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Ora di dottrina / 156 – La trascrizione

La Trasfigurazione – Il testo del video

La Trasfigurazione fu il riverbero della divinità di Gesù, ma anche della gloria della sua anima, prima ancora della morte corporale: fu dunque un miracolo. La doppia finalità della Trasfigurazione. I testimoni dell’Antica Alleanza e quelli della Nuova: i perché della scelta di Pietro, Giacomo e Giovanni.

Catechismo 23_03_2025

La scorsa volta vi ho detto una “mezza bugia” nel senso che pensavo di fare per oggi il commento alle questioni relative agli insegnamenti e ai miracoli del Signore; invece preferisco dedicare questa Ora di dottrina alla quæstio 45, in cui san Tommaso tratta il mistero della Trasfigurazione del Signore. Visto il tempo di Quaresima e visto che la scorsa domenica è stato proclamato il Vangelo della Trasfigurazione sia nell’antico che nel nuovo rito, ho pensato di inserirlo in questa Ora di dottrina.

Siamo sempre nella III parte della Summa, nella sezione che riguarda i misteri della vita del Signore. Prima di tutto bisogna cercare di capire che cos’è stata la Trasfigurazione. San Tommaso, nell’art. 2 della quæstio 45, spiega che di fatto si trattò realmente di un miracolo. Perché? Perché il corpo del Signore non era ancora un corpo risorto, non era ancora un corpo immortale. Dunque, san Tommaso spiega che la condizione dei corpi gloriosi, quando risusciteranno tutti i corpi dei defunti e i viventi, sarà di riverbero della gloria dell’anima. Ora, nella Trasfigurazione chiaramente il corpo del Signore non è ancora un corpo risorto, immortale, tant’è vero che proprio la Trasfigurazione segue e/o precede, a seconda dei Vangeli, gli annunci della Passione e Morte del Signore, che quindi si doveva ancora verificare.

Ora, san Tommaso dice che la Trasfigurazione è stata una qualità passeggera, momentanea: dunque, non una qualità immanente e permanente del corpo, come sarà invece per i corpi gloriosi; lui usa l’espressione «a modo di impressione passeggera», quindi non ancora stabile, non ancora definitiva, nella quale questo corpo ha riverberato la divinità del Signore e la gloria della sua anima. Parlando dei misteri della vita del Signore, abbiamo detto che l’anima umana del Signore già godeva della visione beatifica. E dunque la Trasfigurazione fu non solo il riverbero della sua divinità, ma anche il riverbero della sua anima, della gloria della sua anima. Quello che mancava ancora all’umanità di Cristo era proprio il passare attraverso la morte e il risorgere per avere un corpo glorioso, nel quale questo riverbero sarebbe stato una qualità permanente. Ecco quindi che san Tommaso fa questa precisazione in questo articolo e ci spiega che cos’è stata la Trasfigurazione: un vero miracolo, in quanto il corpo del Signore ancora non era glorioso, non essendo ancora risuscitato da morte. Eppure aveva un aspetto comune a quello dei corpi gloriosi, cioè era un corpo che riverberava la gloria dell’anima, oltre che la divinità, essendo le due nature – umana e divina – unite nell’unica persona del Signore.

Detto questo, san Tommaso, come ormai siamo abituati in questa rassegna dei misteri della vita del Signore, all’art. 1 si domanda se fosse opportuno che Cristo si trasfigurasse. Perché il Signore ha voluto trasfigurarsi? Chiaramente non lo ha fatto per necessità, non lo ha fatto neanche per Sé stesso. San Tommaso dà questa spiegazione: «Il Signore, dopo aver predetto ai suoi discepoli la sua passione, li invitò a seguirlo. Ora, perché uno possa continuare diritto per la sua strada, è necessario che in qualche modo ne conosca il fine in anticipo. (…) Ora, Cristo per mezzo della sua passione arrivò alla gloria non solo dell’anima che già possedeva fin dal principio del suo concepimento, ma anche del corpo, secondo quelle parole del Vangelo di Luca (24,26): “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” [il riferimento è all’apparizione ai discepoli di Emmaus]. E a questa gloria egli conduce anche coloro che seguono le orme della sua passione, come dicono gli Atti degli Apostoli (14,21): “È necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio”. Era quindi opportuno che mostrasse ai suoi discepoli, mediante la Trasfigurazione, la gloria del suo splendore al quale configurerà i suoi» (III, q. 45, a. 1).

In sintesi, che cosa ci sta dicendo qui san Tommaso? Il principio di fondo è la prima affermazione che abbiamo fatto, tratta da questo testo, e cioè che per conoscere la strada io devo sapere il fine, devo conoscere fin dall’inizio dove devo andare: se non so neanche dove vado, è veramente difficile orientarsi e percorrere una strada giusta. Ora, questo “dove vado” è mostrato nel mistero della Trasfigurazione. Perché nel mistero della Trasfigurazione abbiamo una doppia finalità, una legata all’altra.

La prima: il Signore che sta andando a Gerusalemme per soffrire la sua Passione, che ha annunciato questa Passione ai discepoli, mostra il punto d’arrivo di questa Passione. Non è la Passione, non è la morte il punto d’arrivo, ma è entrare nella gloria, non dell’anima, della cui gloria il Signore già gode, ma nella trasfigurazione del suo corpo in un corpo immortale e glorioso con la Risurrezione. Detto in altro modo, il Signore pone chiaramente davanti agli occhi dei tre discepoli che ha scelto – Pietro, Giovanni e Giacomo – che il fine (e la fine) non è la morte, ma la trasfigurazione gloriosa del corpo, del suo corpo nella Risurrezione. Questo doveva fortificare la loro fede, come dicono i Padri, perché non venissero meno nella prova, anche se sappiamo che i discepoli si disperdono nel momento della Passione e Morte del Signore. E tuttavia il Signore vuole corroborare la loro fede, vuole far loro capire che, nonostante tutto quello che vedranno, il fine è un altro, non è quello.

La seconda: essendo Cristo il primogenito di molti fratelli, è il primogenito nella risurrezione. E dunque anche nella vita di ciascun cristiano, o di una persona che verrà incorporata in Cristo, il fine della vita è proprio questa glorificazione; nel nostro caso, prima dell’anima (glorificazione di cui noi non godiamo già in questa vita come invece il Signore) e poi dei nostri corpi nella risurrezione dell’ultimo giorno.

Dunque, la Trasfigurazione racchiude in sé il grande duplice mistero della glorificazione del Signore e della glorificazione del corpo mistico del Signore, delle sue membra. È un mistero veramente centrale, una sorta di preparazione, di esperienza previa di quello che è promesso. Una preparazione necessaria non per Dio ma per noi, perché noi non vediamo la nostra glorificazione, non vediamo il nostro corpo glorioso, ma abbiamo bisogno che in qualche modo ci venga posto davanti agli occhi della fede per resistere, per perseverare nella strada verso Dio. Dunque, vedete la centralità di questo testo e comprendete anche come mai nell’anno liturgico, oltre a una specifica festa dedicata alla Trasfigurazione del Signore, il 6 agosto, troviamo anche questo Vangelo nel cuore della Quaresima, a indicare appunto la Quaresima come cammino di unione alla Passione e Morte del Signore. Un cammino dove noi riviviamo, nei misteri, questa Passione redentiva del Signore; perciò, proprio lì deve essere collocato l’annuncio della Pasqua del Signore e anche della Pasqua delle sue membra.

Gli articoli 3 e 4 si soffermano su alcuni dettagli. Ricordate il metodo che abbiamo visto fino adesso, per il Battesimo di Gesù, le tentazioni, eccetera: per ogni dettaglio, san Tommaso si chiede se sia stato conveniente. In questo caso, nell’art. 3, si chiede se siano stati scelti bene i testimoni della Trasfigurazione; e nell’art. 4 se sia stata conveniente la voce del Padre: «Questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo».

Vediamo innanzitutto l’art. 3. Dunque, chi sono i testimoni scelti della Trasfigurazione? Sono i tre discepoli che abbiamo già nominato: Pietro, Giacomo, Giovanni. Ma sono anche Mosè ed Elia, che i tre apostoli vedono conversare con il Signore, parlare della sua dipartita, della sua prossima Passione. Ora, san Tommaso ci dice: «Era opportuno che tra i testimoni ci fossero alcuni che l’avevano preceduto, cioè Mosè ed Elia; e altri che lo avrebbero seguito, cioè Pietro, Giacomo e Giovanni» (III, q. 45, a. 3). Poco prima dice: «Cristo doveva condurre alla gloria della felicità eterna non soltanto coloro che sarebbero vissuti dopo di lui, ma anche coloro che lo precedettero» (ibidem). Qui c’è il grande mistero della storia della salvezza, cioè della lunga preparazione riassunta nella figura di Mosè – la Legge, la Torah – ed Elia, che è il primo, il più grande dei profeti d’Israele e dunque rappresentativo di tutti i profeti. La Legge e i Profeti, dunque; tutta l’Antica Alleanza, tutta l’antica economia di preparazione dell’Incarnazione giunge a Cristo e attende la Redenzione. Ecco perché parlano della sua dipartita, parlano di quel mistero che avrebbe riscattato tutta questa lunga preparazione, tutti coloro che attendevano il Messia in modo esplicito nell’Antica Alleanza e in modo implicito nelle popolazioni estranee ad Israele, cioè tutti coloro che avevano cercato di vivere con rettitudine attendendo in qualche modo, da Dio, una liberazione.

Dall’altra parte abbiamo la storia della Chiesa, il tempo che va dall’Incarnazione del Verbo, dalla sua Passione, Morte e Risurrezione fino alla Parusia: tutti coloro che in questo tempo, che è il nostro tempo, credono e vivono della grazia scaturita dalla Redenzione e attendono il ritorno definitivo di Cristo vengono salvati dallo stesso mistero di Cristo. Questo è importante perché non c’è – come ha dovuto ribadire la dichiarazione Dominus Iesus nell’anno giubilare del 2000 – altra salvezza al di fuori del Signore e del mistero della Redenzione. Non ci sono altre vie di salvezza, non ci sono altre possibilità di salvezza: tutti coloro che si salvano, si salvano per mezzo di Gesù Cristo e della sua mediazione redentrice. Questo è fondamentale ribadirlo, qui sta o cade il cristianesimo. Il cristianesimo è questo annuncio e realizzazione di Dio che si fa carne per salvare l’uomo, per redimerlo.

San Tommaso, attingendo dai Padri, aggiunge altre argomentazioni. Ne vediamo qualcuna, ad esempio questa di san Giovanni Crisostomo: «Per mostrare, portando con sé Mosè già morto ed Elia tuttora vivente, che egli era il padrone della vita e della morte, il giudice dei vivi e dei morti» (ibidem). Ora, sapete che di Mosè si dice che sia morto anche se non è mai stata trovata la sua tomba e questo ha portato alcuni autori a pensare che in realtà non fosse propriamente morto; san Tommaso sposa invece la linea che fosse appunto morto. Mentre di Elia sappiamo che è stato rapito, non in cielo: i cieli, nel senso della dimora eterna del Paradiso, erano ancora chiusi; eppure, questa permanenza di Elia, questo Elia vivo è una verità ammessa anche dalla tradizione ebraica. E dunque il vivo e il morto, per indicare che il Signore è giudice e signore dei vivi e dei morti. E così lo sarà nell’ultimo giorno, quando tutti i morti resusciteranno e si raduneranno, si prostreranno davanti a Lui; ma anche i vivi, cioè coloro che non hanno ancora conosciuto la morte, che saranno in questo mondo, saranno chiamati davanti a Lui.

Rifacendosi a sant’Ilario, san Tommaso presenta quest’altro motivo: «Per mostrare che egli era stato preannunciato dalla legge, data da Mosè, e dai profeti, tra i quali Elia occupa il primo posto» (ibidem). Dunque, di nuovo ci si ferma su Mosè ed Elia per indicare il compimento. Cioè, la Legge e i Profeti sono arrivati a destinazione, hanno visto la salvezza di Dio. Abbiamo diversi brani neotestamentari che dicono esplicitamente questo: pensiamo al vecchio Simeone, che vede la salvezza di Dio «preparata davanti a tutti i popoli». Pensiamo a questo episodio chiarissimo dove Mosè ed Elia parlano con il Signore; pensiamo anche alla figura di san Giovanni Battista, che indica proprio questo sfociare dell’Antica Alleanza che giunge al suo compimento quando Giovanni addita, mostra, indica l’Agnello di Dio. Come per dire che questo è il punto di confluenza di tutti i fiumi dell’Antica Alleanza e che da questo punto partiranno altri fiumi. Da qui, si capisce la presenza dei tre apostoli.

Ora, perché questi tre apostoli? Perché Pietro, Giacomo e Giovanni? Ricordate che questa selezione è ripetuta: la troviamo nell’episodio della risurrezione della figlia di Giairo (cf. Mc 5, 21-24. 35-43); e poi nell’agonia del Signore abbiamo sempre questi tre personaggi. Ci sono diverse spiegazioni. Le due principali dicono che Pietro, nella Chiesa, è la confessione della fede; e dunque in lui sono presenti tutti i confessori della fede; Giovanni è la vita verginale e dunque in lui sono presenti tutti i vergini consacrati, tutti i celibi consacrati a Dio; in Giacomo abbiamo il martirio, non perché Pietro non abbia subìto il martirio, così come Giovanni, che pure il Signore ha voluto salvare dalla morte violenta, ma perché Giacomo è stato il primo martire tra gli apostoli; e dunque in lui abbiamo tutti i martiri. Dunque, questi tre apostoli stanno a indicare le tre grandi categorie dei cristiani: i confessori, i vergini, i martiri. Chiaramente, abbiamo vergini martiri, vergini confessori, confessori martiri, però in generale queste sono le tre grandi testimonianze date a Dio: la testimonianza della confessione (la confessione della parola e della vita); la testimonianza di una vita totalmente dedicata (la verginità, a indicare l’assoluta preminenza di Dio in ogni cosa; e la testimonianza del martirio, che è la testimonianza per eccellenza.

Ancora, in Pietro possiamo vedere l’autorità, la gerarchia della Chiesa, i pastori della Chiesa. In Giovanni possiamo vedere i dottori della Chiesa, perché lui è il teologo per eccellenza; nella tradizione orientale, il titolo di “teologo” è di pochissimi, e Giovanni è il primo teologo, colui che più di tutti ha saputo penetrare i misteri del Verbo incarnato. Poi, in Giacomo abbiamo la testimonianza della vita, del martirio. Quindi, si tratta di tre modalità di servire Dio. Dunque, vedete la convenienza e la ricchezza straordinaria di questi aspetti, di questi dettagli nell’episodio della Trasfigurazione.

Nell’art. 4 san Tommaso si domanda se fosse conveniente questa testimonianza del Padre, che abbiamo già visto nel Battesimo del Signore. Allora, la domanda che si pone san Tommaso è: perché si ripete qui la stessa testimonianza che il Padre ha già dato in occasione del Battesimo di Gesù da parte di Giovanni? San Tommaso sintetizza in questo modo la risposta: «Siccome col battesimo riceviamo la grazia e nella trasfigurazione ci fu mostrato in anticipo il fulgore della gloria futura, era opportuno che tanto nel battesimo quanto nella trasfigurazione ci fosse rivelata mediante la voce del Padre la filiazione naturale di Cristo» (III, q. 45, a. 4).

Che cosa ci sta dicendo san Tommaso? Il Battesimo e la Trasfigurazione sono due misteri profondamenti legati tra loro ed è per questo che in entrambi abbiamo questa manifestazione della voce paterna. Perché? Perché nel Battesimo viene tolto il peccato e viene data la grazia, ma sappiamo che la grazia è l’anticipo, il germe della gloria futura. Non c’è gloria senza grazia e, potremmo dire, non c’è grazia senza gloria, nel senso che la grazia punta alla gloria, così come la fede punta alla visione. Ora, proprio per questo strutturale ed essenziale legame tra la grazia e la gloria, abbiamo questo filo che lega tra loro questi due misteri precisamente con la stessa attestazione da parte del Padre: «Questi è il Figlio mio, l’amato. Ascoltatelo». Da notare che anche nella Trasfigurazione c’è la manifestazione trinitaria. Nel Battesimo è chiaro: la voce del Padre, il Figlio nel Giordano, lo Spirito Santo sotto forma di colomba. Qui abbiamo il Figlio che si trasfigura, la voce del Padre, lo Spirito Santo che i Padri della Chiesa riconoscono nella nube che avvolge i tre apostoli. Dunque, questo dettaglio della voce paterna indica questo legame tra i due misteri, di cui l’uno rimanda all’altro, come se fossero due fasi: la fase della grazia è come la fase dell’incubazione, come un pulcino nel guscio; la gloria è la maturazione della grazia, la pienezza della grazia e la stabilità della grazia; nella gloria non ci sarà più possibilità di perdere la vita della grazia, non vi saranno più limiti dati dalla nostra condizione di quaggiù.

Faccio notare un altro dettaglio. Pietro, vedendo questa visione bellissima della trasfigurazione del Signore, di Mosè ed Elia, propone le famose tre tende: «Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». E subito dopo c’è l’ombra che copre. Il dettaglio della tenda è importante, perché la tenda, nell’Antico Testamento, è segno del corpo. Il corpo, come dice anche san Paolo nella Seconda lettera ai Corinzi (5, 1), viene anche chiamato tenda, cioè la dimora di quaggiù in qualche modo. Altro dettaglio. Nel prologo del Vangelo di Giovanni, l’espressione «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14) in realtà, letteralmente, è «venne a porre la sua tenda». Espressione chiarissima perché l’Incarnazione del Verbo è proprio il fatto che Dio pone la sua tenda, la tenda del suo corpo. L’idea della tenda nella tradizione ebraica è fortissima. Si pensi alla tenda del convegno, il tabernacolo, che Dio stesso mostra a Mosè e che Mosè realizza e che poi diventerà il tempio, figura di quella tenda che è il corpo stesso del Signore. Non a caso il Signore dice: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2, 19). E Giovanni aggiunge che «parlava del tempio del suo corpo». Dunque, vedete: tenda, tempio, corpo del Signore.

Pietro dunque dice: «Facciamo tre tende». Non fa neanche in tempo a finire di parlare e viene avvolto dalla nube. A indicare che cosa? A indicare quella famosa promessa che Dio fece a Davide. Quando Davide voleva edificare il tempio, Dio gli disse: «Non sarai tu a edificarmi una casa, sarò io a edificare a te una casa» (cf. 2Sam 7, 11). Lì il riferimento storico era alla sua casata, alla discendenza, ma c’è anche una profezia in questa parola, cioè Dio stesso edificherà il tempio/tenda nel corpo del Signore. E un altro senso della profezia è: Dio stesso edificherà la nostra tenda, cioè, Dio stesso farà risorgere i corpi.

Dunque, l’espressione di Pietro viene rovesciata e questa nube che copre gli apostoli indica il dimorare in Dio, cioè Dio stesso sarà la dimora, la tenda nella quale noi dimoreremo e i nostri corpi saranno trasfigurati. Anche qui vedete la straordinaria ricchezza dei misteri della vita del Signore: non si finirebbe mai di scandagliarne tutti i dettagli. Qui abbiamo dato qualche indicazione sulla scorta anche della riflessione di san Tommaso e dei Padri.



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