Santanchè riferisce in aula, la maggioranza fa quadrato
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Centrodestra garantista sul "caso" relativo alle società del ministro del Turismo, mentre le opposizioni (e Travaglio) reclamano le dimissioni. Occorre guardare ai precedenti (sgonfiati ma cavalcati anche dal centrodestra).
Due sere fa, in occasione di un talk show, Paolo Mieli ha attaccato il Fatto Quotidiano per la sua straordinaria propensione a chiedere le dimissioni dei ministri. Pare sia accaduto 15 volte in pochi anni e per vicende che poi si sono quasi sempre chiarite e sgonfiate.
Anche questa volta è stato il quotidiano diretto da Marco Travaglio a sollevare il caso di Daniela Santanchè, ministro del Turismo che ieri in aula al Senato ha provato a chiarire le sue vicende personali e aziendali. In verità ad accendere la miccia del sospetto nei confronti della Santanchè è stata un’inchiesta di Report sulle sue società, che ha scatenato la furia giustizialista del Fatto Quotidiano e, negli ultimi giorni, anche del Domani.
Ieri dal ministro è arrivata un’informativa in aula a Palazzo Madama, poi c’è stato un dibattito con interventi di 5 minuti per ciascun gruppo politico, ma non c’è stata alcuna votazione. Più che altro la Santanchè ha provato a difendersi dalle accuse che le sono state rivolte da quegli organi d’informazione, rispondendo punto per punto. Da tempo, peraltro, lei non amministra più le società come Visibilia nell’occhio del ciclone delle inchieste giudiziarie. Visibilia, il gruppo che Santanchè ha fondato e di cui è rimasta come socia di maggioranza e amministratrice fino all'anno scorso, è al centro di una indagine della Procura di Milano per bancarotta e falso in bilancio che non si dovrebbe chiudere prima della fine dell'estate. Secondo l’accusa, la vicenda metterebbe in evidenza una cattiva gestione di quella e di altre aziende del gruppo, con passaggi societari poco trasparenti e molti debiti accumulati.
Ma cosa ha detto ieri in aula il ministro del Turismo e quanto è apparsa convincente? Anzitutto ha sottolineato di non aver ricevuto alcun avviso di garanzia, ha precisato di aver impiegato capitali propri per risanare le sue aziende in difficoltà («Mi aspettavo un plauso, non una critica», ha chiosato), ha attaccato la «campagna d’odio da parte di certa stampa nei miei confronti», ha smentito di avere debiti con il fisco («Non ho preso multe, ma le hanno prese i carabinieri della mia scorta ai quali ho concesso in comodato la mia auto») e ha sarcasticamente osservato che a criticarla sono soprattutto persone che in privato si comportano con lei diversamente, addirittura prenotando nei suoi locali.
I partiti del centrodestra hanno fatto quadrato attorno a lei, sposando la linea garantista. I grillini hanno annunciato la presentazione di una mozione di sfiducia, il Pd ha chiesto le dimissioni della Santanchè mentre il Terzo polo si è spaccato tra i seguaci di Carlo Calenda, favorevoli a un passo indietro del ministro, e i renziani, più garantisti.
A prescindere da quella che sarà l’evoluzione giudiziaria, le opposizioni, eccetto i renziani, hanno parlato di opportunità politica di dimissioni fino a quando le vicende non saranno chiarite nelle sedi opportune. Ma i precedenti Guidi, De Girolamo, Lupi e via via molti altri suggerirebbero maggiore cautela da parte di chi pretende di tirare conclusioni sommarie su vicende ancora tutte da chiarire.
Se quella della Santanchè fosse la classica “polpetta avvelenata” confezionata da qualche suo nemico politico o addirittura dal fuoco amico leghista, la montagna di accuse nei suoi confronti si scioglierebbe come neve al sole e in breve tempo. Se invece ci fosse dell’altro e le inchieste dovessero rivelare la fondatezza di quanto Report ha provato a documentare allora la questione sarebbe di natura diversa e riguarderebbe anche la selezione della classe dirigente nel centrodestra. La Santanchè, legatissima al Presidente del Senato Ignazio La Russa, è anche coordinatrice regionale lombarda di Fratelli d’Italia, quindi ha un grande potere in Lombardia e questo a qualcuno potrebbe aver dato fastidio.
Ma se i fatti a lei addebitati fossero anche solo in parte veri, una considerazione di metodo e di merito bisognerebbe farla, perché un governo faticosamente impegnato a difendere la credibilità e l’autorevolezza dell’Italia all’estero ha bisogno di mostrarsi compatto, solido e credibile in ogni suo componente.
Peraltro anche in una situazione del genere c’è un precedente: lo scandalo che all’epoca del governo Letta riguardò Josefa Idem, ministro per le Pari opportunità, lo Sport e le Politiche giovanili. La vicenda riguardava i versamenti Ici sulla residenza-palestra dell’ex ministro ed ex atleta con presunti abusi edilizi e irregolarità fiscali. Tutto si sanò con il pagamento della somma dovuta, ma il caso fu montato dal quotidiano Libero, che pubblicò un’inchiesta che spinse alle dimissioni il ministro, dopo soli quattro giorni dallo scoop. I giornali di centrodestra e i politici del Movimento 5Stelle cavalcarono quella vicenda e spinsero alle dimissioni Josefa Idem.
Ecco perché, per onestà intellettuale, fermo restando il corretto approccio garantista che sempre bisogna avere in questi casi, sarebbe meglio sospendere il giudizio sulla vicenda Santanchè fino a quando non ci saranno evidenze inoppugnabili della sua totale estraneità ai fatti addebitati e della piena regolarità delle sue condotte.
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