L'attacco di Vance mette a nudo un'Europa che tradisce se stessa
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Le élite politiche europee si sono scandalizzate per lo storico discorso alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, ma il vice-presidente americano ha messo il dito nella piaga di un'Europa che tende pericolosamente all'autoritarismo e che, se non inverte la rotta, va verso il suicidio.
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Le ultime settimane sono state un autentico incubo per le classi dirigenti dell'Unione Europea. A partire dal discorso di insediamento di Donald Trump dall'America sono arrivate bordate devastanti, una dietro l'altra, che hanno fatto a pezzi tutte le convenzioni e le argomentazioni retoriche sulle quali il loro potere tentava di legittimarsi agli occhi dei cittadini delle loro nazioni e del mondo.
Prima il ripudio radicale del globalismo ideologizzato, con la nuova uscita degli Stati Uniti dal Trattato di Parigi sul clima e quella annunciata dall'Oms. Poi la minaccia concreta dei dazi "reciproci", che smaschera il protezionismo sedimentato praticato dal vecchio continente verso il nuovo, e obbligherà i leader dei paesi Ue a scomodi negoziati bilaterali. Poi le proposte spiazzanti di risoluzione del conflitto a Gaza, che mettono a nudo la totale impraticabilità della formula retorica dei "due popoli due Stati" con cui le classi politiche europee a lungo hanno comodamente tenuto il piede in molte scarpe sui temi del Medio Oriente, e certificano l'irrilevanza di queste ultime nei giochi di potenza in evoluzione in quell'area. Infine, l'annuncio choc dell'avvio di un negoziato di pace diretto tra Stati Uniti e Russia sul conflitto russo-ucraino, che lascia da parte senza complimenti l'Ue e il governo ucraino di Zelensky da essa sostenuto "senza se e senza ma" dall'inizio del conflitto.
Ma i colpi più ferali ai "mandarini" continentali sono arrivati negli ultimi giorni da un componente della nuova amministrazione statunitense la cui rilevanza essi avevano forse sottovalutato: il vicepresidente J.D. Vance (nella foto LaPresse). Quest'ultimo è "calato" in Europa per pronunciare due discorsi pubblici, evidentemente pensati e preparati con cura, in cui ha rivolto alle classi politiche europee critiche severissime su temi che toccano nervi particolarmente sensibili e dolorosi per le élites del vecchio continente, e anche dell'intero Occidente, negli ultimi decenni, e ha aperto di fatto un vero e proprio dibattito "sui massimi sistemi" dei fondamenti della civiltà euro-occidentale.
Prima, nell'"Action Summit" sull'intelligenza artificiale convocato a Parigi da Emmanuel Macron nella speranza di controbilanciare l'accelerazione impressa da Washington sul tema, Vance ha avvisato con molta chiarezza che gli Stati Uniti non accetteranno che lo sviluppo della ricerca sull'AI venga soffocato dalle iper-regolamentazioni e dalle tendenze alla censura e al controllo, le quali invece sembrano rappresentare ancora le principali preoccupazioni dei vertici dell'Ue in materia.
Poi, dopo qualche giorno (14 febbraio), nella Conferenza internazionale di Monaco sulla sicurezza dedicata all'Ucraina il vicepresidente americano ha preso di petto, spiazzandoli, i leader dei Paesi Ue con un intervento che è stato un pesantissimo atto d'accusa nei loro confronti sul tema, appunto, dei princìpi ispiratori dell'Occidente.
Vance ha sostenuto, come ormai è noto, che la peggiore minaccia alla sicurezza dell'Europa non viene da nemici esterni, come la Russia o la Cina, ma dall'interno, ed è una minaccia di natura culturale, etica, spirituale. In sintesi, il braccio destro di Trump ha denunciato il fatto che il modello politico costruito dall'Unione europea e da gran parte dei governi del continente appare oggi, visto dall'esterno, inclinare decisamente verso l'autoritarismo, e configurare un vero e proprio tradimento dei valori di libertà e democrazia che, pure, a parole quei governi sostengono con tanta enfasi. E ha fatto, a tale riguardo, esempi molto precisi, che sono certamente suonati per molti degli ascoltatori presenti come un vero e proprio schiaffo in pieno viso: l'irregimentazione soffocante dei social media; la censura e la repressione sempre più ferree della libertà di opinione e di espressione (con un particolare affondo sulla libertà religiosa e il diritto a pregare vicino alle cliniche per aborti); l'esplicita tendenza a manipolare i risultati elettorali quando non sono conformi a determinati dettami ideologici (in particolare, il caso incredibile della Romania); il tentativo di ghettizzare ed escludere dal dibattito pubblico forze politiche dal consenso anche rilevante, additandole unilateralmente come "impresentabili"; la promozione dell'immigrazione di massa incontrollata che mina la vita, la sicurezza, le libertà dei propri cittadini. Per di più, lo ha fatto da un punto di vista politico-culturale che per le élite euro-globaliste ha lo stesso effetto dell'aglio per i vampiri: quello di un conservatore assolutamente pro-vita e antiabortista.
Le reazioni piccate (come innanzitutto quelle dei vertici tedeschi e francesi), sdegnate, o sprezzantemente sarcastiche di alcuni "mandarini" al discorso di Vance, o addirittura il silenzio in cui alcuni altri hanno tentato di farlo cadere, sono la più chiara dimostrazione di come quell'attacco abbia colpito al cuore le residue sicurezze e i radicati pregiudizi di gran parte delle élites europee.
Non sono stati soltanto i contenuti delle accuse a fare male. È stato, forse, ancor più il tono autorevole, sicuro, senza la minima concessione al "politicamente corretto", con cui Vance le ha pronunciate, anzi scandite. Il tono di un emissario che mette pesantemente sul piatto il giudizio, severissimo, di chi tiene in questo momento le redini dell'Occidente e non ha intenzione di fare sconti a nessuno, nemmeno agli amici. «È arrivato un nuovo sceriffo in città», come ha chiosato sorridendo lo stesso vicepresidente. E il nuovo sceriffo – questa è stata forse la frustata più dolorosa – non ha come bussola ispiratrice soltanto il principio dell'"America first", dell'interesse nazionale, ma ha anche un'idea molto precisa della direzione in cui le democrazie alleate dovrebbero muoversi, e non ha nessun ritegno nel comunicarlo.
Quella direzione – lascia intendere Vance – sarà d'ora in poi criterio dirimente nei rapporti tra gli Stati Uniti e ciascuna di esse: abbandonare ogni velleità da Stato, o Superstato, etico che pretenda di "educare" i propri cittadini; abbandonare l'ideologia soffocante dell'ambientalismo antiumano e antieconomico; fare marcia indietro sull'indottrinamento woke; tornare a consentire un dibattito politico aperto, a 360 gradi, in cui vengano pienamente ammesse anche le forze populiste e sovraniste, in modo da muovere il continente verso politiche più realiste, orientate alla crescita e alla tenuta di un solido tessuto comunitario.
Insomma, Vance ha lasciato inequivocabilmente intendere come l'amministrazione Trump 2 sia tutt'altro che isolazionista o disinteressata ai rapporti con l'Europa, come molti pensavano. Al contrario, essa è estremamente preoccupata per la deriva autolesionista di un continente chiuso in una "bolla" ideologica, votato alla decrescita e alla decadenza, sempre più fragile ed esposto a influenze di poteri estranei alle sue radici. E lancia alle sue classi dirigenti un avvertimento deciso: o state con noi, con la linea di conservatorismo realista, de-regolatore e identitario di Trump, o prima o poi non ci sarà più tra noi una vera alleanza, con tutte le conseguenze negative che per voi potranno derivarne.
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Stati Uniti e Russia intendono giocare da soli la partita sullo scacchiere internazionale, Medio Oriente compreso. Con il plauso della Cina e l'irritazione dei vertici politici europei, deliberatamente esclusi dai colloqui di pace.