L'Afghanistan che resta: tribalismo in veste islamica
I Talebani possono anche consentire alle donne di studiare: saranno i loro mariti, nei matrimoni combinati, a vietarlo. Possono anche non imporre il burqa per legge: saranno le famiglie ad esigerlo. E possono evitare di reintrodurre la lapidazione per le adultere: saranno i famigliari a uccidere. Sono tradizioni arcaiche, tribali, che l'islam ha rafforzato.
Forse in Afghanistan le bambine potranno andare a scuola, frequentare persino l’università purché separate dai maschi; e le donne potranno lavorare, almeno in certi settori e a determinate condizioni. Anche i Talebani capiscono che istruire le donne, quel tanto che serve e lasciarle lavorare, conviene e, per essere certi che restino sottomesse e dipendenti dai loro capifamiglia – siano essi mariti, padri, cognati, fratelli o figli – sanno che basta vigilare affinché la struttura patriarcale e autoritaria della società islamica e le sue istituzioni siano inderogabilmente salvaguardate.
Sono in gran parte istituzioni mutuate dalle società tribali preislamiche, arcaiche, che le hanno tramandate nei secoli, nel rispetto dovuto e tributato agli antenati ai quali è attribuita la loro fondazione. L’islam le ha ulteriormente rafforzate adottandole: ne esige infatti il rispetto perché prescritte dal Corano, parola di Dio increata, e praticate dal profeta Maometto, l’infallibile.
Tra tutte, il matrimonio combinato, meglio se precoce, può essere considerato un cardine delle società arcaiche: e in Afghanistan è ampiamente praticato da sempre. Soprattutto nelle aree rurali, sono frequenti due tipi di matrimoni combinati: quello cosiddetto di scambio tra due famiglie, ognuna delle quali si impegna a far sposare una figlia con un figlio dell’altra allo scopo di rafforzare i legami, consolidare una alleanza politica o economica; e il baad, che invece mette fine a una faida, a una disputa tra due famiglie e prevede che una delle due ceda in sposa una figlia all’altra.
Già adesso che per legge l’età minima per sposarsi è 16 anni per le donne e 18 per gli uomini, sono moltissime le ragazze sposate a 15 anni, previo consenso del padre o di un tribunale islamico, e anche più giovani. L’Unicef stima che un terzo delle donne afgane si sposino prima di compiere 18 anni. Oltre che combinati, i matrimoni precoci sono evidentemente anche forzati. Che i Talebani riconoscano o meno alle donne il diritto allo studio, la prima conseguenza dei matrimoni precoci è che le bambine e le ragazzine smettono di andare a scuola. Uno dei problemi ricorrenti inoltre sono le gravidanze a rischio. L’elevato tasso di mortalità materna in Afghanistan – 638 donne perdono la vita durante la gravidanza e il parto ogni 100mila nascite – si deve in buona misura all’età troppo giovane di molte madri.
Gli islamici si ritengono autorizzati a sposare delle bambine perché il profeta Maometto ha sposato Aisha, una delle sue mogli, quando aveva sei anni e ha consumato il matrimonio quando ne aveva nove. Nel 1979, appena gli ayatollah hanno conquistato il potere in Iran, una delle prime disposizioni della guida suprema Khomeini è stata portare l’età legale del matrimonio per le donne a nove anni.
Se i Talebani potranno rinunciare all’obbligo del burqa, come dicono, è perché potranno lasciare alle famiglie la cura di perpetuare istituzioni come il matrimonio combinato, forzato e precoce e altre – prezzo della sposa, poliginia, harem (la parziale o totale segregazione delle donne)… – sapendo di poter contare sulla convinta collaborazione di milioni di uomini e donne, in Afghanistan come altrove.
Per far pensare che sono davvero cambiati come sostengono, potrebbero persino rinunciare a lapidare le adultere confidando, a ragione, che siano le famiglie, nel segreto delle pareti domestiche, a ricuperare l’onore perduto a causa del comportamento inappropriato di un famigliare infliggendo alla colpevole punizioni fisiche severe, fino alla morte nel caso delle infrazioni più gravi. Basterà, se ancora non sono previsti dalla legislazione afgana, introdurre per chi uccide un famigliare per questioni d’onore delle attenuanti tali da evitargli sanzioni gravi.
È così che in molti Paesi islamici si legittima l’autorità dei capifamiglia e se ne riconosce il diritto, e anzi il dovere, di vegliare sul buon nome della propria famiglia, anche a costo di uccidere. Succede in Kuwait, in Pakistan, Bangladesh, Egitto, Nigeria, Mali… Persino in Giordania, dove le donne sono assai più tutelate che in altri Paesi musulmani, chi uccide per onore gode dell’indulgenza della legge tanto da non rischiare spesso neanche un giorno di carcere o al massimo qualche anno, acclamato al ritorno in libertà da parenti e vicini di casa fieri di lui. Da decenni la stessa casa reale tenta inutilmente di ottenere che il parlamento emendi i due articoli di legge che di fatto assolvono chi uccide per onore e tuttora il paese registra uno dei più alti tassi di omicidi d’onore del mondo. Così a decretare la morte di una ragazzina giordana è sufficiente che sia stata sorpresa a parlare in pubblico con un uomo con cui non è imparentata oppure che sia stata vista deviare senza motivo dal consueto percorso tra casa e scuola o lavoro.
Che i governi li tollerino o provino a sanzionarli, in quasi tutti gli Stati islamici gli omicidi d’onore sono approvati da molta parte della popolazione, i codici tribali prevalgono sui sistemi legali. È facile tacitare chi non è d’accordo accusandolo di essere un provocatore al soldo dell’Occidente che diffonde degrado morale. Succede anche in Afghanistan, con o senza talebani.