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l'iss in commissione covid

Mortalità zero, quella verità nei numeri scontati ma nascosti

Commissione Covid, l'Iss ha difeso il suo operato respingendo le accuse di aver addomesticato i dati. E ha mostrato i numeri da cui si evince che sotto i 50 anni la percentuale di letalità era zero. Un dato sempre raccolto, ma mai comunicato capillarmente e che, se diffuso, avrebbe stravolto la narrazione pandemista. 
- Speranza senza speranza persevera nello scientismo di Paolo Bellavite

Attualità 01_02_2025

Che la partita del Covid sia stata giocata interamente su una guerra di numeri era parso chiaro fin da quando nei giorni caldi della prima ondata, l’allora ministro della Salute Speranza si presentava in conferenza stampa ogni giorno sciorinando dati e grafici per illustrare la situazione dei contagi e dei morti giorno per giorno. E che quei numeri, amplificati poi da una grancassa mediatica asfissiante, che giustamente è stata ribattezzata infodemia, diventassero la scusa e l’appiglio per chiudere tutto prima e pio costringere la popolazione a sottoporsi alla campagna vaccinale di massa sperimentale, è ormai stato compreso da tutti.

I numeri, dunque, i dati forniti dalla scienza erano il verbo per poter instillare la paura, l’appiglio a cui la politica si aggrappava per giustificare le sue scelte folli, tra cui la chiusura delle scuole, le cui ricadute negative sui ragazzi, prima psicologiche e poi sociali si sono viste negli anni a seguire.

A quei numeri, pochi intrepidi col rischio della gogna provavano ad opporre altri numeri, o per lo meno una lettura diversa di quei numeri per dimostrare invece che l’allarme sui contagi e sui decessi andasse governato razionalmente e non emotivamente o peggio ancora politicamente come invece è accaduto sotto i governi Conte II e Draghi.

La “numeromachia” alla quale abbiamo assistito ha prodotto certezze vane e verità impalpabili, ma è stata una guerra giocata interamente non per mostrare i dati, ma per scegliere quelli funzionali ad una certa narrazione e interpretarli politicamente in senso restrittivo.

Ora che le acque della pandemia si sono relativamente calmate ecco però che quei numeri prima sbandierati, acquistano un senso nuovo o per lo meno possono venire mostrati e letti con maggiore razionalità. L’occasione ce l’ha data l’audizione di giovedì in Commissione Covid dove sono stati auditi due dirigenti dell’Istituto Superiore di Sanità, organo che durante la pandemia con il suo ormai ex presidente Silvio Brusaferro è stato in prima linea assieme a Speranza nell’alimentare l’infodemia mediatica.

E nel corso dell’audizione della dottoressa Anna Teresa Palamara, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell'ISS e del dottor Patrizio Pezzotti, direttore del Reparto epidemiologia, biostatistica e modelli matematici del Dipartimento malattie infettive dell'ISS, il nocciolo della questione è stato quello di difendere il proprio operato dall’accusa di aver addomesticato i dati in favor di politica.

Accusa che i due tecnici hanno respinto sdegnati, pur con qualche siparietto comico, come quando il senatore della Lega Claudio Borghi ha chiesto a Pezzotti come facesse ad essere così «apodittico» sui numeri, ricevendo la sua sdegnata risposta, manco fosse la peggiore delle offese.

Ma l’Iss ha fatto sostanzialmente il suo dovere, che è quello di fornire grafici e dati sull’andamento della pandemia, per provare a giustificare le scelte politiche drastiche poi effettuate. Ma nel farlo, essendo i numeri interpretabili, ma anche sinceri e “puri” a loro volta, hanno anche mostrato ciò che durante le conferenze stampa di Speranza e Brusaferro non veniva mostrato.

Come, ad esempio, il dato della percentuale di letalità di tutti i contagi suddivisa per fasce d’età. E qui, l’ingranaggio si è inceppato e il re, per una volta, si è mostrato nudo. L’ultima colonna del grafico mostrava senza ombra di interpretazioni malevole che la percentuale di letalità sotto i 50 anni è stata zero. Troppo pochi, infatti, i casi di morti “per” o “di” Covid (la questione non è stata sciolta convintamente nemmeno da loro durante l’audizione) in quella fascia d’età, e tutti ad una verifica successiva per gravi coborbilità pregresse, per poter giustificare l’allarme pandemico indiscriminato su tutta la popolazione, da zero a 90 anni e oltre.

Anche la fascia d’età 40-49 anni, a fronte di 4.285 contagi totali, ha visto “solo” 1829 decessi. Certo, quel “solo” non è per sminuire una morte, ma è riferito alla percentuale successiva, che appunto era prossima allo zero. E così anche la fascia d’età precedente, quella dai 30 ai 39 anni: appena 500 decessi, che davano comunque nel calcolo percentuale una percentuale di zero perché troppo irrisorio ai fini statistici.

Per la verità, questi dati l’Iss li ha sempre riportati fedelmente, tanto che chi provava a obiettare un approccio diverso rispetto alla pandemia, si avvaleva proprio di questa percentuale per giustificare un approccio diverso, che tenesse conto di fattori di rischio o di età e che non trattasse la popolazione intera come tutta e nello stesso modo a rischio morte. Ma il decisore politico, che evidentemente era interessato a trasmettere altri messaggi, quel dato non l’ha mai diffuso, pur essendo facilmente reperibile nelle banche dati dell’Iss. Era più interessato a guardare dentro quei pochi numeri di decessi e mostrare il caso particolare per poter estendere la paura a tutti. E così si è andati avanti con proiezioni e grafici di “omini” e “omoni” per colpire anche l’occhio del cittadino, che prontamente veniva poi “educato” alla paura dai media che recepivano non i dati veri, ma la loro interpretazione.

Eppure, a ben guardare, se si fosse diffuso capillarmente nella narrazione dominante il concetto che il Covid non faceva vittime sotto una certa età e che era pertanto curabile e guaribile, molto non ci sarebbe stato. Il lockdown, ad esempio, così come il green pass. E nemmeno la campagna vaccinale si sarebbe dovuta estendere coattivamente a tutta la popolazione come invece è stato.

Mentre quei “pochi” morti per effetti avversi da vaccino (pochi fino ad un certo punto), a differenza di chi per il Covid è morto in giovane età a causa di situazioni pregresse gravi e debilitanti, erano sani in partenza e non suscettibili di alcun rischio a fronte di un beneficio che non ebbero mai. Eppure, oggi hanno avuto la vita rovinata a causa di una paura irrazionale mentre i danneggiati, un esercito a cinque anni dall’inizio della pandemia ancora sotterraneo, stanno ancora facendo i conti con quella sciagura.