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Venerdì della Bussola

La storicità dei Vangeli, spiegata in un libro

I Vangeli ci comunicano la persona e le parole reali di Gesù Cristo. Miracoli, profezie, datazione, senso letterale e spirituale: logica cattolica vs demitizzazione. Dal videoincontro di ieri con Luisella Scrosati, autrice di Si è fatto carne. Rapporto sulla storicità dei Vangeli

Ecclesia 23_11_2024

Diversamente da quanto sostengono i fautori della demitizzazione, è irragionevole distinguere tra “il Gesù della storia” e “il Cristo della fede”. E questo semplicemente perché quanto raccontato dai Vangeli non è frutto di invenzione della prima comunità cristiana, ma corrisponde al vero, profezie e miracoli inclusi. È su questi fondamentali temi che si è incentrata la diretta di ieri dei Venerdì della Bussola, che è stata l’occasione per presentare il nuovo libro edito dal nostro quotidiano e scritto da Luisella Scrosati: Si è fatto carne. Rapporto sulla storicità dei Vangeli. A dialogare con l’autrice, il conduttore Stefano Chiappalone.

Il fatto che Dio si è incarnato, in un preciso tempo della storia dell’uomo, è un evento che non è indifferente per ciascuno di noi e che necessariamente ci interroga. «La realtà di un Dio che assume la natura umana», come osserva la Scrosati, «è sempre un po’ una sfida per la nostra ragione, che è limitata e tende a vedere Dio come Dio, l’uomo come uomo, e a non comprendere una possibilità di unione tra queste due dimensioni». A questa incomprensione del mistero dell’unione ipostatica sono legate tensioni ed eresie nella storia della Chiesa.

Eresie che da circa un secolo e mezzo si sono presentate in una nuova versione, con un’aura di apparente scientificità. In breve, si tratta del metodo storico-critico applicato ai Vangeli e alle Sacre Scritture in generale. Questo approccio, ormai molto radicato anche nell’ambito accademico cattolico, «ha portato alla dicotomia tra il Gesù della storia e il Cristo della fede». In parole povere, come riassume la Scrosati, il problema sottostante è che così «non riusciamo più ad attingere a Gesù di Nazaret, non riusciamo più a capire veramente che cosa potrebbe aver fatto e detto», perché, per i razionalisti, la persona e l’insegnamento dello stesso Gesù sarebbero stati “inquinati” dalla mediazione, dai simbolismi e dall’interpretazione dei primi cristiani.

L’approccio storico-critico non è realmente storico, ma si fonda su un a priori ideologico, come spiegava già Joseph Ratzinger nell’introduzione al primo volume della sua trilogia Gesù di Nazaret. La realtà – confermata peraltro dai ritrovamenti archeologici, dalla papirologia e da una serie di altri contributi scientifici seri – è che i Vangeli, come ricorda la collaboratrice della Bussola, sono «documenti che hanno un fondamento storico reale, che ci comunicano la persona e le parole reali del Signore», trasmesse da testimoni oculari. Testimoni che hanno scritto in un tempo vicinissimo alla vita terrena di Gesù.

Ma l’artificiosa distinzione tra un “Gesù storico” e un “Cristo della fede” è oggi dura a morire. E da essa discende direttamente un altro problema: il cosiddetto “cristianesimo dei valori”. Valori tra l’altro sempre più diluiti in un vago umanitarismo e sempre più lontani dall’oggettiva persona di Gesù Cristo, come osserva Chiappalone richiamando la figura dell’Anticristo di Solovev. Tali valori – secondo quest’ottica fallace, riassunta dalla Scrosati – sarebbero «il frutto di un’interpretazione della prima comunità cristiana e che dunque ci autorizzerebbe a fare l’interpretazione dell’interpretazione, sganciandoci potenzialmente in modo infinito ed estremamente pericoloso dal fatto storico, dall’evento storico, dalle parole e dagli atti concreti del Signore», mettendo tra parentesi o addirittura rifiutando la sua persona reale e storica. Così facendo, poi, è chiaro che gli insegnamenti trasmessi dai Vangeli perdano il loro carattere di normatività e i valori stessi diventino mutevoli.

Nell’interpretazione delle Scritture, il metodo storico-critico ha introdotto un problematico aut aut, come se il senso storico-letterale escludesse il senso spirituale, e viceversa. Invece, la retta prospettiva cattolica è sempre stata quella dell’et et. Ricorda la Scrosati: «Il principio chiave che la tradizione della Chiesa ci consegna nell’interpretazione delle Sacre Scritture è che il senso storico è la base: ed è in base al senso storico che noi comprendiamo il senso spirituale».

Questo vale anche per le profezie e i miracoli descritti dai Vangeli, che sono come il sigillo dell’autenticità e credibilità di tutto quanto la Chiesa insegna sulla persona di Gesù Cristo.

L’approccio razionalista, che è sfociato nella demitizzazione, ha invece cercato di presentare i miracoli come mere ricostruzioni simboliche; e riguardo alle profezie, ha assunto – in modo del tutto aprioristico – che queste fossero state scritte post-eventum, cioè dopo l’effettivo verificarsi degli eventi, e quindi non fossero autentiche.

Una questione, anche questa, affrontata nel nuovo libro della Bussola (clicca qui per ordinarlo) e che si lega alla datazione dei Vangeli. Mentre i razionalisti tendono a spostarne in avanti le date di redazione, la ricerca storica più rigorosa ci dice che tutti e quattro i Vangeli furono composti prima del 70 d. C. In particolare, guardando ai sinottici, il Vangelo di san Luca risale all’incirca all’anno 54, quello di san Marco al 42-45 e, ancora prima, si colloca il testo ebraico del Vangelo di san Matteo: intorno al 40. Per limitarci a un esempio famoso di profezia evangelica, si è dunque in presenza di testi che furono scritti prima (e non dopo, come sostengono gli scettici) della distruzione del Tempio di Gerusalemme, avvenuta nel 70. Insomma: si trattò di vera profezia.

Durante la diretta c’è stato spazio anche per toccare la questione dei vangeli apocrifi, cioè di quegli scritti che la Chiesa non ha riconosciuto come canonici perché non ispirati. È vero che a volte essi presentano alcuni dati storici, vedi i nomi dei genitori di Maria Santissima riportati dal Protovangelo di Giacomo, ma nel complesso «gli apocrifi hanno una caratteristica inconfondibile e che li distingue nettamente dai Vangeli canonici, cioè mancano di elementi che possano portare la critica a ritenerli fondati storicamente», osserva la Scrosati. Un esempio, riportato dall’autrice di Si è fatto carne, è l’elevato numero di nomi geografici riscontrabile nei Vangeli canonici («dalle 4,6 alle 4,9 parole ogni mille»), anche con dettagli specifici, di contro ai rarissimi e vaghi toponimi degli apocrifi, tutti scritti dal II secolo in poi.

Di grande interesse pure la conversazione su “Gesù nei Vangeli, è come aver avuto un registratore”, titolo di uno dei capitoletti del libro, laddove si riportano le ricerche dello studioso Birger Gerhardsson (1926-2013), «il quale ha ricordato, con dovizia di particolari, l’ovvio, e cioè che le culture antiche e in particolare l’ambiente culturale giudaico si fondano su una tradizione orale molto precisa». A differenza di oggi, molto si basava sulla memoria e perciò i maestri, i rabbi usavano parecchio la ripetizione e si servivano, aggiunge la Scrosati, di «costrutti più facilmente memorizzabili, con parallelismi, allitterazioni, assonanze». E in questo stesso contesto si inserì l’insegnamento di Gesù, che nella sua sapienza adoperò vari espedienti linguistici per favorire la memorizzazione di chi lo ascoltava.