Fitto passa, ma l'accordo sui vice delinea una Ursula debole
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Nonostante l'accordo raggiunto sulla vicepresidenza di Fitto, la nuova composizione delinea una Commissione che riflette solo in parte l’esito del voto popolare di giugno con Patrioti, Conservatori e Sovranisti sacrificati. Ma servivano leadership e realismo politico oggi assenti e persino il sacrificio di Ursula von der Leyen.
L’accordo ed il voto favorevole di tutte le commissioni parlamentari votato mercoledì ai vicepresidenti designati della Commissione e al candidato ungherese, a seguito di un accordo tra i leaders di Popolari, Socialisti e Liberali, intitolato "Dichiarazione e piattaforma di cooperazione", elenca nove punti che riflettono gli orientamenti politici annunciati dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen il 18 luglio 2024, giorno della sua rielezione.
Il suo secondo mandato è in procinto di iniziare il 1° dicembre, dopo il voto della plenaria del parlamento del prossimo 27 novembre. Il vero vincitore dell’irresponsabile braccio di ferro inscenato dai socialisti europei che hanno bloccato il percorso di approvazione dei sei vicepresidenti della Commissione la scorsa settimana, è il PPE e, in misura minore, sia i Patrioti che i Conservatori. E’ mancato il coraggio della politica di accettare tutte le conseguenze del voto di giugno, tuttavia la nomina del bravo e competente Raffaele Fitto e le mani libere per PPE, Conservatori e Patrioti di costruire maggioranze variabili, è un timido primo passo nella giusta direzione. Non ci sarà un voto unanime: Verdi, Sinistre, Sovranisti, Patrioti e forse anche piccole fazioni dei Conservatori non voteranno a favore della Commissione nel suo insieme e a maggioranza dei voti espressi e per appello nominale.
Il veto su Fitto e Varehly si è sciolto dopo il voto sul rinvio della legislazione sulla deforestazione e la ferma posizione tenuta proprio dai Popolari sino a mercoledì, giorno in cui la vicepresidente del governo spagnolo e ministro dell’ambiente è stata sottoposta ad una lungo jaccuse delle opposizioni per la sua insufficiente e pavida gestione dell’ambiente, delle infrastrutture idriche e dell’emergenza nel territorio valenciano che ha portato ad oltre 220 morti. Persino il “Financial Times” ha definito le dichiarazioni della Ribera sulla tragedia di Valencia come irresponsabili ed inconsistenti.
Le condizioni poste dai Popolari spagnoli, assunte come posizione dell’intera famiglia politica europea, per il voto a favore della nomina di Teresa Ribera alla Commissione europea erano chiare da giorni: audizione al Congresso spagnolo e impegno a dimettersi se e quando sarebbe stata indagata per la tragedia di Valencia. Una volta uscita con gran disonore dalle “forche caudine” di Madrid, è stata raggiunta l’intesa a Bruxelles, anche su pressione del premier spagnolo Pedro Sanchez che, temendo la bocciatura della propria rappresentante nella Commissione europea, ha dovuto spalancare le braccia con nonchalance ai Conservatori e ai Patrioti.
Caduto il veto su Raffaele Fitto e su Olivér Várhelyi, non restava che evitare ai socialisti e ai liberali di perdere la faccia e, a rimetterci, è stato l’ungherese che vedrà ridursi le sue deleghe, visto che quelle relative ai diritti sessuali e riproduttivi e sulla supervisione del servizio della Commissione europea per la preparazione sanitaria (DG HERA), istituito durante la pandemia di COVID-19 per affrontare future crisi sanitarie, saranno attribuite ad altri, probabilmente all’abortista liberal-socialista Hadja Lahbib, attualmente alla “preparazione e gestione delle crisi e parità”. Tuttavia, Várhelyi mantiene il controllo sulle competenze in materia di cibo e benessere degli animali, così come su altre aree relative alla salute come i prodotti farmaceutici, i dispositivi medici e la legislazione sul tabacco.
Certamente sconcerta che questo sopruso, politicamente motivato, nei confronti del competente candidato ungherese, si sia consumato proprio nei giorni in cui la Corte di giustizia europea (CGUE) ha iniziato le udienze sulla controversa legge ungherese sulla protezione dei minori, anti pedofilia e anti propaganda LGBTI, per il quale la Commissione europea e sedici Stati membri hanno citato in giudizio Budapest, per una presunta discriminazione nei confronti della comunità LGBTI. Se la corte dovesse ritenere Budapest colpevole di una «violazione grave e persistente» dei valori e dei principi fondamentali dell'UE, si potrebbe attivare quell’"opzione nucleare" dell'UE (articolo 7 del Trattato dell'Unione europea) che consente la sospensione per l’Ungheria dei diritti di appartenenza, compreso il diritto di voto e di veto nel Consiglio europeo. Una vergogna.
Tuttavia, tornando all’accordo per la nuova Commissione, bene ha fatto il leader del PPE Manfred Weber a ricordare che «tutti possono avere voce in capitolo per il futuro dell'Europa. I socialisti hanno dossier forti. I liberali hanno dossier forti, il PPE ha molti commissari. E anche l'Italia dovrebbe far parte di tutta la futura leadership della Commissione». Con questa composizione, la Commissione riflette solo in parte l’esito del voto popolare del giugno scorso, i Patrioti e i Conservatori avrebbero dovuto esser molto più rappresentati ed anche i Sovranisti avrebbero meritato di avere una presenza, ma una tale corretta composizione implicava leadership e realismo politico oggi assenti e persino il sacrificio di Ursula Von der Leyen.
A ben leggere l’accordo siglato nella serata di mercoledì dai leader di Popolari, Socialisti e Liberali si concentra semplicemente su obiettivi generali per i prossimi cinque anni, prendendo spunto dal programma di investitura della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ci si impegna a lavorare insieme per i prossimi cinque anni ma il PPE si ritiene libero di cercare alleanze sia a sinistra che a destra, nell’individuare maggioranze su ogni singolo provvedimento, caso per caso nelle decisioni dell’Aula e delle commissioni a Strasburgo. Il PPE ha anche ottenuto che la candidata socialista accetterà solennemente la richiesta delle sue dimissioni (come futuro commissario) o si dimetterà su richiesta della Presidente Von der Leyen, se venisse indagata o dalla giustizia spagnola per la tragedia di Valencia e la superficiale gestione del suo incarico di governo a Madrid.