La Passione del Signore – Il testo del video
I misteri della Passione di Gesù sono il cuore della storia di tutta l’umanità. Perché Dio ha scelto di redimerci attraverso la sofferenza del Figlio e in particolare la morte in croce? Vediamo, con S. Tommaso, le ragioni di convenienza.

Come anticipato prima delle feste pasquali, oggi cominciamo il grande capitolo del mistero della nostra salvezza, cioè la passione, morte, risurrezione e glorificazione del Signore Gesù, a cui san Tommaso dedica 15 quæstiones che vanno dalla n. 46 alla n.60 della III parte della Summa. Per qualche domenica saremo quindi impegnati a trattare queste quæstiones, dopo aver visto – ricordo – gli altri misteri della vita del Signore: la sua nascita, le tentazioni, il battesimo, i miracoli, l’insegnamento, eccetera.
Adesso andiamo più al cuore non solo dei misteri della vita del Signore, ma di tutta la storia dell’umanità, perché in fondo tutta la storia umana è una lunga preparazione e attesa di questi eventi salvifici. C’è un inno che abbiamo cantato e ascoltato soprattutto nella liturgia del Venerdì Santo: si tratta del famoso inno Crux fidelis, inter omnes, che nella sua forma integrale è molto più lungo; viene anche chiamato “inno Pange lingua”, ma non è il Pange lingua del Corpus Domini, bensì il Pange lingua gloriosi proelium certaminis, così chiamato dal primo verso della prima strofa. Questo inno parte proprio dal De parentis protoplasti, cioè dal peccato dei nostri progenitori, e da lì discende all’incarnazione e quindi alla passione di Gesù. In riferimento alla passione e morte del Signore, questo inno dice: se volente, natus ad hoc, passioni deditus, agnus in crucis levatur immolandus stipite. Cioè: consegnandosi volontariamente alla passione – era nato per questo (natus ad hoc) –, viene sollevato sulla croce come un agnello da immolare.
Questo natus ad hoc è importante, perché un certo modo di intendere la nostra fede e i misteri della vita del Signore ci portano a pensare che la croce sia stata una sorta di incomprensione da parte dei Giudei, di crudeltà da parte dei Romani, ma tutto sommato un incidente di percorso; in questa ottica, si ritiene che il Signore pensasse di poter ricevere accoglienza, di poter diffondere il suo messaggio, di poter seminare il Vangelo, senza la croce, e che poi questa è arrivata accidentalmente. Ma non è così. La croce è il cuore della vita del Signore; ce lo ricorda questo natus ad hoc: il Signore Gesù è nato precisamente per dedicare Sé stesso all’immolazione, per offrire Sé stesso come vittima di espiazione dei peccati degli uomini; il senso della sua incarnazione è quello di essere un’incarnazione redentrice. E questa incarnazione redentrice culmina nei misteri che vedremo in queste domeniche e che abbiamo rivissuto e celebrato liturgicamente qualche giorno fa, misteri che costituiscono il cuore di tutta la storia dell’umanità.
Iniziamo col vedere i primi quattro articoli, su dodici, della quæstio 46. In particolare, nei primi due articoli san Tommaso si fa due domande di fondo: la prima (art. 1) chiede se fosse necessario che Cristo patisse per la redenzione del genere umano. In altri termini, erano necessarie la passione e la morte in croce? L’art. 2 è leggermente diverso, ma va letto insieme al precedente per apprezzare bene entrambi; in esso san Tommaso si chiede: per redimere il genere umano era possibile un mezzo diverso dalla passione di Cristo? Era impossibile redimere gli uomini in modo diverso? Dunque, sono due domande: se la passione fosse necessaria e se fosse stata possibile un’alternativa alla passione e alla morte di Gesù in croce.
Nell’art. 1, san Tommaso risponde facendo alcune distinzioni, perché la risposta “sì o no” dipende da che cosa intendiamo per “necessità”, per “essere necessario”: qui si decide in qualche modo il senso della risposta. Il tema è dato dal fatto che nel Vangelo di San Giovanni, al cap. 3, abbiamo una famosa affermazione di Gesù: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo» (Gv 3, 14). Questo termine, bisogna, che senso ha? San Tommaso dice: noi intendiamo per “necessità” qualche cosa che scaturisce dalla natura di un ente (pensiamo all’istinto di un animale, a un albero, che ha nella sua natura di avere delle radici, di crescere verso l’alto, di far spuntare le gemme, eccetera). Se intendiamo “necessità” in questo senso, chiaramente la risposta è no; Dio non ha una necessità dettata dalla propria natura. E per “necessità” non intendiamo neanche una sorta di coazione, come di una persona necessitata a fare qualcosa nel senso di essere costretto a, una coazione interna o esterna. In nessuno di questi due casi si può attribuire una necessità alla passione del Signore, perché Dio non è necessitato in nessuno di questi due modi.
Però c’è un altro senso del termine “necessario”. San Tommaso dice che la passione di Cristo «era invece necessaria secondo la necessità del mezzo al fine» (III, q. 46, a. 1); è quella che viene chiamata tecnicamente “necessità di mezzo”. Cioè, posto un fine, un certo mezzo diventa necessario. In questo senso, san Tommaso ci dice che la Passione era necessaria. Tra poco vedremo perché, intanto teniamo questo aspetto.
Nell’art. 2, san Tommaso si fa un’altra domanda, cioè se fosse stata possibile un’altra strada, un’altra opzione. San Tommaso risponde in linea di principio di sì, perché, se parliamo in senso assoluto, a Dio nulla è impossibile: in senso assoluto, Dio poteva fare quello che voleva, non era impossibile a Lui trovare un altro mezzo. E tuttavia, attenzione che qui viene dato il principio di fondo, «una volta supposta la prescienza e la predisposizione di Dio circa la passione di Cristo, non era possibile che Cristo non patisse e che l’uomo fosse redento con un mezzo diverso dalla passione» (III, q. 46, a. 2). Il che è come dire: Dio poteva decidere diversamente, ma una volta che Dio ha “pre-saputo” e predisposto, cioè concepito e voluto nella sua mente divina, quindi disposto nella sua volontà divina che le cose stessero in questo modo, a quel punto le cose stanno in questo modo e non è possibile un’altra strada.
Quindi, era possibile in senso assoluto, ma di fatto non era possibile in modo diverso e non è stato possibile in modo diverso, poste la prescienza e la predisposizione divina.
Perché è importante capire questo? È importante capirlo perché in san Tommaso abbiamo sempre questa attenzione ai due lati della questione: cioè san Tommaso cerca sempre di “salvare”, potremmo dire, la libertà divina. In sostanza, in senso assoluto, san Tommaso ci dice che Dio poteva fare come voleva. Non era necessario in senso assoluto il battesimo, non era impossibile che Dio scegliesse un’altra forma di redenzione, non era necessario in senso assoluto che il Signore subisse le tentazioni nel deserto, eccetera. Tommaso fa sempre una breve, molto rapida incursione nel mondo delle possibilità e delle necessità per dirci sempre che Dio non è necessitato e che a Dio non è impossibile nulla.
Ma poi, messo in cassaforte questo aspetto di “salvaguardia” della libertà e dell’onnipotenza divina, subito ci riporta alla realtà e ci dice: attenzione, di fatto è così; e posto che Dio abbia disposto le cose in questo mondo secondo la sua scienza e secondo la sua volontà, non è possibile diversamente. Questo è importante perché molto spesso noi amiamo viaggiare nel mondo dei possibili e ci sfugge sotto il naso il mondo del reale. Siccome la nostra salvezza è qualcosa di estremamente concreto e realistico, dobbiamo fare attenzione a non perderci nel mondo del possibile perdendo di vista il mondo del reale, che significa in concreto che non c’è altra possibilità di essere salvati se non per mezzo della passione del Signore. E vedremo, quando parleremo del senso della Chiesa e dei sacramenti, che questa passione ci deve raggiungere.
Riprendiamo l’art. 1 che avevamo lasciato un po’ in sospeso. San Tommaso, parlando della passione di Cristo, ci dice dunque che non c’è una necessità in senso assoluto, né di coazione né di natura; c’è invece una necessità relativa, di un mezzo che porta a un fine. In che senso? Anzitutto, lui dice, «considerandola dal lato di noi uomini, che da essa, come dice il Vangelo, siamo stati redenti: “Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo perché chiunque crede in lui non perisca ma abbia la vita eterna”» (III, q. 46, a. 1). Dio ha disposto in questo modo e dunque diventa necessario questo mezzo per raggiungere il fine della salvezza, quanto a noi uomini.
«Secondo, considerandola in Cristo medesimo, il quale con l’umiliazione della passione doveva meritare la gloria dell’esaltazione» (ibidem). Cioè, il fine della gloria, dell’esaltazione del Signore, chiaramente nella sua natura umana, perché nella sua divinità non aveva bisogno di esaltazione, doveva essere meritato, perché la gloria si merita: c’è un merito legato alla gloria, sebbene la gloria ecceda il merito, ne abbiamo già parlato a proposito del rapporto tra grazia e merito. Posto questo, era necessario, nel senso di un mezzo che conduce al fine, che Cristo patisse, perché è proprio tramite questi patimenti che ha meritato questa glorificazione.
«Terzo, considerandola dalla parte di Dio, il cui decreto circa la passione di Cristo era stato preannunziato dalle Scritture e prefigurato nelle osservanze dell’Antico Testamento» (ibidem). E qui torniamo al punto di partenza: c’è la prescienza e la predestinazione divina, che noi possiamo vedere (sebbene chiaramente nessuno di noi abbia accesso direttamente alla mente divina) manifestarsi nella storia; nella storia, nell’Antico Testamento, il Signore ha predisposto tutta una serie di preannunci, di prefigurazioni, di segni anticipatori della passione del Signore, quindi non solo segni del Messia, ma anche del mistero della sua passione, morte e risurrezione.
E dunque san Tommaso ci dice che Dio è fedele: in questo senso era necessario che si adempissero le Scritture, che è quello che il Signore dice ai discepoli di Emmaus la sera del giorno di Pasqua, quando dice loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (Lc 24, 25-26). Questo “non bisognava…?”, questo “essere necessario”, va inteso in questo senso. Dunque, “necessario” è da intendere come il mezzo che porta al fine, in quanto la prescienza e la predisposizione divina, che non sono necessitati da alcunché, che non sono impossibilitati a nulla, avevano stabilito questa strada, questo compimento.
Quali sono, secondo san Tommaso, le ragioni di convenienza per cui Dio ha scelto di redimerci con la passione del Figlio? Posto che non c’era una necessità, posto che non c’era un’impossibilità, andiamo a vedere le ragioni di sapienza per cui Dio ha scelto questa strada. La prima che san Tommaso riporta è la seguente: «Perché da essa l’uomo viene a conoscere quanto Dio lo ami e viene indotto a riamarlo, nel che consiste la perfezione dell’umana salvezza» (III, q. 46, a. 3). Attenzione perché qui siamo forse nel punto più importante dei motivi di convenienza. Dove sta, che cos’è la salvezza dell’uomo? L’uomo è salvo quando raggiunge il suo fine; e il fine per cui l’uomo esiste è conoscere e amare Dio. La conoscenza e l’amore di Dio, per essere salvifici, hanno bisogno della grazia, ma in esse sta la salvezza; la salvezza non è qualcosa che ci capita dall’esterno, bensì consiste in queste facoltà dell’uomo che portano l’uomo verso il suo fine. Non può esserci salvezza, non può esserci beatitudine se non si raggiunge il fine proprio.
Ora, nella salvezza abbiamo due elementi. Il primo, che possiamo chiamare negativo, che è la redenzione propriamente, il riscatto dal male. Il secondo, che è il conseguire il bene. Per avere un’immagine e capirci, pensiamo all’Esodo. Che cosa vediamo nell’Esodo? Vediamo che il primo movimento è l’uscita dalla schiavitù dell’Egitto, quindi la liberazione dalla schiavitù, dal faraone, la liberazione da uno stato di sottomissione al male e al peccato. Ma non finisce lì, perché la salvezza è il conseguimento della terra promessa da Dio. Quindi, il passaggio del Giordano e la conquista della terra. Sono le due grandi fasi del grande processo di salvezza del popolo di Israele: una, che è più propriamente di redenzione, cioè di liberazione, di riscatto; l’altra, che è di conseguimento.
San Tommaso ci dice: se il conseguimento della salvezza è appunto il raggiungimento del fine dell’uomo, che è conoscere e amare Dio, è chiaro che l’amore verso Dio è un movimento libero dell’uomo. Sarebbe una contraddizione in termini pensare a un “amore costretto”. Ora, cos’è che muove più efficacemente una risposta d’amore nell’uomo? Il fatto di comprendere quanto l’altra persona ama. L’esperienza dell’amore altrui muove in qualche modo la persona a riamare, a “restituire” questo amore ricevuto. Bene, la passione del Signore è la massima rappresentazione dell’amore di Dio, della volontà di Dio di salvare l’uomo, di amarlo, di portarlo a Sé. E dunque san Tommaso dice che la passione, oltre a redimere l’uomo dal peccato, permette il raggiungimento della perfezione della salvezza precisamente perché muove in qualche modo l’uomo a riamare Dio. E in questo “amare Dio” consiste appunto la salvezza dell’uomo stesso.
Seconda ragione di convenienza data da san Tommaso: «Perché Cristo ci ha dato un esempio [exemplum] di obbedienza, di umiltà, di costanza, di giustizia e di tutte le altre virtù mostrate nella passione, che sono indispensabili per la nostra salvezza» (ibidem). Allora, qui bisogna andare in profondità su questo termine: exemplum. L’exemplum, come mostra un’attenta conoscenza e analisi dell’uso del termine nei Padri della Chiesa, non è semplicemente un esempio esterno, come verrebbe da pensare, l’esempio che mi lascia una persona, uno scritto, un insegnamento di vita. Qui l’exemplum è qualcosa di più, precisamente perché a lasciare questo exemplum è il Figlio di Dio, cioè Colui che vive per sempre, vive nella Chiesa, è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo, come leggiamo nella chiusura del Vangelo di Matteo. Questo è importante perché la vita morale cristiana, con tutto il florilegio di virtù connesse, non è semplicemente l’applicazione di un insegnamento che qualcuno ci ha lasciato, ma è molto di più: è la partecipazione alle stesse virtù di Cristo.
Detto in altre parole, qui san Tommaso fa un elenco delle più eminenti virtù vissute da Cristo nella passione; prendiamo per esempio la prima: l’obbedienza. Il fatto che Cristo ci abbia lasciato l’exemplum dell’obbedienza significa che noi siamo chiamati non semplicemente ad imitarla ma ad entrare nella stessa dinamica di obbedienza del Figlio nei confronti del Padre, così come per l’umiltà, la costanza, la pazienza, eccetera. La nostra non è – ripeto – un’imitazione esterna, ma è un entrare dentro in quel movimento di umiltà, obbedienza, pazienza, che sono dello stesso Figlio. Detto in un altro modo, è una partecipazione delle virtù di Cristo. E questo è qualcosa di nettamente più forte, qualcosa che ci connette con la persona stessa del Signore. Quindi, questo aver dato l’exemplum vuol dire in qualche modo aver consegnato questo accesso alle stesse virtù del Signore.
Continua Tommaso: «Terzo, perché Cristo con la sua passione non solo ha redento l’uomo dal peccato, ma gli ha anche meritato la grazia giustificante e la gloria della beatitudine» (ibidem). Di nuovo, vediamo che non c’è “solo” la redenzione dal male, dal peccato, ma ci sono anche la grazia – quindi il mezzo – e la gloria – quindi il fine – che ci vengono meritati. Ma il merito da che cosa nasce? Il merito nasce da un’azione virtuosa. Ora, non c’è nulla di più virtuoso non solo della vita in generale di Dio, del Dio incarnato, ma di quella particolare sezione della sua vita che è la passione, dove i meriti del Signore diventano veramente sterminati: già sono infiniti per la sua persona, ma in virtù di quello che il Signore ha voluto vivere nella passione, il grado infinitamente alto di consegna di Sé, di dedizione di Sé, di carità, ha fatto sì che potesse meritare per noi delle grazie e una gloria infinite.
«Quarto, perché mediante la passione è derivata all’uomo un’esigenza più forte di conservarsi immune dal peccato, secondo l’ammonizione dell’Apostolo: “Siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (1 Cor 6, 20)» (ibidem). Questa è un’altra ragione di convenienza. E che cosa significa in sostanza? Noi non abbiamo realmente la concezione del nostro peccato. Per noi il peccato è sempre qualche cosa che tendiamo a sminuire: “ma non è così grave, c’è di peggio, eccetera”. Questi sono ragionamenti che spesso facciamo con grande “generosità”. La realtà invece è che per misurare la gravità del peccato abbiamo bisogno di avere un’immagine che ci restituisca che cos’è il peccato. Quando vediamo la passione del Signore, ci rendiamo conto quale prezzo, per usare le parole dell’Apostolo, è stato pagato per riscattarci dal peccato. E questo prezzo ci dà appunto l’idea di che cos’è il peccato e dunque l’urgenza di rimanere immuni dal peccato, di fuggire il peccato. Senza questa misura della passione di Cristo, che dovremmo sempre avere davanti agli occhi, i criteri di misurazione del peccato diventano quelli umani, che sono del tutto inadeguati, perché non sono in grado di cogliere la gravità del peccato.
«Quinto, perché con essa fu meglio rispettata la dignità, in modo cioè che come era stato l’uomo ad essere ingannato dal demonio, così fosse un uomo a vincerlo; e come un uomo aveva meritato la morte, così fosse un uomo a vincere la morte, subendola» (ibidem). Qui abbiamo un altro tema importantissimo di parallelo e contrasto: un contrasto in parallelo tra la caduta e la redenzione, tra il primo uomo e il nuovo Adamo. Come ci dice Tommaso, abbiamo un uomo che è stato ingannato dal demonio e ha meritato la morte; ed era dunque conveniente che quella colpa fosse riparata da un uomo che vincesse il demonio e vincesse la morte. Com’è stato possibile che il Signore abbia vinto il demonio? Precisamente accettando la volontà del Padre fino a dover pagare il prezzo più alto. Mentre i nostri progenitori avevano ascoltato la voce del Maligno che prometteva loro di diventare Dio, nella passione abbiamo il Signore che, per un contrappasso di riparazione, ascolta la voce del Padre che gli chiede di subire la morte, e la morte di croce, per riparare la prima caduta.
La morte, introdotta nel mondo col peccato, viene vinta assumendola: il Figlio di Dio assume la morte; e la morte, entrando “in contatto” con Dio, muore. Cioè, alla morte viene spuntato il suo pungiglione, per usare un’altra immagine dell’Apostolo. Vedete dunque questa armonia del disegno di salvezza rispetto alla caduta, nonché la convenienza di aver scelto dei mezzi che vanno a riparare in modo diametralmente opposto, ma in perfetta armonia, tutto quello che ha portato alla caduta.
Nell’art. 4 abbiamo degli argomenti di convenienza riguardo alla morte in croce. Anzitutto san Tommaso parla del fatto che la scelta della morte in croce ci libera dalla grande paura per eccellenza, che è la paura della morte e, in particolare, della morte violenta, della morte ignominiosa e di tutto quello che accompagna la morte del Signore, perché noi temiamo il disprezzo, la calunnia, la solitudine, l’abbandono, il tradimento. Tutto questo il Signore l’ha preso su di Sé precisamente per liberare da queste paure l’uomo che a Lui si rivolge.
La seconda ragione di convenienza è «perché questo genere di morte era il più indicato per soddisfare il peccato dei nostri progenitori, che consistette nel mangiare il frutto dell’albero proibito, contro il precetto di Dio. Era perciò conveniente che, per soddisfare questo peccato, Cristo accettasse di essere inchiodato all’albero della croce, come per restituire quanto Adamo aveva sottratto» (III, q. 46, a. 4). Vedete di nuovo questo parallelo in contrapposizione tra la caduta e la redenzione: là un albero, il frutto di un albero ha portato la morte. Era dunque conveniente che un nuovo albero e un nuovo frutto di albero portasse la vita. È un po’ quello che abbiamo detto prima: là un uomo e anche qui un uomo; là un albero e anche qui un albero. Ed è quello che noi troviamo espresso anche nel Pange lingua gloriósi, quindi il Crux fidelis a cui ho accennato prima, dove c’è questa affermazione: Ipse lignum tunc notávit, damna ligni ut sólveret. Cioè, il Creatore stesso destinò un legno, un albero, per porre rimedio ai danni venuti da un albero. Quindi, i danni venuti da un albero vengono riparati con la grazia che “cola” da questo nuovo albero, che è l’albero della croce. Possiamo anche richiamare il Prefazio della Passione, che è molto bello e antico e nel quale abbiamo questa espressione: et qui in ligno vincébat in ligno quoque vincerétur. Cioè, colui che aveva vinto nel legno, quindi nell’albero del paradiso terrestre, è stato vinto in un altro albero, che è l’albero della croce.
Terza ragione, un po’ particolare. San Tommaso dice [riprendendo il Crisostomo] che Cristo si è fatto appendere sulla croce per purificare l’aria. Ci sembra una cosa un po’ strana: che cosa vuol dire? Noi non siamo abbastanza attenti nel capire che la maledizione che i progenitori hanno attirato sulla loro discendenza ha colpito la creazione stessa. E dunque in qualche modo il creato stesso doveva essere liberato, purificato. Lo abbiamo visto nel Battesimo nel Giordano, dove Cristo entra nelle acque e le santifica. La terra è santificata dal sangue e dall’acqua che sgorgano dalla croce. E l’aria è purificata, santificata dal fatto che Cristo è sospeso tra cielo e terra. Dunque, vedete come sia anche molto bella questa idea dell’allargamento della redenzione a tutta la creazione, che è stata fatta per l’uomo e che dal peccato dell’uomo ha ricevuto in qualche modo una maledizione; e ora dalla redenzione di un uomo, vero uomo e vero Dio, riceve la sua liberazione, almeno incipiente.
Ancora, ci dice san Tommaso, la croce è figura di una scala che unisce la terra con il cielo: la croce dà questa idea. E qui dovrebbe venirvi in mente il famoso sogno di Giacobbe, che sogna una scala che unisce cielo e terra e sulla quale gli angeli salgono e scendono.
La croce indica poi le quattro estremità: i quattro punti della croce indicano non solo i quattro punti cardinali, cioè l’universalità della salvezza che viene dalla croce e che si espande in tutta la terra, ma dovrebbero ricordare anche i quattro fiumi che sgorgavano dall’albero della vita nel Paradiso terrestre; i quattro fiumi raggiungevano tutta la terra e la vivificavano. Qui abbiamo l’idea di un nuovo albero da cui sgorgano il sangue e l’acqua nelle quattro direzioni, quindi quattro nuovi fiumi, che raggiungono ogni angolo della terra e lo vivificano con una vita che non finisce più.
Ancora, la croce indica le due braccia inchiodate appunto sulla croce, a indicare i due popoli che vengono accolti in qualche modo nell’abbraccio del Signore, cioè il popolo di Israele e i pagani. San Tommaso cita poi alcune figure dell’Antico Testamento che vengono adempiute, ognuna delle quali indica un aspetto bellissimo della croce del Signore: l’arca di legno del diluvio universale, per cui la croce è la nuova arca, il nuovo legno; viene usata molto questa immagine dai Padri, soprattutto in sant’Agostino: la croce quale nuova arca di salvezza senza la quale è impossibile salvarsi dalle acque del diluvio. E ancora, la verga di Mosè, che aveva aperto il Mar Rosso, permettendo al popolo di Israele di passare incolume; e lo aveva poi chiuso travolgendo il faraone e il suo esercito. Quindi, la croce come la nuova verga di Mosè. Ancora, è la verga di Mosè che diede da bere agli Israeliti nel deserto. Sono tutte immagini che gettano una luce particolare sulla virtus della croce, sulla forza che viene dalla croce. La croce ricorda le braccia stese di Mosè, quando gli Israeliti combattono contro gli Amaleciti: quando Mosè tiene le braccia aperte, gli Israeliti vincono, quando queste braccia cadono per la stanchezza, gli Amaleciti riprendono vigore. Queste braccia sono ora aperte e inchiodate nella croce, a indicare una perpetua intercessione del nuovo Mosè e dunque della possibilità di una vittoria completa e definitiva contro gli Amaleciti, cioè le forze del male. E si potrebbe continuare.
La prossima volta proseguiamo con la quæstio 46 che ha ancora altri otto articoli, molto densi e belli, che sempre si concentrano intorno al mistero della passione del Signore.
La Passione del Signore
I misteri della Passione di Gesù sono il cuore della storia di tutta l’umanità. Perché Dio ha scelto di redimerci attraverso la sofferenza del Figlio e in particolare la morte in croce? Vediamo, con S. Tommaso, le ragioni di convenienza.
I miracoli di Cristo (II parte) – Il testo del video
Attraverso la differente tipologia di miracoli, Cristo si presenta come vero Dio. Quattro categorie di prodigi: sui demoni, sui corpi celesti, sugli uomini, sulle creature prive di ragione. Perché impone ai demoni di non parlare? C’è un legame tra infermità e peccato? San Tommaso risponde.
I miracoli di Cristo – Il testo del video
Era opportuno che Gesù compisse miracoli, come spiega san Tommaso, rispondendo ad alcune obiezioni comuni ancora oggi diffuse tra chi di fatto non crede alla verità dei quattro Vangeli. Le due “tipologie” di miracoli di Cristo: per virtù propria; e invocando il Padre.