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Lombardia

Le bugie del governatore Fontana per invocare il suicidio assistito

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Il governatore leghista, in dissenso con il suo partito, chiede una legge sul suicidio assistito, voluta secondo lui da «tantissime persone». In realtà la quasi totalità dei pazienti chiede cure. Ma i media amplificano i pochi casi scovati dai radicali. E in ogni caso un politico deve tutelare il bene comune, a partire dalla vita.

Vita e bioetica 22_11_2024
Attilio Fontana, Consiglio regionale Lombardia, 19/11/2024 (LaPresse)

La Regione Lombardia ha bocciato la proposta di legge sul suicidio assistito presentata dai radicali (così come in altre regioni), dato che le regioni sono incompetenti in materia. È solo il Parlamento che potrebbe legiferare su tale pratica.

Il Corriere della Sera ha intervistato il governatore lombardo Attilio Fontana su questa bocciatura, lui che invece aveva votato a favore, in dissenso con la Lega, il partito in cui milita. Di questa intervista vogliamo mettere in evidenza uno snodo concettuale su cui Fontana è tornato più volte: sono i cittadini a chiederci una legge sul fine vita. Così il governatore: «Ho sempre sostenuto e continuo a ribadire che dobbiamo ascoltare le esigenze che provengono dai nostri cittadini». Il fine vita è un «tema che è sicuramente sentito da tantissime persone. […] Il fine vita è un tema complesso che la nostra cittadinanza ci sottopone e che richiede che venga trattato». E per Fontana, tra l’altro, la soluzione è una legge nazionale. Questi così continua: «Credo che la politica debba ascoltare le esigenze che vengono dalla società e poi prendere le decisioni. […] È doveroso dare a tutti la possibilità di decidere in base alle proprie convinzioni. […] Credo nella tutela dei diritti che vengono richiesti e che abbiano una loro credibilità».

Dunque, per Fontana i lombardi esigono a gran voce che la Regione o il Parlamento legiferi sul fine vita. Le prove di questa affermazione? Nessuna. L’eutanasia viene spacciata come esigenza sociale diffusa, ma senza portare alcuna giustificazione valida a tale asserto. Infatti non abbiamo notizia di cortei o manifestazioni che chiedono il diritto di morire, sui social il tema è presente ma non in modo così popolare e, a parte i radicali, la gente comune non si è riunita in comitati né ha lanciato raccolte firme per vedere approvata una norma sul suicidio assistito. La gente sul tema sarà anche a favore a livello teorico, ma nella pratica è indifferente. Dal favore non si è passati alla pretesa perché il primo non si è trasformato in bisogno.

Se poi andiamo a vedere come si comportano i diretti interessati, vediamo che l’orientamento è pro-vita, non pro-morte. La quasi totalità delle persone che ad esempio patisce patologie oncologiche severe non chiede di morire, anzi cerca disperatamente cure per allungare la propria aspettativa di vita. Parimenti, chi è affetto da sclerosi multipla e da tetraplegia e da altre disabilità gravi o gravissime vuole vivere e non morire. Vuole dalla sanità, compresa quella lombarda, non le iniezioni letali, ma iniezioni di vita. Sono arrabbiati con la Regione per i disservizi dell’assistenza sanitaria, non perché questa non riesce a dispensare pratiche eutanasiche ai pazienti lombardi. E costoro sono migliaia. In modo analogo, i parenti che assistono i propri cari morenti o incapaci di intendere e volere, perché – espressione erronea ma comprensibile da tutti – “in stato vegetativo”, vogliono non una legge sul fine vita, ma che vengano attuate le buone pratiche mediche già esistenti per iniziare a far vivere bene i propri figli e coniugi.

Eppure la percezione collettiva è diversa: pare che gli aspiranti suicidi siano numerosi come i granelli di sabbia di tutte le spiagge del mondo. Questo avviene perché ai pochi casi di persone che si vogliono candidare all’eutanasia viene data un’eco mediatica smisurata, ossia non proporzionale alle reali dimensioni del fenomeno. Contro un Beppino Englaro che chiedeva di non dar da bere e da mangiare alla figlia Eluana e a cui si diede infinito spazio sui giornali e in televisione esistono migliaia di genitori nelle sue stesse condizioni che invece vogliono far vivere e non far morire i propri congiunti e a cui si riserva solo l’oblio informativo. Inoltre, i rari casi di richieste di eutanasia sono sempre scovati dall’Associazione Luca Coscioni – e non di rado i candidati all’eutanasia fanno parte della stessa associazione – ciò a dimostrazione della partigianeria e della residualità del fenomeno.

Dunque appare inverosimile, come invece sostenuto da Fontana, che il popolo esiga una norma che gli permetta di accorciare i propri giorni su questa Terra. Lo esige invece una lobby, quella eutanasica, che da decenni sta spendendo energie in politica, nei tribunali, nei media, sulle piazze per spingere l’acceleratore dell’eutanasia. Una volontà di pochi, il cui DNA è quello radicale, che i molti recepiranno passivamente, come spesso è accaduto.

Una nota finale. Anche nel caso in cui la maggior parte dei cittadini volesse una legge sull’eutanasia, questo non potrebbe legittimare nessuna regione né nessun parlamento a concedere loro tale legge. La verità morale va riconosciuta, non messa ai voti. Il fine del governante non è in primis quello di accondiscendere ai desiderata dei cittadini (se così fosse, da domani dovrebbero essere cancellate tutte le imposte), bensì operare per il bene comune, ossia costruire quelle condizioni sociali che permettano ai singoli di operare secondo la legge naturale. Va da sé che l’uccisione dell’innocente con o senza il suo consenso è in contraddizione con il bene comune perché in contraddizione con la legge naturale. L’ordinamento giuridico, più in particolare e molto in sintesi, deve comandare ciò che è necessario per il bene comune (vedi le imposte), deve legittimare senza comandare ciò che è necessario per il bene comune ma che deve essere lasciato alla libera determinazione dei singoli (vedi la legittimazione del matrimonio) e vietare ciò che è gravemente lesivo per il bene comune: furti, stupri, truffe, attentati e, per tornare a Fontana, omicidi. L’eutanasia è un omicidio e quando si mostra nella sua variante di aiuto al suicidio deve essere ugualmente vietata.

Dunque, il criterio per normare non è prima di tutto quello della soddisfazione delle esigenze dei cittadini o l’assecondamento delle convinzioni personali – criteri che, tra l’altro, vengono sventolati quando fanno comodo alla propria ideologia e taciuti in altre occasioni meno vantaggiose. Le esigenze e le convinzioni personali devono essere prese in considerazione solo quando sono adeguate al bene comune, non quando, come dice Fontana, sono credibili. Il criterio ultimo è quindi oggettivo e non soggettivo: la ragionevolezza di una certa condotta in vista del bene collettivo. E infatti, volendo chiudere con una domanda retorica, se tutti volessero la legalizzazione della pedofilia, il saggio governante dovrebbe concederla?



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