La Polonia difende i confini dell'Europa. E l'Ue la affama
L’Europa approfitta della crisi ai confini europei e decide di affamare Varsavia. La Bielorussia, deliberatamente, spinge gli immigrati verso le frontiere europee orientali, soprattutto quelle polacche, per rappresaglia contro le sanzioni dell'Ue. Quindi la Polonia sta facendo gli interessi di tutti i membri dell'Unione. Eppure proprio ieri i maggiori partiti del Parlamento europeo inviavano alla Commissione la richiesta di sospendere il Recovery Plan, indispensabile per la ricostruzione dell'economia polacca dopo il Covid. E la causa è sempre la riforma della magistratura che, secondo i partiti europei, "viola lo Stato di diritto". E la prossima volta toccherà all'Ungheria.
L’Europa approfitta della crisi ai confini europei e decide di affamare Varsavia, come già accaduto nel secolo scorso quando nazisti e comunisti decisero di invaderla. Ieri si è consumata un’altra brutta pagina. Il contesto di questa ultima settimana è ben cambiato, la minaccia di uno sfondamento ai confini europei da parte di ‘orde’ di poveri migranti trafficati come carne da macello e provenienti da Afghanistan, Siria, Pakistan, Iraq è sotto gli occhi di tutti.
A fronte delle richieste di aiuti europei, di costruire ‘barriere fisiche’ di confine, al crescente numero di militari polacchi feriti e sanzioni verso Bielorussia da parte della Polonia e dei Paesi Baltici, l’Europa decide di rispondere colpendo di nuovo alle spalle i Paesi orientali e paventa di tagliare i viveri ai polacchi. Vergogna è termine troppo gentile per definire il sentimento di disappunto che provocano le decisioni di Bruxelles.
Ieri mattina sulle pagine web di Euractiv spiccava la notizia che nessuno poteva immaginare: i Capigruppo dei partiti di maggioranza del Parlamento Europeo (Popolari, Socialisti, Liberali, Sinistre e Verdi) avevano inviato una lettera urgente alla Commissione Europea con la richiesta di bloccare i fondi del Recovery Plan per la Polonia (23 miliardi di euro in sovvenzioni e 34 miliardi in prestiti a basso interesse). Vi si legge: "Un governo che nega il primato del diritto dell'UE e viola i principi dello Stato di diritto non può essere considerato degno di adempiere agli impegni e agli obblighi previsti… dai piani nazionali di recupero e resilienza… La nostra richiesta non deve essere vista come punitiva contro il popolo polacco, ma come un mezzo per sostenere il ripristino dello stato di diritto in Polonia".
Chiaro? Affamiamo i polacchi per il loro bene fino a quando non cambieranno il loro governo. Poche ore dopo, la Corte di Giustizia Europea sanciva con una nuova decisione l’’illegittimità’ delle riforme del sistema giudiziario polacco, picconando questa volta gli aspetti relativi al trasferimento dei giudici da un tribunale ad un altro che, secondo i giudici, potrebbero essere motivati politicamente, visto che il Ministro della Giustizia è anche il Procuratore Generale che decide i trasferimenti (Sentenza nelle cause riunite da C-748/19 a C-754/19 Procedimenti penali a carico di WB e altri).
Ovviamente, le sentenze della Corte europea, così come le inaudite richieste dei parlamentari europei delle ultime settimane contro la Polonia, seguono pari passo gli ‘spartiti’ sussurrati da ‘think tank’ ultraliberali finanziati dai soliti filantropi, Soros in testa. L’obiettivo è chiarissimo: non esiste ‘Stato di diritto’ in Polonia, tutti i giudici di qualunque Corte (inclusa quella Costituzionale) sono illegittimi, i governanti eletti devono andarsene se vogliono il bene del popolo che noi, istituzioni europee, ci arroghiamo il diritto di rappresentare in esclusiva.
Nella stessa giornata di ieri, non può essere sottaciuta la decisione della stessa Corte di Giustizia europea che ‘improvvisamente’ ha dato torto alle ragioni dell’Ungheria che la Commissione aveva contestato (Sentenza nella causa C-821/19 Commissione / Ungheria su Configurazione come reato del sostegno ai richiedenti asilo). La legge ‘StopSoros’ del 2018, che criminalizza le Ong che sostengono il traffico umano dei migranti illegali in cerca di ‘asilo’ al confine ungherese, viola le norme europee e deve essere eliminata o cambiata radicalmente.
La risposta del Governo ungherese non si è fatta attendere, “continueremo ad aiutare i migranti nei propri paesi di origine, la migrazione in Europa deve essere fermata e il futuro dell'Europa deve essere basato sulle famiglie. Ci riserviamo il diritto di agire contro le attività delle Ong finanziate dall'estero, comprese quelle finanziate da George Soros, che cercano di ottenere influenza e interferenza politica o addirittura di promuovere la migrazione".
C’è da attendersi un’escalation della guerra della Commissione Europea anche contro l’Ungheria, non a caso, già appalesata dal Commissario alla Giustizia e Stato di Diritto Didier Reynders, che ha avuto incontri a Budapest nello scorso weekend. Egli ha dichiarato che “non c’è stato alcun miglioramento nello ‘Stato di diritto’ nel paese, il sistema giudiziario è compromesso, la libertà dei mass media è limitata e le persone LGBTI soffrono gravi discriminazioni nel paese”.
Né Polonia, né Ungheria ad oggi hanno avuto disco verde dalla Commissione e dal Consiglio per la approvazione del proprio Recovery Plan. La situazione polacca è ben più grave, viste le circostanze che sta vivendo il Paese, aggredito frontalmente in una ‘guerra ibrida’ promossa dalla Bielorussia (e tollerata da Mosca) contro le sanzioni che l’Europa aveva deciso, a seguito della repressione post elettorale del governo di Minsk nel settembre dello scorso anno. A tutti è chiaro che la guerra sulla pelle dei migranti condotta da Lukashenko è contro l’Europa, ma l’Europa, che solo ieri ha preso nuove misure contro la Bielorussia, decide di ‘affamare’ Varsavia (e si prepara a tagliare i ponti alle spalle di Budapest).
Nei fatti e per le decisioni prese a Bruxelles si mette sullo stesso piano (sanzioni economiche e blocco dei fondi del Recovery) Bielorussia e Polonia, il tiranno Lukashenko e l’eletto Morawiecki. Nemmeno i colloqui di Merkel e Macron con Lukashenko e Putin, hanno risvegliato il senso di responsabilità nei vertici europei. Solo i Paesi di Visegrad in Europa hanno risposto alla richiesta di Polonia e Paesi Baltici di aiuto e sostegno per costruire muri di confine contro i trafficanti di uomini e donne.