La vera posta in gioco delle presidenziali: i fondi europei
La rosa di nomi presentata dal centrodestra è solo un passo intermedio e non deve provocare troppe illusioni. In realtà i partiti stanno trattando con Draghi, che era un candidato considerato sicuro e che invece sta sudando più del previsto. Cosa vogliono i partiti? Più potere nel prossimo governo, per gestire i fondi del Pnrr
Come da pronostico, anche la seconda votazione per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica è andata a vuoto. Pure quella odierna dovrebbe avere lo stesso esito, cioè una valanga di schede bianche. Si guarda già a domani, quando basterà la maggioranza assoluta dei grandi elettori, quindi 505 voti e eventuali accordi tra partiti potrebbero produrre la cosiddetta fumata bianca.
Come promesso giorni fa da Matteo Salvini, il centrodestra ieri sera ha ufficializzato una rosa di tre nomi: l’ex Presidente del Senato, Marcello Pera, l’ex Presidente della Rai e attuale assessore lombardo al Welfare, Letizia Moratti, l’ex magistrato Carlo Nordio. Tre nomi di alto profilo, definiti tali anche dal centrosinistra, ma difficilmente in grado di raggiungere la fatidica soglia richiesta per essere eletti. E’ assai probabile che si vada su altri nomi. Nelle ultime ore è tornata prepotentemente in primo piano la candidatura di Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato, che potrebbe contare sulla sponda del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio ma che non avrebbe il pieno gradimento del suo schieramento (si parla già di molti franchi tiratori che non la voterebbero). Sul fronte opposto, senza escludere il clamoroso Mattarella bis in caso di stallo prolungato, il centrosinistra cerca di capire se esistano margini per puntare su Mario Draghi oppure se sia meglio convergere su un candidato di area, nel qual caso Paolo Gentiloni, commissario europeo ed ex premier, sarebbe il più accreditato. E lo stesso Pierferdinando Casini, senatore Pd e democristiano gradito a parte del centrodestra, non è affatto fuori gioco.
Questa la cronaca di giornata, ma dietro le quinte si giocano altre partite, delle quali i giornali parlano solo superficialmente. Il sistema dei partiti, pur con tutti i distinguo e le rivalità tra le forze politiche e al loro interno, vuole tenere sulla corda il premier, che evidentemente pensava di poter andare al Quirinale senza troppi intoppi. E’ come se i partiti gli stessero dicendo che deve sudarselo il Colle, ammesso che riesca a conquistarlo. Affinchè gli alleati dell’attuale governo possano convergere con convinzione sul suo nome sono necessarie alcune condizioni che al momento mancano: la certezza che la legislatura vada avanti fino a scadenza naturale, per preservare la poltrona dei numerosissimi peones che temono di non tornare più in Parlamento; la formazione di un nuovo governo più politico, che elimini del tutto i ministri tecnici, da Lamorgese a Cingolani, e gestisca in tutto e per tutto le risorse del Pnrr, consentendo ai partiti di accontentare i rispettivi elettorati, con impegni di spesa, sussidi, investimenti e realizzazioni. Fino a due mesi fa il Presidente del Consiglio probabilmente immaginava un suo trasloco al Quirinale e un nuovo governo con la stessa maggioranza allargata e un altro premier al suo posto, possibilmente l’attuale ministro dell’economia, Daniele Franco, a lui vicinissimo e che avrebbe continuato senza turbamenti la gestione dei progetti di rilancio dell’economia post-Covid. I partiti, però, si sono lentamente riappropriati dello spazio che il premier aveva eroso con il suo decisionismo e la sua autorevolezza anche internazionale e ora usano altri candidati per alzare il prezzo con Draghi e imporgli scelte precise in caso di sua ascesa al Quirinale.
Come finirà? Difficile fare previsioni. Potrebbe accadere che la corda si spezzi e che Draghi rimanga dov’è, ancora per poco, per poi tornare a guardare fuori dai confini nazionali per nuove prestigiose collocazioni. Potrebbe invece succedere che i partiti ottengano da lui ciò che gli hanno chiesto, cioè carta bianca nella formazione del nuovo governo e quindi nell’indicazione di ministri politici che, nei prossimi 12 mesi, gestirebbero le ingenti risorse europee per finalità anche elettorali e propagandistiche.
La rosa di nomi del centrodestra è solo uno step intermedio nella trattativa con il fronte giallorosso, ma la soluzione finale verrà fuori da un compromesso: Draghi appoggiato dall’attuale maggioranza di governo, con la stabilizzazione del quadro politico, oppure una figura terza, non espressa da un partito o uno schieramento e alla quale diventi difficile dire di no. La strada è ancora in salita perché –è bene ribadirlo- questa volta non si elegge solo un Presidente della Repubblica, ma si vogliono mettere le mani su un tesoro di fondi europei senza precedenti e si vuole orientare il corso della politica italiana dei prossimi anni. Ecco perché un Presidente fortemente identitario e di rottura finirebbe per disintegrare l’attuale fronte di solidarietà nazionale che si è creato attorno all’attuale governo e per provocare una crisi al buio e dagli esiti imprevedibili, anche per la tenuta stessa del sistema Paese.