Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
CRISI UCRAINA

Le armi prima del cibo ai rifugiati. È un’Ue grottesca

Prosegue il dramma dei rifugiati per i Paesi di confine con l’Ucraina, come Polonia, Ungheria, Moldavia, Romania e Slovacchia. Questi Stati hanno chiesto all’Unione europea un fondo di miliardi di euro per aiutare i rifugiati. Ma da Bruxelles è arrivata fin qui solo una concessione “insufficiente” e i soldi stentano ad arrivare. Mentre sulle armi...

Attualità 18_05_2022
Ursula von der Leyen

Ci piaccia o meno, all’Unione europea interessa più la guerra che la fame dei rifugiati ucraini, siamo più pronti ad inviare rifornimenti di proiettili che soldi per il sostegno dei rifugiati ucraini. Ma le bombe sono il regalo migliore per le popolazioni che fuggono dalla guerra? Ha ragione monsignor Krzysztof Zadarko, presidente del Consiglio episcopale polacco per le migrazioni, il turismo e i pellegrinaggi, che ha detto nei giorni scorsi: “La portata degli aiuti umanitari forniti dalla Chiesa cattolica in Polonia è enorme. Non c’è parrocchia che non voglia partecipare… c’è bisogno di assistenza sistemica di lungo periodo”. Ma l’Europa dov’è?

Lo avevamo scritto su queste pagine, il dramma dei rifugiati per i Paesi di confine con l’Ucraina è, come nel caso della Polonia, ormai insostenibile. I dati dell’Unhcr, agenzia Onu per i rifugiati, sono chiari: la Polonia accoglie nei suoi confini 3,4 milioni di rifugiati su un totale di 6,2 milioni scappati dalla guerra. Questi numeri sono persone, mamme, bambini, anziani che scappano dal conflitto in condizioni di povertà. Son quelli che chiedono di poter stare in pace e, se possibile, lavorare, studiare, poter aver un giaciglio sicuro. “La Polonia ha bisogno dell’aiuto dell’UE per affrontare l’ondata di rifugiati dall’Ucraina”, lo ha ripetuto con dignità ancora una volta il viceministro degli Interni polacco lunedì 16 maggio. Paweł Szefernaker ha ribadito la richiesta dopo un incontro a Varsavia con i legislatori di Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia, esprimendo allo stesso tempo che il tanto invocato summit europeo, che si terrà a fine mese a Bruxelles sui rifugiati e gli aiuti ai Paesi che li accolgono, prenda le “decisioni necessarie” e urgenti.

Varsavia non si è tirata mai indietro e anzi è attivissima nel tentativo di sensibilizzare i vertici europei nei confronti delle difficoltà che i Paesi di accoglienza stanno incontrando. Basti ricordare che solo la scorsa settimana, 9 maggio, si è tenuta a Varsavia la conferenza dei Paesi europei che stanno compiendo i maggiori sforzi nell’accoglienza e integrazione degli ucraini. Alla conferenza erano riuniti i governi di Romania (924 mila rifugiati), Ungheria (610 mila rifugiati), Slovacchia (424 mila rifugiati) e Moldavia (464 mila rifugiati), anche con la partecipazione di Gran Bretagna, Germania, Austria, Repubblica Ceca e i tre Paesi baltici. È stato il primo forum di questo tipo per lo scambio di informazioni ed esperienze legate al soggiorno e all’adattamento dei rifugiati di guerra ucraini nei Paesi più interessati. La scorsa settimana erano stati i rappresentanti di questi Paesi a chiedere all’Europa con una sola voce: “Abbiamo bisogno di un fondo di miliardi di euro, non per aiutare la Polonia, ma per aiutare i rifugiati che arrivano nel nostro Paese”. La Polonia ha anche ospitato, dal 10 al 13 maggio, la 33a Conferenza regionale della Fao con 55 paesi dell’Europa Centrale e dell’Asia, sulla sicurezza alimentare e i rischi provocati dalla guerra.

Lo stesso 13 maggio, l’ambasciatrice polacca alle Nazioni Unite, Joanna Skoczek, aveva ricordato al Consiglio di Sicurezza l’erculeo impegno del proprio Paese nell’accoglienza dei bambini rifugiati, fornendo loro “un’istruzione, ma anche nello svolgere un ruolo molto più importante nella loro vita. In tempi di guerra, le aule scolastiche possono e devono dare ai bambini un senso di stabilità e rappresentare uno spazio sicuro per imparare ed elaborare il trauma”. Il 14 maggio scorso, il presidente della Commissione degli Affari Sociali del Parlamento europeo, Dragos Pislaru, in visita ufficiale con una delegazione di parlamentari al governo di Varsavia per conoscere gli sforzi sostenuti dai polacchi, aveva dovuto ammettere l'enorme impegno e rassicurato sull’arrivo di finanziamenti europei.

Belle parole al vento, l’Unione europea sinora latita ed è rimasta alla concessione, “insufficiente” per la Commissaria Vera Jourová, di poter usare i fondi per le politiche di coesione, relativi al bilancio 2014-2020, e un parziale nuovo uso dei fondi React-EU per il Covid (un totale di 17 miliardi), per sostenere l’accoglienza dei rifugiati. I soldi comunque stentano ad arrivare e, come sostiene il recente rapporto del think tank Bruegel, sarebbero necessari comunque 40 miliardi di euro per i rifugiati ucraini. Invece, pochi soldi, quasi per nulla disponibili, e una melina infinita delle istituzioni europee solo per stabilire un vertice che si occupi seriamente dei milioni di persone accolte e dei Paesi di accoglienza.

Per l’invio delle armi invece tutto il contrario; in questo caso Ursula von der Leyen sembra Speedy Gonzales. Nella riunione di ieri dei ministri degli Esteri dell’Ue si sono destinati altri 500 milioni di euro, che portano il totale dell’impegno di spesa corrente dell’Ue a favore degli armamenti per l’Ucraina (acquisto e trasporto soprattutto dagli Stati Uniti) ad almeno due miliardi. Attenzione, alla spesa ufficiale e immediatamente disponibile dell’Unione europea per la guerra, dobbiamo aggiungere quella di decine di milioni che ogni Paese della Nato può/deve a sua volta pagare e inviare per obbedire alla stessa Nato e agi Usa e inseguire il motto imbracciato dall’Ue: “La Russia deve perdere la guerra!”. Non eravamo un continente per la pace e l’accoglienza? Dimentichiamocelo, ormai a Bruxelles son tutti tori che inseguono il panno rosso (o russo). È un dovere accogliere i rifugiati di guerra, lo è ancor più se sono rifugiati di fede cristiana, come ripetevano Giacomo Biffi e Alessandro Maggiolini. L’Europa predilige invece incensare Volodymyr Zelens'kyj e i suoi inni alla guerra.