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VERSO GLI ESAMI DI STATO / 2

La posta in gioco per mezzo milione di studenti

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La tappa conclusiva della vita scolastica non può limitarsi al voto finale, poiché esiste un metro di giudizio interno al cuore, che coincide con la coscienza del proprio impegno e della propria crescita, e offre l'opportunità di un nuovo cammino.

Attualità 12_05_2025
SAVERIO DE GIGLIO - imagoeconomica

Che cosa c’è in gioco per mezzo milione di studenti che affronteranno gli Esami quest’anno? Chi ha sostenuto l’Esame prima del 1999 ha dato prova di maturità, quanti hanno affrontato questa fatica dopo quella data hanno semplicemente affrontato gli Esami di Stato. Non è una battuta o una provocazione. Si tratta semplicemente di una constatazione nell’uso delle parole: nasconde forse un cambiamento epocale nel modo di concepire la crescita e la scuola? Le parole sono sempre espressione di un pensiero e il pensiero nasconde un progetto, una strada, una meta.
In effetti, dalla riforma del 1997, entrata in vigore dall’anno scolastico 1998-1999, non esiste più il titolo di Esame di Maturità e ci si avvale della denominazione di Esame di Stato.

Non c’è alcun dubbio che certamente, anche prima del 1999, gli Esami non hanno mai valutato la maturità di uno studente. L’espressione era forse il residuo della convinzione che ancora persisteva nel mondo della scuola che il ragazzo dovesse mostrare una crescita umana e una consapevolezza civile durante il percorso delle superiori. Oggi gli esami rimangono l’ultimo rito d’iniziazione nella civiltà occidentale, segnano l’ingresso a un nuovo mondo, perché tracciano la fine di una fase della vita e l’inizio di un’altra.

Se l’esame non descrive la maturità, serve per caso per il voto? Fino a qualche anno fa, la scelta universitaria avveniva in gran parte dopo aver conseguito il diploma, non si sostenevano prove d’ingresso alle facoltà prima di aver affrontato l’Esame. Spesso, il voto di Maturità era un fattore fondamentale per l’accesso all’università. Oggi, molti studenti già in quarta superiore hanno affrontato e magari superato le prove d’accesso alle università e si sentono già proiettati in quella dimensione. Le università trattano i ragazzi come clienti da accaparrarsi il prima possibile distogliendo loro dall’impegno e dalla responsabilità sul presente. Non sono pochi i ragazzi che, proiettati e inseriti già nel nuovo orientamento universitario, non vedono l’ora solo di affrettare la conclusione del percorso delle superiori, disinteressandosi di quanto potrebbero scoprire e non profondendo così un impegno serio con l’Esame e con lo studio delle materie (che secondo loro ormai non offrirebbe più niente). A che serve quindi studiare troppo, impegnarsi e conseguire un buon risultato, quando l’accesso è già consentito?

Nell’esperienza personale di studente e di insegnante credo fermamente che gli esami siano un’occasione. Un’occasione nell’accezione in cui la intende Leopardi nello Zibaldone, ovvero una circostanza della vita che permette all’uomo di fare una grande esperienza di sé.
I mesi che precedono gli Esami sono una grande opportunità. Tutto dipende da come il ragazzo li affronta.
Un’opportunità per scoprire meglio se stessi, le passioni, i talenti. Solo un impegno serio con la realtà ci permette di capire quanto davvero ci attiri e ci affascini.
Una possibilità di cogliere come la vita sia una chiamata alla responsabilità, nel senso che ciascuno di noi è chiamato a rispondere alle sollecitazioni e alle provocazioni che provengono dalla realtà. Si apre allora la fase della maturità, intesa come responsabilità, come momento della scelta e della libertà.

La possibilità di riconoscere che non si procede da soli, ma è più bello con amici veri, con qualcuno che ci faccia compagnia nelle circostanze belle o faticose e, nel caso in cui non si sia ancora incontrato qualcuno, questa è l’occasione che ci desta alla ricerca costante e alla domanda di non camminare da soli.
Il periodo degli esami ci richiama ad affrontare la realtà e il presente con serietà, cercando di impegnarci al massimo. Non è intelligente l’alibi di chi continua a rimandare l’impegno con la vita con una serie di scuse e attenuanti: mi impegnerò più avanti, a che serve impegnarsi adesso? È nel presente che possiamo fare esperienza di un bene, dell’amore e dell’eterno. Lo ricorda Lewis nelle Lettere di Berlicche in cui lo zio Berlicche cerca di far capire al nipote, giovane diavolo che sta imparando a dannare le anime, che deve distogliere l’uomo dal vivere il presente, proiettandolo sempre nella dimensione del futuro e del passato.

Impegno, responsabilità, serietà nell’affrontare le prove non descrivono il fatto che il fine di tutto questo sia il voto finale. Il giudizio sugli esami di uno studente già precede il voto che lui conseguirà. Il voto non definisce uno studente, la sua intelligenza, il suo valore, il suo impegno.
Il ragazzo deve prendere consapevolezza che ogni esame contiene in sé due incognite: l’imprevisto e il fattore umano, entrambi imponderabili.
L’imprevisto ci permette di capire che la ragione non riesce a cogliere e a comprendere tutto, perché la realtà non è stata costruita e progettata da noi, ma ci previene. Per questa ragione l’imprevisto è sorprendente e liberante ad un tempo, perché ci permette di comprendere che non tutto dipende da noi e gli esiti non sono sempre in mano nostra. Questa consapevolezza è liberante, perché se l’esito non è la naturale conseguenza di un impegno e di uno sforzo, allora esiste un altro criterio di giudizio e di valutazione del lavoro e dell’impegno.

Esiste un metro di giudizio che è interno al cuore, che coincide con la coscienza: quanto ho lavorato e mi sono impegnato, ovvero quanto sono stato responsabile, cioè ho cercato di rispondere alle richieste della realtà, delle persone e dei compagni? Quanto sono cresciuto e sono diventato più maturo, più grande, più cosciente di me? Prima ancora che il voto, è la risposta a queste domande che ci fa capire il senso di questa esperienza.
Questa posizione umana, conscia dell’imprevisto e del fatto che non tutto dipenda da noi, non coincide certo con il disimpegno. Un utile suggerimento di lavoro, che ci allontana da ogni equivoco, è quello di sant’Ignazio di Loyola: «Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio».

La seconda incognita è il fattore umano. La vita per fortuna non è un’equazione matematica, non può essere riassumibile in formule ed equazioni. Ricordiamo Sully, film del 2016 girato da Clint Eastwood? Un pilota si trova ad affrontare un guasto sull’aereo appena decollato, avendo pochi secondi per valutare, giudicare, prendere posizione; non si comporta come un robot, proprio perché ha il fattore umano. È questo fattore che rende affascinante l’avventura della vita.

Ciascuno di noi dinanzi alle prove ha la possibilità di capire un po’ meglio se stesso, la propria emotività, le reazioni, le capacità, le inclinazioni e i desideri. Da questa onesta e attenta scoperta di sé sorge anche l’occasione dell’inizio di un cammino.



VERSO GLI ESAMI DI STATO / 1

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