La sinfonia per l’eroe che sconfisse Napoleone
L’ammiraglio Horatio Nelson, il più grande eroe della storia navale britannica, il 1° agosto 1798 affondò le navi di Napoleone nella Battaglia del Nilo. Nel settembre del 1800 assistette all’esecuzione di una composizione in suo onore, probabilmente sotto la direzione del compositore Joseph Haydn: la sua Missa in Angustiis è nota come Nelson-Messe. Di lui Goethe disse: “Le sue composizioni sono il linguaggio ideale della verità”.
Duecento anni or sono, «percossa, attonita / la terra al nunzio sta, / muta pensando all’ultima / ora dell’uom fatale», come si legge ne Il cinque maggio di Alessandro Manzoni. Il 5 maggio 1821 moriva, infatti, a sant’Elena, un’isoletta inglese nell’Atlantico meridionale, Napoleone Bonaparte.
Nel turbine della vicenda napoleonica gli storici distinguono tre periodi: uno nel quale il generale Bonaparte, nato ad Ajaccio nel 1769, dopo la vittoriosa campagna d’Italia e la spedizione in Egitto, ascende al potere con il colpo di Stato del 9 novembre, anzi il 18 brumaio, secondo il calendario della Rivoluzione Francese, del 1799; l’altro in cui il Primo Console della Repubblica, dopo grandi conquiste militari nel continente europeo, è proclamato e incoronato imperatore dei Francesi (1804) e re d’Italia (1805); il terzo nel quale, dopo la disgraziata campagna di Russia (1812), l’Imperatore declina, prima confinato nell’isola d’Elba e poi, dopo la sconfitta subita a Waterloo nel 1815, esiliato a sant’Elena.
In quali gravi angustie si trovasse la società europea per la bufera napoleonica è facile immaginare. Le baionette dell’esercito napoleonico portano in tutta Europa lo spirito del 1789, «quando la spaventosa rivoluzione scatenatasi sulla Francia, rovesciato l'antico ordinamento civile, avea dapertutto abbattuta l'avita religione» (Pio X, Duplicem, nostis, 14 settembre 1904). Angustie per due papi, «entrambi strappati con violenza alla loro sede episcopale e trascinati in esilio» (Benedetto XVI, Discorso al Quirinale, 4 ottobre 2008). Pio VI, fatto prigioniero, muore in carcere anziano e sofferente, a Valence, in Francia e i giacobini scrivono sulla sua bara: «Qui giace Giovannangelo Braschi, in arte Papa Pio VI, e l’ultimo». Il Servo di Dio Pio VII, sequestrato e deportato in Francia, subito dopo la sua elezione dovette contrastare le prepotenze dell’imperatore dei Francesi. Angustie per Roma, che nel 1809 fu ridotta da Napoleone a seconda città dell’impero transalpino dopo Parigi, nuovo caput mundi. Angustie per gli archivi papali, memoria storica dell’attività millenaria della Chiesa: confiscati dall’imperatore, l’Archivio Segreto Vaticano e altri archivi della Curia Romana sono trasportati a Parigi nel 1810.
E angustie anche per il padre della sinfonia, Joseph Haydn (1732-1809), che, in un lasso di tempo molto breve, tra il 10 luglio e il 31 agosto 1798, compose la sua Missa in Angustiis, nota come Nelson-Messe, in re minore per soli (soprano, contralto, tenore, basso), coro misto e orchestra (flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 3 trombe, timpani, archi e organo obbligato). Monumentale e «celebrativa», l’unica in tonalità minore, questa è la terza delle sue ultime sei messe, che sono quasi sinfonie per coro e orchestra sul testo della Messa, scritte dal 1796 al 1802 per l’onomastico (il 12 settembre, festa del santissimo nome di Maria) di Maria Giuseppa Ermenegilda del Liechtenstein, moglie del principe ungherese Nicola II Esterházy di Galantha (1765-1833). Da quasi trent’anni Haydn era responsabile di tutte le attività musicali presso la sfarzosa corte dei principi Esterházy: tante opere teatrali serie e buffe in italiano, oratori, messe, musica strumentale e vocale di vario genere, il grosso delle sue 52 sonate per pianoforte e delle sue 104 sinfonie furono scritti qui.
Il sottotitolo di Nelson-Messe deriva da quanto racconta un commento all’esecuzione di questo lavoro nella Chiesa degli Scozzesi (Schottenkirche) a Vienna, pubblicato nel luglio del 1800. Giunto a parlare degli insoliti segnali di trombe e rulli di tamburo presenti nel Benedictus, l’anonimo autore, citando una conversazione con Haydn, dice: «Quando gli ho descritto lo splendido effetto che avevano prodotto questi isolati squilli di tromba, il dignitoso vegliardo mi ha raccontato la causa di questa idea, che mi sembra di importanza psicologica. Aveva appena iniziato a comporre il Benedictus che si presentò alla corte del principe Esterhazy un nunzio, per comunicargli la vittoria di Nelson sui francesi. Fu allora che nella fantasia di Haydn si accese l'immagine di questo messaggero che gridava l'evento e le trombe obbligate [tre trombe all’unisono] devono essere riferite a questo avvenimento» (Journal des Luxus und der Moden, vol. 15, Weimar 1800, pp. 330-331).
L’ammiraglio Horatio Nelson (1758-1805), il più grande eroe della storia navale britannica, il 1° agosto 1798 ha affondato le navi di Napoleone come tanti giocattoli nella baia di Abukir, presso Alessandria d’Egitto, nella Battaglia del Nilo. Nel settembre del 1800, insieme a sua moglie Emma, l’ammiraglio visitò Eisenstadt nel suo viaggio di ritorno a Londra; qui assistette all’esecuzione di questa composizione, che ebbe luogo in suo onore, probabilmente sotto la direzione dello stesso compositore.
Nato, cresciuto, formatosi e saldamente fissato nell’ancien régime, Haydn è in angustiis poiché teme gli sconvolgimenti delle guerre napoleoniche. Proprio questo pacifico e sereno musicista, austriaco e cattolico, che - con le parole di Johann Wolfgang von Goethe nei suoi Scritti sull’arte e sull’antichità - «crea con naturalezza la musica. Temperamento, sensibilità, spontaneità, dolcezza, forza, infine le due caratteristiche stesse del genio, ingenuità e ironia: tutto questo appartiene a lui. Se tutto ciò, inconcepibile senza un profondo calore umano, è l'elemento costitutivo del suo essere, salutiamo la sua arte come antica nel miglior senso della parola… Tutta la musica moderna si basa su di lui. Ho sempre desiderato di poter dire sinceramente e calorosamente come sento, che l'accordo perfetto che esprime il suo genio non è che la tranquilla risonanza di un'anima nata libera, chiara e casta. Le sue composizioni sono il linguaggio ideale della verità: ciascuna delle sue parti è necessaria ad un insieme di cui essa è aspetto integrante, pur vivendo della propria vita» (J.W. Goethe, Über Kunst und Altertum, Vol. 9, 1826, p. 126).