La via bolognese per sdoganare l’omosessualità
In diocesi di Bologna il vicario generale per la sinodalità sostiene che non ci sarebbe contraddizione, bensì convergenza tra il Catechismo (per cui gli atti omosessuali «sono intrinsecamente disordinati») e l’OMS (che li considera invece una «variante naturale»). Ma l’amore umano si basa sulla complementarità, che si realizza necessariamente soltanto tra uomo e donna.
Ardito esercizio retorico sull’omosessualità. Bologna Sette è il settimanale diocesano dell’omonima diocesi e la domenica esce come inserto di Avvenire. Sul settimanale bolognese il 26 giugno scorso troviamo in prima pagina un articoletto dal titolo Omosessualità: disordine o variante?, a firma di mons. Stefano Ottani, sacerdote della diocesi di Bologna che ricopre in essa diversi importanti incarichi. Articolo la cui lunghezza è inversamente proporzionale alla sua ortodossia. Mons. Ottani vuole provare che esiste l’unicorno, ossia che ciò che dice il Catechismo della Chiesa cattolica sull’omosessualità è perfettamente sovrapponibile a ciò che dice l’OMS sulla stessa. Peccato che il primo la condanni e la seconda l’assolva, anzi la premi.
Mons. Ottani cita inizialmente il Catechismo al n. 2357: «Gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati». A seguire la definizione dell’OMS: l’omosessualità è «una variante naturale del comportamento umano». Di primo acchito anche un bambino comprenderebbe che il contenuto delle due affermazioni risulta antitetico. Ma mons. Ottani vuole rendere quadrato un cerchio ed articola il seguente funambolico ragionamento. «È interessante notare», scrive il sacerdote bolognese, «che entrambe le espressioni hanno come riferimento l’immagine del cammino: l’ordine, infatti, così come è inteso nella tradizione morale cattolica, è una realtà dinamica, un atto “ordinato a” raggiungere uno scopo. Così la “variante” indica una diversa strada per raggiungere la stessa meta. Analoga considerazione può essere fatta per gli aggettivi: “intrinseco” sta a dire che non è frutto di una scelta soggettiva, ma una modalità oggettiva; altrettanto vale per “naturale” che sottolinea un fatto non intenzionale. A questo punto, più che la contrapposizione, sorprende la vicinanza delle prospettive».
Le cose non stanno così. Il termine “ordine” deriva dal latino ordo che, nella sua prima accezione, significa “orientamento” (e non «un atto “ordinato a” raggiungere uno scopo», come scrive il Nostro: indica un stato, non un atto). L’orientamento presuppone un punto verso cui si è orientati, una meta o fine verso cui si è inclinati. La natura umana, nella tradizione classica e scolastica fatta propria dal Magistero, viene intesa proprio come orientamento verso alcuni fini, un fascio di inclinazioni che tendono ad alcune finalità. Aristotele nella Politica affermava che «la natura è fine» (I, 1252 b 32). Gli atti e le condizioni interiori poi, per essere moralmente validi, devono assecondare queste finalità. Ad esempio, la nostra natura umana tende alla vita e quindi il suicidio contraddice questa finalità. Un’altra finalità naturale è la socievolezza: le condizioni psicologiche che spingono invece il soggetto a chiudersi in sé risultano quindi contrarie alla teleologia della natura, ossia al suo orientamento.
Una di queste finalità impresse nella natura umana è quella che ci attrae verso persone di sesso differente. L’eterosessualità è quindi una condizione secondo natura. Ma non potrebbe essere che anche l’omosessualità lo sia? Recuperiamo da un nostro vecchio articolo alcune riflessioni pertinenti al pezzo pubblicato su Bologna Sette. Tommaso d’Aquino spiega che un fine è naturale se per natura abbiamo gli strumenti per soddisfarlo. Ad esempio, la procreazione è fine naturale perché abbiamo gli organi genitali; la conoscenza è fine naturale perché abbiamo l’intelletto. Se dunque la persona perseguisse un obiettivo impossibile da soddisfare, non per meri accidenti esterni, ma perché sprovvisto per natura degli strumenti adatti a soddisfarlo, tale obiettivo non sarebbe un fine naturale e si agirebbe contro la natura razionale dell’uomo. Spiega Tommaso: «tutto ciò che rende un’azione inadatta al fine inteso dalla natura, va definito come contrario alla legge naturale» (Summa Theologiae, Supp. 65, a. 1 c). Il rapporto genitale di tipo omosessuale è incapace di soddisfare il fine naturale della procreazione e dell’unione amorosa. Dunque, è contraddittorio affermare che l’omosessualità è secondo natura quando è incapace di soddisfare i fini naturali del rapporto sessuale.
In genere, l’obiezione che si muove a queste argomentazioni riferite alla finalità procreativa è la seguente: anche molte coppie eterosessuali sono sterili o infertili. I motivi però che generano l’infecondità sono diametralmente opposti: il rapporto omosessuale è fisiologicamente infecondo, quello etero sterile è patologicamente infecondo; il primo per sua natura è infecondo, il secondo per sua natura è fecondo; il primo per necessità, cioè sempre e comunque, è infecondo (il rapporto omosessuale non può che essere infecondo), il secondo solo eventualmente (il rapporto sessuale eterosessuale può essere infecondo); il primo è normale che sia infecondo, il secondo non è normale che sia infecondo. L’omosessualità è una condizione infeconda non per un motivo accidentale o occasionale, bensì è infeconda per un motivo coessenziale all’atto: l’infecondità è intrinseca all’atto omosessuale stesso. All’opposto, l’infecondità del rapporto sessuale posto in essere da una coppia eterosessuale è da rintracciarsi non nella natura del rapporto stesso, bensì in cause esterne allo stesso: difetti genetici, ipospermia, problemi psicologici, età avanzata, patologie a carico degli organi genitali, interventi chirurgici, traumi, eccetera.
Un altro finalismo proprio della natura umana è l’amore. Una delle caratteristiche dell’amore umano è la complementarità: si cerca l’altro perché è complementare a sé. L’affetto omosessuale non è complementare perché la complementarità esige la differenza (io cerco ciò che mi manca, non ciò che ho già). Ciò è evidente sul piano fisico, dove la conformazione degli organi genitali maschili è fatta per incontrare quella degli organi genitali femminili, gli uni sono complementari agli altri. Ma così avviene anche sul piano psicologico: la psicologia maschile trova in quella femminile ciò di cui difetta e viceversa (tra gli altri cfr. D. P. McWhiter - A. M. Mattison, The male couple. How relationships develop, Prentice-Hall, Englewood Cliffs [NJ], 1984). Ecco perché maschio e femmina sono complementari, perché il maschio, in quanto maschio, trova nella femmina, in quanto femmina, quelle peculiarità che lui non ha e di cui ha bisogno per perfezionarsi.
Torniamo all’articolo di Ottani. Il Catechismo afferma che l’omosessualità e gli atti omosessuali sono disordinati, dicendo con ciò che entrambi contraddicono l’orientamento della natura umana che imprime alla persona una tensione verso il sesso opposto. Invece l’OMS afferma il contrario: l’omosessualità è una variante dell’orientamento della natura umana, così come l’eterosessualità. Il Catechismo ci dice che è contro natura, l’OMS che è secondo natura. Le due affermazioni sono in contraddizione ed è impossibile sovrapporle, farle coincidere. In tema di orientamento sessuale non ci possono essere varianti, ossia, come dice il prelato bolognese, diverse strade per raggiungere la stessa meta. La meta è unicamente l’eterosessualità e le diverse strade, le diverse varianti possono essere intese solo come diverse modalità di vivere l’eterosessualità, tante quante sono gli uomini e le donne su questo pianeta.
In merito agli aggettivi “intrinseco”, usato dal Catechismo, e “naturale” usato dall’OMS che per Mons. Ottani sono sovrapponibili perché entrambi indicano un dato oggettivo e non soggettivo, va chiarito però il senso dell’aggettivo “oggettivo” riferito all’uno e all’altro. La moralità di un’azione è data innanzitutto dal fine prossimo: volere assassinare una persona è fine prossimo malvagio. Il fine prossimo è ciò che connota l’oggetto dell’atto, la sua identità, la sua natura. Questo fine è quindi intrinseco all’atto, lo informa da dentro, lo identifica intimamente. Volere un rapporto omosessuale è fine intrinseco. E dato che è fine disordinato si può dire che è intrinsecamente disordinato, ossia è malvagio di suo, per l’oggetto scelto. Cioè non è disordinato innanzitutto per ulteriori fini malvagi che possono seguire l’atto omosessuale – avere un rapporto omosessuale per fini di lucro (prostituzione) – oppure per condizioni esterne contrarie al bene dell’uomo – se assumi anche tu condotte omosessuali favorisci il dilagare dell’omosessualità – ma perché per sua natura (intrinsecamente) è disordinato. Dunque, quando Ottani scrive: «“intrinseco” sta a dire che non è frutto di una scelta soggettiva, ma una modalità oggettiva», ciò che scrive è errato. Perché l’atto omosessuale è frutto di scelta soggettiva (ovviamente se compiuto liberamente) e pone in essere un atto che oggettivamente, ossia intrinsecamente, è disordinato.
L’aggettivo “naturale” usato dall’OMS è poi altrettanto errato, come abbiamo visto, perché associato a “variante”: abbiamo spiegato che non esistono varianti naturali all’orientamento sessuale, perché esiste solo un orientamento sessuale naturale, cioè un orientamento che proviene dalla natura, ed è quello eterosessuale. Dice bene in questo caso Ottani quando scrive che «“naturale” […] sottolinea un fatto non intenzionale», perché la natura umana – e dunque le sue inclinazioni, tra cui l’orientamento eterosessuale – non è un costrutto intenzionale della persona, ma un “fatto” metafisico che l’uomo può solo riconoscere e, di conseguenza, rispettare nei suoi atti.