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Ora di dottrina / 159 – La trascrizione

I miracoli di Cristo (II parte) – Il testo del video

Attraverso la differente tipologia di miracoli, Cristo si presenta come vero Dio. Quattro categorie di prodigi: sui demoni, sui corpi celesti, sugli uomini, sulle creature prive di ragione. Perché impone ai demoni di non parlare? C’è un legame tra infermità e peccato? San Tommaso risponde.

Catechismo 13_04_2025

Come anticipato la scorsa volta, oggi concludiamo questa prima parte dedicata ai misteri della vita del Signore, quella sezione che va sostanzialmente dall’Annunciazione fino alla Passione del Signore, esclusa. Dalla prossima volta entreremo nel mistero della Passione, Morte e Risurrezione e Ascensione al Cielo del Signore, ovviamente seguendo per tappe questa sezione della III parte della Somma Teologica.

Oggi ci dedichiamo all’ultima questione dedicata ai miracoli, la quæstio 44, che si accompagna alla q. 43 di cui abbiamo parlato domenica scorsa. Che differenza c’è tra queste due quæstiones? Nella prima abbiamo tratteggiato il senso dei miracoli in generale. Nella seconda san Tommaso intende precisare che, nella scelta dei miracoli compiuti dal Signore, abbiamo una razionalità di fondo che ci permette di comprendere come proprio attraverso la differente tipologia di miracoli Cristo si presenta come vero Dio. E questo in risposta a quanti ancora oggi continuano imperterriti, negando tutto il senso del Nuovo Testamento, a sostenere che da nessuna parte nei Vangeli si dica che Gesù era Dio stesso: in realtà, tutto il Nuovo Testamento attesta che Gesù è Dio, sia come vedremo adesso trattando la questione della tipologia dei miracoli scelti dal Signore, sia anche per quanto riguarda l’attribuzione continua di caratteristiche che nell’Antico Testamento erano attribuite esclusivamente a Jahvè e che adesso nel Nuovo Testamento troviamo espresse e attribuite al Signore stesso.

La quæstio 44 si suddivide in quattro articoli, perché san Tommaso vuole mostrare come Cristo abbia operato miracoli anzitutto sulle sostanze spirituali, cioè i demoni, gli esseri creati come puri spiriti e che poi sono decaduti; secondariamente, sui corpi celesti; terzo, sugli uomini (miracoli di guarigione); quarto, sulle creature prive di ragione. Abbiamo dunque quattro categorie incluse nei miracoli del Signore. Alla fine vedremo il senso d’insieme di questa questione; intanto andiamo un po’ ad analizzare ciascuno di questi quattro articoli.

L’art. 1 è appunto dedicato ai miracoli che il Signore compie nei confronti delle creature puramente spirituali decadute, cioè i demoni. Quali sono questi miracoli? Sono gli esorcismi, cioè tutti quegli interventi netti, chiari, con i quali il Signore caccia dei demoni. C’è una recente obiezione secondo la quale questi interventi in realtà fossero solo modi di dire. Ma qualsiasi persona minimamente onesta che accosta il Vangelo si rende conto che, oltre alla semplice attestazione di questo tipo di miracoli – “scacciava i demoni”, “scacciava gli spiriti impuri” –, ci troviamo di fronte a degli eventi, dei fatti che sono descritti con particolare minuzia di dettagli. Quindi, non stiamo parlando di un semplice vago riferimento a questa azione esorcistica del Signore, tale da ritenere questa azione come una figura interpretativa di altro: no, qui parliamo precisamente di fatti, con caratteristiche particolari, alcune anche molto singolari. Pensiamo alla cacciata dei demoni nella mandria dei porci che avviene nel territorio dei Geraseni. Ci troviamo di fronte a una descrizione che è un po’ troppo “abbondante” per essere una semplice allusione o una lettura mitologica di altri fatti.

Veniamo appunto a quello che san Tommaso scrive in questo primo articolo: «I miracoli operati da Cristo erano come altrettante prove della fede che egli insegnava. Ora Cristo, con la potenza della sua divinità, doveva liberare dal potere del demonio gli uomini che avrebbero creduto in lui, secondo le sue stesse parole: “Ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori” (Gv 12, 31). Perciò era conveniente che tra gli altri miracoli ci fosse anche la liberazione degli ossessi dal demonio» (III, q. 44, a. 1). Questa opera esorcistica del Signore è fondamentale perché indica che è venuto Colui che solo è in grado di liberare gli uomini dalla potestà del Maligno. È venuto, possiamo dire parafrasando il Vangelo, quel regno di Dio perché c’è Colui che scaccia il demonio con il dito di Dio (cf. Lc 11, 20). La prima fase dell’opera redentrice di Cristo è proprio quella di legare le mani, sconfiggere colui che teneva schiavi gli uomini, come un conquistatore che vuole liberare dei prigionieri; il suo fine è liberare i prigionieri, ma il mezzo necessario è proprio quello di sconfiggere colui che li tiene prigionieri. Questo è il senso dell’Incarnazione redentrice del Signore che viene manifestata, esplicitata proprio attraverso degli atti con i quali Egli dimostra il senso della sua venuta. Il senso di questa venuta è che il principe di questo mondo, che teneva prigionieri tutti gli uomini, viene cacciato fuori. E viene cacciato fuori dal dito di Dio, cioè da Dio stesso presente nella carne del Signore Gesù. Questo è il senso profondo dell’insieme degli esorcismi compiuti dal Signore nel Vangelo.

In questo articolo, poi, Tommaso solleva alcune questioni più specifiche. Nella prima, che troviamo nella risposta alla seconda obiezione, san Tommaso si chiede: i demoni sapevano che Cristo era Dio? Lui dà una risposta, potremmo dire, di gradualità: «Il demonio, avendolo visto affranto dal digiuno [cioè, avendo visto che il Signore aveva fame dopo quaranta giorni di digiuno; Gesù era provato, non era fittizio questo digiuno], lo credette dapprima un puro uomo» (III, q. 44, a. 1, ad 2). Dunque, potremmo dire che il primo incontro-scontro tra Cristo e il demonio porta quest’ultimo a ritenere di avere davanti a sé un uomo: un asceta, ma pur sempre un uomo. Perché? Perché vede che ha fame, perché lo vede provato fisicamente e psicologicamente: un digiuno, tanto più un digiuno di questo tipo, prova l’umanità, non è una passeggiata. Continua Tommaso: «Ma non riuscendo a vincerlo con la tentazione, ebbe il dubbio che potesse essere il Figlio di Dio» (ibidem). Lì c’era Qualcuno che non cedeva alla tentazione. E quando parliamo di tentazione qui intendiamo l’universalità della tentazione: ne abbiamo parlato nella puntata dedicata alla tentazione del Signore nel deserto; abbiamo visto che le tre tentazioni includono in qualche modo tutta la tipologia di tentazioni con cui il demonio seduce l’uomo.

«Più tardi, in seguito ai miracoli, capì o meglio sospettò tale cosa [cioè di avere il Figlio di Dio davanti a sé]. Non spinse dunque i giudei a crocifiggerlo perché non pensava che egli fosse il Cristo o il Figlio di Dio, ma perché non previde che quella morte avrebbe segnato la propria condanna» (ibidem). Cioè, qui san Tommaso dice: vedendo i miracoli, lo sospettava a un certo punto, perché appunto il Signore stesso compiva questi miracoli per manifestare che Lui era uno con il Padre, per manifestare la sua divinità. E i demoni lo avevano capito, sebbene non avessero la prova provata: dunque, l’aver aizzato i Giudei per metterlo a morte non era tanto per il dubbio quanto perché, accecati dall’odio, non compresero che attraverso quella morte sarebbe avvenuta la sconfitta definitiva dei poteri di questo mondo e del potere del demonio su questo mondo e sugli uomini. La loro conoscenza di avere davanti a sé il Figlio di Dio era una conoscenza congetturale, pur sempre crepuscolare: non potevano infatti vedere in Dio, dunque dovevano fare delle congetture. E queste congetture erano altresì accecate dal loro stesso odio, quindi non videro tutto.

Seconda questione, interessante: perché il Signore impone ai demoni di non parlare? In fondo erano quelli che avevano capito più di tutti, forse, Chi avevano davanti. E allora perché non sfruttare questa loro consapevolezza a fin di bene? San Tommaso, richiamando un passo di sant’Atanasio, dice: «“Impediva loro di parlare, benché dicessero la verità, per insegnarci a non occuparci di loro anche quando sembra che dicano la verità. Non è infatti lecito, avendo la divina Scrittura, lasciarsi istruire dal diavolo”. Ciò inoltre è pericoloso perché i demoni spesso frammischiano la menzogna alla verità» (III, q. 44, a. 1, ad 3). San Tommaso, sulla scorta di sant’Atanasio e della Tradizione della Chiesa, ci sta dicendo che con i demoni non si parla. Punto. Neanche a fin di bene, neanche se possono dire cose utili. Facciamo attenzione, perché questa è un po’ una moda che è entrata in un certo mondo cattolico, cioè di ascoltare che cosa dice il demonio, che cosa ha detto durante un certo esorcismo: è pericolosissimo, anzitutto perché noi non dobbiamo farci istruire dal diavolo, ma da Dio. Secondo, il demonio, anche quando dice la verità, la dice sempre mischiata a una menzogna, che noi non riusciamo a distinguere. E dunque quella verità viene detta con lo scopo di ingannarci sotto un altro aspetto. Dunque, meglio osservare questa regola di prudenza di non ascoltare mai i demoni quando parlano, neanche quando dicono il vero.

La terza questione è appunto quell’esorcismo particolarissimo, tra tutti gli esorcismi del Vangelo, narrato al cap. 8 del Vangelo di Matteo, cioè dei demoni che vengono mandati in un branco di porci, che poi si precipita dalla rupe e affoga nel mare. San Tommaso si chiede: ma perché un miracolo di questo tipo, controproducente? Tant’è vero che i Geraseni dicono in sostanza a Gesù: “Vai lontano dal nostro villaggio perché qui c’è stato un danno economico enorme”, la perdita di una mandria di porci, che erano fonte di vita per quella popolazione. E qui viene recuperata una riflessione di san Giovanni Crisostomo che commenta il Vangelo di Matteo su questo punto e dice che anzitutto questa permissione di entrare nei porci è «per mostrare agli uomini quale danno recano loro i demoni» (III, q. 44, a. 1, ad 4). Vedere l’effetto, cioè questi poveri maiali che si buttano giù dalla rupe e muoiono affogando, è una sorta di rivelazione pubblica di ciò a cui il demonio porta gli uomini, che è bene vedere perché quando il demonio si presenta lo fa presentandosi sempre come un grande benefattore dell’umanità. Ma l’esito è quello espresso nella fine di questi animali.

«Secondo, perché tutti imparassero che i demoni non potevano nemmeno entrare nei porci senza il suo permesso» (ibidem). Cioè, è una permissione divina che permette ai demoni di andare dentro a questi animali. E gli uomini dovevano capire che il potere del Maligno è legato da Dio e che il demonio non può fare nulla senza la permissione divina. Non è un problema di forza o no del demonio, è un problema di permissione o no di Dio. E questa permissione chiaramente è legata alla risposta dell’uomo, che si volge verso Dio o gli volge le spalle. È questo che dà potere in qualche modo al demonio.

«Terzo, per mostrare che negli uomini essi [i demoni] avrebbero potuto produrre mali peggiori che nei porci se gli uomini non fossero stati soccorsi dalla provvidenza divina» (ibidem). In sostanza, è un’altra modalità per dire che Dio permette questa strada perché nell’uomo sarebbe accaduto addirittura di peggio e, dunque, per sua provvidenza ha voluto mostrare in qualche modo che gli uomini, se non sono soccorsi da Dio, se non sono aiutati e liberati da Dio, possono fare una fine addirittura peggiore di quella accaduta in questo fatto dei Geraseni.

Abbiamo visto la ricchezza di questo primo articolo, adesso vediamo le altre tre specie di miracoli che il Signore ha operato nel Vangelo. Nell’art. 2 abbiamo la questione dei miracoli compiuti su dei corpi celesti. Il riferimento in questo caso è all’oscurità che si ebbe il Venerdì Santo, quando si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, come anche il terremoto che seguì alla morte del Signore. Quindi, un dominio sui corpi celesti. Il principio è sempre lo stesso: i miracoli di Cristo dovevano essere tali da manifestare la sua divinità. E dunque la sua divinità si manifesta attraverso il dominio sulle sostanze spirituali, i demoni, ma anche attraverso il dominio nei confronti dei corpi celesti. Infatti, san Tommaso spiega che questa divinità «non viene manifestata in modo così evidente dai mutamenti degli esseri inferiori, che possono essere mossi anche da altre cause, come invece può esserlo dal mutamento del corso dei corpi celesti, che sono regolati solo da Dio in modo immutabile» (III, q. 44, a. 2). Pensiamo al libro della Genesi: creazione del mondo e creazione degli astri. Gli astri vengono creati e vengono regolati direttamente da Dio, questo è il senso. Detto in altro modo, il dominio sugli astri ci indica che abbiamo davanti a noi il Signore del cielo e della terra; Colui che ha fatto il cielo e la terra, Colui che domina, regola il cielo e la terra è lì presente, nella persona di Gesù di Nazareth, in questo caso nella persona di Gesù crocifisso.

C’è anche un altro senso interessante. Nell’Antico Testamento c’è un uomo che regola il corso di un astro particolare, il sole, ossia Giosuè, che ordina in qualche modo al sole di fermarsi per poter sterminare tutti i Cananei, i nemici nella presa progressiva della terra promessa. Non è indifferente questo riferimento, perché i nomi “Giosuè” e “Gesù” (Yeshu’a o Yehoshua’a) hanno esattamente la stessa radice: per i Padri, Giosuè è figura di Gesù Cristo. Dunque, qui abbiamo Cristo, il nuovo Giosuè, che domina gli astri. Ma è interessante anche il cambio di prospettiva, perché mentre Giosuè ordina al sole di rimanere fermo per poter portare a termine la missione che Dio gli ha affidato, cioè di sterminare i Cananei, qui invece, con Gesù crocifisso, il sole si oscura, mentre sono proprio i Cananei, non di razza, ma in qualche modo nemici di Cristo, a prevalere su di Lui. Dunque, vediamo che è una sorta di chiaroscuro: là, Giosuè nel suo trionfo e quindi si ha maggior luce; qui, il nuovo Giosuè, in un’apparente sconfitta e quindi le tenebre. Ma di nuovo il concetto è appunto che gli astri rispondono a questo uomo, Gesù Cristo, che è Dio.

L’art. 3 riguarda invece i miracoli sugli uomini, in particolare tutta la folta descrizione di miracoli di guarigione. Ora, il senso delle guarigioni per san Tommaso è chiaro: «Cristo era venuto nel mondo e insegnava, per salvare gli uomini, secondo le parole evangeliche: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3, 17). Quindi era giusto che Cristo mostrasse di essere il Salvatore universale e spirituale di tutti, specialmente guarendo gli uomini in modo miracoloso» (ibidem). I miracoli, le guarigioni in particolare, sono il segno di qualcuno che salva. Ora, per rendere tangibile ai sensi degli uomini che Dio, venuto nella carne, era venuto a salvare, il Signore mostra guarigioni: perché? È chiaro che il Signore non è venuto primariamente per operare guarigioni del corpo, ma per guarirci da un’altra malattia, dal peccato; eppure noi non vediamo la guarigione dal peccato, ma possiamo vedere la guarigione fisica. E dunque, per dimostrare la sua potenza sulle anime quanto alla guarigione dal peccato, Egli la guarigione la compie sui corpi perché è quella più visibile, più constatabile. È questo il senso della famosa guarigione del paralitico, al quale il Signore dice: «Ti sono rimessi i tuoi peccati» (Mt 9, 2). Silenzio, nessuno fiata, qualcuno pensa tra sé “ma chi è costui che rimette i peccati? Solo Dio lo può fare. Tutti possono dire così”. Dunque, proprio per mostrare che ha veramente il potere di rimettere i peccati, Gesù compie la guarigione del paralitico: la guarigione fisica per mostrare un’altra guarigione.

In particolare, nella risposta alla seconda obiezione dell’art. 3, san Tommaso fa questa osservazione: «Cristo era venuto a salvare il mondo non con la virtù divina soltanto, ma mediante il mistero della sua incarnazione. Per questo, spesso, nel guarire gli infermi non usava soltanto la virtù divina comandando la guarigione, ma si serviva anche di cose appartenenti alla sua umanità» (III, q. 44, a. 3, ad 2). Cosa vuol dire? Per esempio, imponeva le mani o formava un fango con la terra e la sua saliva. Cioè, compiva gesti in cui era necessario l’intervento della sua umanità, in particolare della sua corporeità. Perché fa questo? San Tommaso ci dice: perché la fede che salva non è una fede generica in Dio che salva, ma in Dio venuto nella carne, in Gesù Cristo vero Dio e vero uomo. Ed ecco perché il Signore fa, compie gesti miracolosi mediante la sua umanità. A volte gli basta una parola, altre invece compie dei gesti: pone le dita nelle orecchie e dice: «Effatà!» (apriti!); pone il fango sugli occhi e impone le mani alla persona che andava a lavarsi nella piscina di Siloe. Gesti che richiamano la sua umanità, in particolare la sua fisicità, la sua corporeità, perché il mistero centrale della fede cristiana non è l’esistenza di Dio – è chiaro che non ne stiamo negando l’esistenza –, ma è che Dio è venuto nella carne di Gesù Cristo e che la salvezza passa attraverso questa mediazione dell’umanità di Cristo: non è semplicemente un generico Dio che salva. Questo è importantissimo capirlo, anche per le conseguenze che vedremo più avanti relativamente al mistero della Chiesa e alla realtà dei sacramenti, che sono collegati proprio a questa mediazione necessaria dell’umanità di Cristo.

Ancora, nella risposta alla terza obiezione, san Tommaso si chiede se ci sia una connessione tra le infermità e il peccato. Il Signore viene a togliere il peccato e mostra la sua potenza sanando i corpi, perché appunto noi non vediamo direttamente il risanamento delle anime. Ma c’è in realtà un legame tra l’infermità e il peccato? Sì e no, nel senso che ci sono alcuni passi nel Vangelo dove il Signore dice ad esempio «va’ e non peccare più perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio» (Gv 5, 14), come per dire: “Questo ti è accaduto perché hai commesso qualcosa di sbagliato”. Ma dall’altra parte c’è il cieco nato, quando il Signore dice che “questa malattia non è colpa sua né dei suoi genitori, ma è per la gloria di Dio” (cf. Gv 9, 1-3). E d’altra parte la Sacra Scrittura è piena di calamità fisiche che accadono agli uomini in conseguenza dei loro peccati, ma anche di figure che vengono colpite da calamità naturali e anche fisiche senza colpa, almeno senza colpa diretta. E dunque come dobbiamo porci di fronte a questa apparente contraddizione?

San Tommaso riporta san Girolamo che dice: «Molte infermità fisiche sono causate dal peccato e forse vengono prima rimessi i peccati affinché, una volta eliminata la causa dell’infermità, venga poi restituita la salute» (III, q. 44, a. 3, ad 3). Quel “molte” è una parola chiave. Non possiamo dire che tutte le infermità sono legate a dei peccati personali: tutte dipendono certamente dal peccato originale, ma qui si parla delle colpe personali. Ma non possiamo nemmeno negare che molte o alcune lo siano. Dunque, noi non dobbiamo avere la pretesa di stabilire quali sono le une e quali le altre, perché il nostro giudizio è facilmente fallace; e tuttavia bisogna stare attenti a non cadere in quella deriva per cui sembra sempre che la malattia è un accidente che capita e non si capisce mai bene perché. Spesso il Signore la permette proprio per guarirci, in qualche modo, dalle nostre colpe, farci toccare con mano il peso delle nostre intemperanze, di tutte le colpe che abbiamo commesso nella vita. Ci fa capire – attenzione – che c’è una conseguenza anche in questa stessa vita e questa conseguenza poi siamo chiamati a portarla in spirito di espiazione delle nostre colpe. Nessuno di noi può dire, quando si è colpiti da una malattia, fosse anche un raffreddore, “ma io non ho colpa”. Ma dall’altra parte bisogna stare attenti a non pensare che sempre ci sia un legame diretto, perché invece molto spesso sono proprio quelli meno colpevoli a portare questo peso: e qui si apre tutto il mistero della sofferenza innocente, della sofferenza espiatrice, non solo per sé ma anche per il mondo, che chiaramente trova nella figura di Gesù Cristo – anticipato dal giusto Giobbe – la sua chiave. Quindi, attenzione a non dare risposte unilaterali in un senso o in un altro.

L’art. 4, l’ultimo della q. 44, riguarda invece il dominio di Cristo sulle creature prive di ragione, per esempio sulle piogge, sulla tempesta, sui venti che vengono placati dal comando di Cristo; ancora, la pesca miracolosa e la moltiplicazione dei pani. Anche sotto questo aspetto san Tommaso ci dice che è proprio per manifestare la sua divinità che Gesù fa questo, perché «rientra nella virtù di Dio che a lui siano soggette tutte le creature» (III, q. 44, a. 4).

Andiamo a chiudere il cerchio. San Tommaso ha elencato quattro categorie di miracoli per indicare che Cristo è Signore anche degli angeli, con il suo dominio sui demoni; è Signore del cielo e della terra, degli astri, perché comanda i corpi celesti; è Signore degli uomini, della vita e della morte, della malattia e della salute, ed è Signore di tutte le creature che obbediscono al suo comando. Il punto chiave è proprio che questi quattro generi di miracoli manifestano la divinità di Cristo. C’è qui tutta l’importanza, dunque, del sostrato storico della nostra fede; i miracoli non sono immagini per dire che crediamo che Gesù sia Dio: il senso dei miracoli è mostrarlo.

Ora, andare a negare la storicità di questi eventi, tra l’altro senza prendersi neanche la briga di una ricerca veramente seria sulla questione, vuol dire tagliare alla radice quegli elementi che sostengono la fede e che mostrano che la nostra fede non consiste nell’aver creduto a delle favole, ma nell’aver visto dei prodigi. Questi prodigi continuano nella storia della Chiesa e vengono attestati già nei Vangeli, secondo dei criteri importanti di credibilità.

E questo vale per l’Antico e il Nuovo Testamento. Ricordiamoci sempre che i primi destinatari dell’annuncio di Cristo e dei suoi miracoli sono gli ebrei. Ora, gli ebrei vivono di un’attestazione di Dio che compie prodigi. Un sacco di volte nelle Scritture torna l’idea di Dio che compie prodigi, dei nostri padri che ci hanno raccontato le meraviglie di Dio, l’esodo dall’Egitto: sono tutti miracoli che testimoniano la presenza di Dio vicino al popolo d’Israele, la sua potenza, il fatto di essere il vero Dio, diversamente dalle divinità pagane. Gesù Cristo fa esattamente la stessa cosa: è Lui lo stesso Dio dell’Antico Testamento, che opera le stesse categorie di prodigi del Dio dell’AT, con una novità, cioè che questo Dio è visibile nell’umanità del Signore.

Dunque, vediamo l’importanza di questa dimensione: il cristianesimo non è una mera teologia; è una teologia perché nasce da fatti storici, fatti reali, concreti; non c’è una separazione tra la fede e la storia, tra la teologia e la vita concreta del Signore, tra i suoi atti e quello che noi crediamo.

La prossima volta iniziamo il grande capitolo relativo al mistero della Passione del Signore.



Ora di dottrina / 159 – Il video

I miracoli di Cristo (II parte)

13_04_2025 Luisella Scrosati

Attraverso la differente tipologia di miracoli, Cristo si presenta come vero Dio. Quattro categorie di prodigi: sui demoni, sui corpi celesti, sugli uomini, sulle creature prive di ragione. Perché impone ai demoni di non parlare? C’è un legame tra infermità e peccato? San Tommaso risponde.

Ora di dottrina / 159 – Il supplemento

Il Proprio della Domenica delle Palme

13_04_2025 Luisella Scrosati

Dopo la liturgia gioiosa della processione delle Palme, i toni cambiano e ci portano dentro la lotta di Cristo nella sua Passione. Le antifone sono tutte in prima persona; è Cristo stesso che supplica, geme, invoca, spera. Il grido del Salmo 21 e la sua retta interpretazione.

Ora di dottrina / 158 – La trascrizione

I miracoli di Cristo – Il testo del video

06_04_2025 Luisella Scrosati

Era opportuno che Gesù compisse miracoli, come spiega san Tommaso, rispondendo ad alcune obiezioni comuni ancora oggi diffuse tra chi di fatto non crede alla verità dei quattro Vangeli. Le due “tipologie” di miracoli di Cristo: per virtù propria; e invocando il Padre.