La sinistra torna a scatenare le toghe contro il governo
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Non solo il caso Santanchè, anche l'imputazione coatta per Delmastro. Sembra riproporsi il braccio di ferro tra giudici e centrodestra dell'era berlusconiana, che appare volto a stoppare la riforma della giustizia.
Se tanto mi dà tanto, ci sono tutte le premesse perché questa legislatura si trasformi in un ring permanente tra governo e magistratura. La vicenda Santanchè sembrava, nelle settimane scorse, un caso isolato. Invece si stanno materializzando i fantasmi dell’assedio giudiziario ai danni dell’esecutivo, con la sinistra che cavalca le inchieste per uscire dall’angolo in cui l’hanno confinata gli elettori.
Anche l’imputazione coatta per il sottosegretario alla giustizia, Andrea Delmastro, indagato per rivelazione di segreto d’ufficio in relazione al caso Cospito, l’anarchico detenuto al 41bis, apre un nuovo fronte caldo. La decisione del Gip di Roma, che non ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura, prelude infatti alla formulazione di una richiesta di rinvio a giudizio da parte di quest’ultima.
Fonti di Palazzo Chigi, facendo riferimento a questo caso e a quello dell'iscrizione nel registro degli indagati del ministro Santanchè, ritengono «non consueto che la parte pubblica chieda l'archiviazione» e il gip «imponga che si avvii il giudizio». Inoltre, «in un procedimento in cui gli atti sono secretati, è fuori legge che si apprenda di essere indagati dai giornali curiosamente» nel giorno dell'informativa in Parlamento, «dopo aver chiesto informazioni all'autorità giudiziaria». «Quando questo interessa due esponenti del governo» è «lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione e abbia deciso così di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee».
Ovviamente le opposizioni hanno subito parlato di «inaccettabile attacco del governo alla magistratura». Peraltro i bene informati riferiscono che mala tempora currunt e che ci sarebbero pronti altri dossier su altri ministri per scottanti inchieste destinate a logorare l’esecutivo fino a farlo cadere. Pare che il premier sia già sull’orlo di una crisi di nervi e mediti di andare all’incasso alle europee dell’anno prossimo per poi rovesciare il tavolo e provare a “monetizzare” con elezioni politiche anticipate il suo consenso molto consolidato nell’opinione pubblica, anche per fare piazza pulita nel suo entourage e per regolare i conti con gli alleati.
Sembra cioè riproporsi il clima rovente del braccio di ferro permanente tra giudici e centrodestra che ha caratterizzato l’era berlusconiana. La Meloni avrà la stessa tempra del Cavaliere e riuscirà a parare i colpi che potrebbero arrivarle dal braccio armato mediatico-giudiziario che fa riferimento all’area di sinistra?
C’è infine un altro episodio, forse casuale, che riguarda il figlio diciannovenne del Presidente del Senato Ignazio La Russa, denunciato per violenza sessuale da una ragazza 22enne. Desta perplessità e sospetti questa notizia, perché l’episodio sarebbe accaduto 40 giorni fa (il 18 maggio) durante una serata in un locale al centro di Milano e la ragazza, per sua stessa ammissione, aveva assunto sostanze stupefacenti prima di partecipare alla serata. Ovviamente l’episodio andrà chiarito, ma qualche dubbio sulla tempistica e la dinamica è lecito nutrirlo. Perché la denuncia è arrivata proprio nel pieno della tempesta giudiziaria Santanchè-Del Mastro, visto che la presunta violenza si sarebbe consumata un mese e mezzo fa?
Tutto lascia pensare che questa offensiva giudiziaria possa essere l’ennesimo tentativo di stoppare la riforma della giustizia che questo governo con determinazione sta cercando di portare avanti per migliorare il funzionamento della macchina giudiziaria, snellire i processi e avviare la separazione delle carriere.
Verrebbe da dire che chi tocca i fili muore. Ma in questo modo il Paese non potrà mai liberarsi dall’ipoteca dello strapotere giudiziario, che altera il funzionamento della macchina statale, alimenta la sfiducia dei cittadini nella giustizia, condiziona la dialettica democratica tra le forze politiche e scoraggia gli investimenti stranieri in Italia.
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