbene minore, continui a crederlo. E, parimenti, come sia stato possibile per la classe politica italiana (come in parte per quella della maggioranza dei Paesi occidentali) sostenere che quei provvedimenti fossero compatibili con gli ordinamenti costituzionali liberaldemcoratici nei quali essa operava.

Per fornire una risposta non effimera a queste domande, e più in generale per comprendere fino in fondo il significato dell'emergenzialismo sanitario, è necessario inserire il fenomeno in un contesto storico più ampio: quello dei profondi mutamenti economici, politici, culturali maturati nell'epoca delle economie di mercato "mature", delle società "affluenti" iper-secolarizzate e anziane, del mondo globalizzato post-guerra fredda, delle rivoluzioni digitali.

Il diffondersi rapido della "crisi di panico pandemica" che ha giustificato e quasi richiesto la "dittatura sanitaria" in tale scenario è comprensibile innanzitutto come un fenomeno di tipo para-religioso: la compensazione inconscia di un vuoto spirituale, la risposta a un profondo bisogno di ritrovare il senso del peccato e della redenzione. Un bisogno che si è "scaricato" sulla paura più pervasiva e incontrollabile in società dominate dalla aspettativa di acquisizione di beni materiali e status: la possibile perdita della "nuda vita", condizione per soddisfare desideri e aspirazioni. E si è tradotto, rovesciandosi, in un'ansia ascetico-masochistica di punizione, di disciplina, di ricerca di autorità che le imponessero su una base "positivisticamente" incontestabile (la "Scienza").

Visto invece dal lato dell'organizzazione del potere, l'avvento dell'autoritarismo sanitario si colloca essenzialmente all'interno della tendenza, emersa negli ultimi decenni, al logoramento delle istituzioni democratiche, proprio nell'epoca del loro apparente trionfo. L'egemonia acquisita dalle élites transnazionalizzate da un lato, la reazione degli strati sociali impoveriti dagli effetti della globalizzazione dall'altro hanno favorito il crescente tentativo, da parte di quelle élites, di bypassare la dialettica pluralista in favore di soluzioni di governo "pedagogiche" fondate sulle ideologie woke (multiculturalismo, "green", Lgbt+), dirigistiche e tecno-scientiste (rinnovati "assolutismi illuminati" in cui ai governati tocca solo eseguire i "compiti a casa" assegnati). Una deriva che in Italia ha trovato un terreno fertile per le difficoltà storicamente radicate dell'alternanza democratica, e per l'onnipresenza di uno Stato "etico-burocratico" favorito dalle particolari modalità del nostro nation building.

È in questa temperie che si inserisce il tentativo delle classi politiche di sfruttare e alimentare la "crisi di panico pandemica" per rafforzare la concentrazione oligarchica del potere. Ed è a partire da queste premesse che - se il ripiegamento delle società occidentali non verrà superato da una nuova, vitale spinta alla crescita – quel tentativo potrebbe ancora ripresentarsi.

La Bussola organizza a Milano un convegno a 5 anni dall'inizio dell'emergenza sanitaria da Covid: "Pandemiopoli". Appuntamento il 22 febbraio al Teatro Rosetum di Milano, via Pisanello 1, ore 10. Seguirà programma completo.



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