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Ora di dottrina / 119 – La trascrizione

La necessità della grazia – Il testo del video

La grazia è necessaria in rapporto ai beni naturali? Vediamo come risponde san Tommaso e come sono cambiate le cose per l’uomo nel passaggio dallo stato originario (prima del peccato) allo stato decaduto. L’esempio del malato e la grazia sanante.

Catechismo 09_06_2024

Oggi iniziamo finalmente il grande capitolo sulla grazia. La scorsa volta abbiamo fatto un’introduzione, richiamando alcune premesse importanti per capire il discorso che inizieremo oggi. E vedremo come già in questa lezione torneranno questi punti e quindi sarà importante averli ben chiari per comprendere la lezione odierna e anche le successive.

Ci occupiamo della quæstio 109 della I-II della Somma Teologica. Questa volta andremo a leggere più in dettaglio il testo di san Tommaso, perché sul tema della grazia è veramente un capolavoro; per cui sarà più un commentario che una lezione “libera”. Ogni tanto preferisco essere più libera, sganciata da un testo, quando magari i testi sono un po’ più difficili o sono molto dettagliati e quindi non ci possiamo dedicare troppo tempo. Altre volte, invece, come in questo caso, preferisco essere più aderente al testo e fare una sorta di semplice commentario perché ci troviamo veramente davanti a dei capolavori della teologia e della riflessione cristiana.

Ricordate sempre lo sfondo: abbiamo visto l’uscita della creazione da Dio, l’exitus; e adesso stiamo vedendo il reditus, il ritorno della creazione e, in particolare, dell’uomo a Dio. Abbiamo visto tre principi fondamentali di questo ritorno, necessari all’uomo per poter compiere il senso della sua vita, cioè: la legge divina, le virtù, la grazia. Oggi iniziamo il terzo aspetto.

La quæstio 109 è una quæstio molto lunga; contiene dieci articoli, che possiamo suddividere in due grandi blocchi: i primi quattro si domandano in sostanza se la grazia sia necessaria in rapporto ai beni naturali; il secondo blocco, che va dall’art. 5 al 10, riguarda invece la necessità della grazia in rapporto ai beni soprannaturali, e questo lo vedremo la prossima volta. Dunque, questa è un po’ la struttura generale di questo primo grande capitolo sulla grazia che appunto riflette sulla necessità della grazia per l’uomo.

Vediamo l’art. 1 della quæstio 109, nel quale san Tommaso si fa una domanda: l’uomo ha bisogno della grazia per conoscere la verità? Si intende la verità proporzionata alla sua natura, non la verità soprannaturale. Se con questa domanda si intende che l’uomo possa conoscere in generale senza la mozione divina, allora la risposta è no. E torniamo a quanto abbiamo detto nella lezione precedente. Se ricordate, abbiamo detto che il senso della creazione è che Dio partecipa l’essere, mantiene nell’essere, custodisce l’essere ed è il principio del moto di ogni creatura. Una radicale e totale indipendenza da Dio significa una caduta nel nulla.

E quindi è chiaro che se io questa domanda – l’uomo può conoscere la verità senza la grazia? – la intendo dal punto di vista ontologico, la risposta è chiaramente no, perché l’uomo non può essere e non può operare nulla senza quella mozione fondamentale di Dio in quanto Creatore. Questa mozione non significa che Dio si sostituisca all’uomo, il quale diventerebbe mero strumento dell’azione di Dio: non è questo. Significa invece che Dio è la “condizione” per cui l’uomo possa essere uomo e possa agire secondo la sua natura. Dunque, in senso assoluto, senza Dio non è possibile nulla radicalmente a nessun essere, a nessun ente e neanche all’uomo.

Infatti, san Tommaso spiega: «Una qualsiasi natura, sia materiale che spirituale, per quanto perfetta possa essere, non può compiere il proprio atto senza la mozione di Dio» (I-II, q. 109, a. 1). Dal punto di vista della creaturalità, e quindi della dipendenza ontologica di ogni essere da Dio, siccome l’agire viene dall’essere, senza Dio nessuno può essere e agire secondo la propria natura. Questo è il punto fermo per tutto; ma capite che qui non siamo sul livello propriamente della grazia, che è un aiuto speciale, una partecipazione speciale che Dio offre alle creature libere e intelligenti: gli angeli e gli uomini.

Se invece intendiamo un’azione soprannaturale – cioè che l’uomo per conoscere abbia bisogno di un’azione soprannaturale, un’illuminazione speciale, soprannaturale, di Dio, superiore dunque a quel lume che l’uomo ha secondo la propria natura, la ragione – allora essa non è propriamente necessaria. Leggo la conclusione a cui perviene san Tommaso: «L’uomo, per conoscere qualsiasi verità, ha bisogno dell’aiuto di Dio perché il suo intelletto si muova ad agire» (ibidem). È quello che abbiamo detto prima, in quanto l’uomo è creatura. «Non ha però bisogno di una nuova illuminazione, aggiunta a quella naturale in tutti i casi, ma solo quando si tratta di oggetti che sorpassano la conoscenza naturale» (ibidem). Cioè, l’illuminazione soprannaturale, l’illuminazione della grazia è necessaria all’uomo per quegli oggetti che oltrepassano la sua natura, la possibilità di conoscerli da parte della sua natura. Per quanto riguarda invece gli oggetti conformi alla sua natura – per esempio la conoscenza della biologia, dell’artemisia, della fisiopatologia, eccetera – non necessita di per sé della grazia, di una luce ulteriore.

Nella risposta alla prima obiezione, san Tommaso dice: «Qualsiasi verità, da chiunque sia detta, viene dallo Spirito Santo, che infonde la luce naturale dell’intelligenza e muove ad intendere e ad esprimere la verità. Non deriva però da lui in quanto inabitante mediante la grazia abituale o in quanto elargente qualche dono abituale aggiunto alla natura» (ibidem). La famosa affermazione – «qualsiasi verità, da chiunque sia detta, viene dallo Spirito Santo» – come deve essere intesa? Deve essere intesa, come ci dice san Tommaso, nel senso che lo Spirito Santo, in quanto Dio, è la mozione primaria necessaria perché l’uomo possa conoscere mediante le sue facoltà naturali. Di nuovo, è il senso della mozione creaturale. Ma questo non significa che debba avere una mozione particolare, un dono soprannaturale o la grazia abituale, cioè l’inabitazione dello Spirito Santo mediante la grazia, per conoscere una qualsiasi cosa proporzionata alle facoltà dell’uomo.

Occorre però una precisazione in chiusura a questo articolo 1. Allora, quanto alla conoscenza umana, il peccato originale ha provocato due problemi che derivano da un’unica radice. Qual è questa radice? Il fatto che è venuta meno la luce soprannaturale della fede. È necessario insistere su un concetto, che abbiamo ripetuto tante volte. L’uomo non è stato creato nella pura natura: è stato creato in una natura già elevata, già adornata profondamente dai doni soprannaturali. Quello che avviene dopo il peccato originale – vi rimando alle lezioni dedicate (vedi soprattutto qui e qui) – non è una semplice assenza di qualcosa, ma è una vera e propria privazione, cioè il venir meno di qualcosa che l’uomo aveva; e aveva in questa sua natura creata, uscita da Dio già elevata e che adesso non ha più.

Qual è la differenza tra l’assenza e la privazione? L’assenza è qualcosa che io non ho più, ma che non comporta un enorme problema quanto all’uomo: per esempio, avevo i capelli lunghi, adesso ce li ho corti; o magari non li ho più; è un’assenza, ma non è qualcosa di così strutturale. Meglio ancora, altro esempio: avevo questa giacca e ora non ce l’ho più, è un’assenza.

Una privazione, invece, è qualcosa che avevo come costitutivo che mi era stato dato, pur essendo soprannaturale: qualcosa di costitutivo e che adesso non ho più. È un po’ – faccio un altro parallelo – come se io non avessi più la vista. La natura umana rimane integra, ma la mancanza della vista non è una semplice assenza come il non avere il maglione: è una privazione, che dunque comporta una serie di conseguenze. Che conseguenze comporta questa privazione, ossia che l’uomo nasca, nello stato di natura decaduta, privo della luce della fede, che invece aveva come sua dotazione nello stato di integrità e nello stato originario?

Sul lato della conoscenza più speculativa, la fede come dono ricevuto, la fede soprannaturale, rispetto a chi non gode di questo dono soprannaturale, dà, fornisce una certezza su verità che la ragione di per sé potrebbe raggiungere, ma che di fatto raggiunge solo con grande difficoltà e grande sforzo. Pensate per esempio all’esistenza di Dio, alla conoscenza degli attributi di Dio: di per sé l’uomo è in grado di raggiungere questa verità, ma data la condizione presente, che è di privazione e di disordine, l’uomo ci può arrivare solo con estrema difficoltà. E dunque la fede arriva in aiuto a dare certezza anche di quelle verità proprie della natura, che vengono così raggiunte con facilità e tenute con fermezza.

Un secondo aspetto riguarda, invece, più che la conoscenza speculativa, quella pratica, cioè la prudenza, la conoscenza relativa appunto all’azione dell’uomo. E sotto questo aspetto dobbiamo dire che con il venir meno della fede viene meno la conoscenza del vero fine ultimo dell’uomo. Ricordate: l’uomo ha un unico, solo fine ultimo ed è soprannaturale. Ma quel fine ultimo mi era dato da conoscere grazie alla luce della fede, essendo un fine superiore alla natura. Nello stato decaduto, quell’unico vero fine non lo conosco con le mie facoltà naturali. Dunque, che cosa succede? Succede che nella ragione pratica, nella prudenza, l’uomo non riesce a orientare gli atti verso questo fine ultimo, non riesce a rettificare in qualche modo sé stesso e i propri atti verso questo fine ultimo che non conosce più. In questo senso, la luce soprannaturale della fede diventa fondamentale per la conoscenza pratica (“pratica” non nel senso di come realizzare un orto, stiamo parlando del fine ultimo dell’uomo, dell’azione morale.

L’art. 2 della quæstio 109 è ancora più denso, più bello per certi versi e risponde alla domanda se l’uomo possa compiere il bene senza la grazia. Ci riallacciamo a quest’ultimo aspetto. Ci dice san Tommaso: «Nello stato di natura integra [vedete sempre il parallelo: stato di natura integra e decaduta] l’uomo ha bisogno di un soccorso gratuito aggiunto alla sua virtù naturale per un solo motivo, cioè per compiere e per volere il bene soprannaturale. Invece nello stato di natura corrotta ne ha bisogno per due motivi: per essere guarito; e inoltre per compiere il bene di ordine soprannaturale, che è meritorio. Inoltre, in tutti e due gli stati l’uomo ha bisogno dell’aiuto di Dio, che dà la mozione per compiere il bene» (I-II, q. 109, a. 2).

Cerchiamo di capire e di vedere come san Tommaso arriva a questa sintesi. Partiamo dalla conclusione: in tutti e due gli stati – stato originario e stato decaduto – l’uomo ha sempre bisogno dell’aiuto di Dio per avere la mozione per compiere il bene. Come abbiamo visto, per conoscere, per agire, sempre da un punto di vista naturale, l’uomo non è radicalmente indipendente da Dio. Ritorniamo al discorso fatto prima, non vado oltre.

Quanto invece alla grazia, san Tommaso distingue tra due condizioni. Nello stato di natura integra, nello stato originario, l’uomo era in grado di compiere «il bene proporzionato alla sua natura». Questo dice il testo: «il bene proporzionato alla sua natura», senza l’aiuto della grazia. Questo è molto interessante, molto importante, perché lo stato di natura integra aveva le facoltà operative – cioè il volere, il conoscere, eccetera – integre. Non c’era la concupiscenza. E quindi l’uomo poteva compiere il bene proporzionato alla propria natura, senza l’aiuto della grazia. Invece, non poteva compiere quel bene superiore alla sua natura. Per avere una prudenza soprannaturale necessitava, come noi, delle virtù infuse, della prudenza infusa. Queste sono le due dimensioni.

Quanto invece alla nostra condizione, la condizione della natura decaduta, la questione cambia un po’. Certamente, riguardo a quel bene che è superiore alla nostra natura siamo nella stessa condizione della natura integra. Cioè, per compiere un bene superiore alla nostra natura abbiamo bisogno e avevamo bisogno della grazia. Ma cambia quello che riguarda il compiere i beni naturali. San Tommaso ci dice: nello stato decaduto, l’uomo può compiere determinati beni particolari proporzionati alla sua natura: può costruire una casa, può piantare una siepe, può leggere un libro, può fare un buon riassunto, eccetera. Può fare tante cose, tanti beni particolari. Ma attenzione: non può compiere il bene proporzionato alla sua natura nella sua totalità.

E san Tommaso, per chiarire, fa qui l’esempio del malato: non è che il malato non può far niente di buono, il malato può fare delle cose proporzionate alla sua natura umana, può mangiare, può andare al bagno, può alzarsi dal letto, se è nelle condizioni di farlo, può camminare, può leggere un libro, può fare delle cose proporzionate alla sua natura. Però, non può compiere pienamente e perfettamente – se non viene aiutato dalla cura medica, dalla guarigione – quello che un uomo sano invece riesce a compiere. Ecco, questo è un buon esempio per comprendere la condizione dell’uomo malato, cioè decaduto, il quale non è che non può fare nessun bene in assoluto, ma non riesce a compiere quel bene integro, proporzionato alla sua natura. Per farlo, ha bisogno della grazia.

E da qui il termine importantissimo della gratia sanans: la grazia, nello stato decaduto, non agisce “solo” come agiva nello stato originario, cioè elevando l’uomo al di sopra della sua natura, rendendolo “proporzionato” a un fine soprannaturale; ma agisce anche per guarire la sua natura, che è rimasta ferita. Quindi, agisce come gratia sanans, come grazia medicinale, potremmo dire.

Nell’art. 3, anche questo molto interessante, san Tommaso si chiede se l’uomo possa amare Dio sopra tutte le cose senza la grazia. Attenzione, leggo anche qui la sintesi, che probabilmente vi stupirà, e cerchiamo di capire poi il ragionamento. La sintesi è questa: «L’uomo, nello stato di natura integra, non aveva bisogno di un dono di grazia aggiunto ai doni di natura per amare naturalmente Dio sopra tutte le cose, sebbene avesse sempre bisogno della mozione di Dio. Nello stato di natura decaduta, invece, l’uomo ha bisogno dell’aiuto della grazia anche per il risanamento della sua natura» (I-II, q. 109, a.3).

Che cosa ci sta dicendo qui san Tommaso? Abbiamo una visione dell’universo, una visione della creazione come di un grande desiderio “sospeso” a Dio, rivolto a Dio, secondo gradi diversi che sono i gradi della partecipazione dell’essere. Ma tutta la creazione desidera Dio, in quanto partecipa, ha ricevuto l’essere da Dio, che è la sorgente di ogni essere, è la sorgente di ogni bene.

Dunque, nella visione cristiana, radicalmente espressa soprattutto dagli autori medievali, tra cui san Tommaso, abbiamo questa idea di fondo: l’universo è come un grande sospiro di ritorno verso la sua fonte, verso la sua sorgente. Ma non in modo univoco, bensì secondo i gradi di partecipazione dell’essere. E nell’uomo è un desiderio che deve diventare orientamento della propria intelligenza e della propria volontà, cosa che non avviene per le creature che non sono libere. Ora, san Tommaso ci dice: «Per ogni cosa è naturale [cioè conforme alla sua natura] amare nella misura in cui è partecipe dell’essere». Dunque, san Tommaso ci sta dicendo che è naturale, perciò secondo la natura di ogni cosa, amare Dio nella misura del proprio essere e, dunque, amare Dio più di sé stessi, in quanto Dio è l’origine, la sorgente del mio essere, è più grande del mio essere. Questo è naturale, potremmo dire il DNA di tutta la creazione, questo amare nella misura in cui si è partecipi dell’essere.

Ciò significa che, nello stato di natura integra, per l’uomo era naturale amare Dio con tutto sé stesso, perché nello stato integro l’uomo seguiva la sua condizione strutturale, naturale. Il che non significa, come spiega Tommaso nella risposta alla prima obiezione, che la carità fosse naturale. Qual è la distinzione? Questo amore naturale di cui parliamo è l’amore che viene dato, che viene portato a Dio in quanto origine dell’essere, fine di ogni cosa. La carità non è naturale nell’uomo, perché è un dono di grazia, un dono divino, secondo un’elevazione della natura: non è al livello, diciamo così, della natura.

La carità che cosa ci dice? Non ci dice semplicemente che amiamo Dio come principio e fine di ogni bene naturale, ma in quanto oggetto di beatitudine, in quanto fruizione eterna: questo è il dono sopraggiunto della carità. Ma per quanto riguarda invece il primo aspetto – amare Dio come principio e fine di ogni bene naturale – questo nello stato integro era appunto naturale, non aveva bisogno di una grazia sopraggiunta. Invece, quanto al bene soprannaturale, anche nello stato originario, c’era bisogno della carità divina.

Questa natura di cui abbiamo parlato – cioè che tutte le cose amano, ritornano, desiderano il proprio principio come principio e fine di ogni bene – rimane nell’uomo decaduto; non abbiamo cambiato natura. Ma cosa è successo con il peccato originale? Che l’uomo è appunto decaduto, disordinato, quindi ripiegato su di sé. E necessita perciò della grazia anche per compiere quel fine che è proprio alla sua natura, cioè amare Dio con tutto sé stesso e al di sopra di sé stesso. Dunque, di nuovo, l’idea della gratia sanans, della grazia medicinale. L’art. 3 è un articolo stupendo, perché ci permette di capire che amare Dio con tutti sé stessi è il “codice” della natura umana, appartiene alla natura umana, che nel nostro stato ormai ha bisogno della grazia per raggiungere anche questo fine che è proprio alla sua natura; e ha poi bisogno chiaramente della grazia per raggiungere l’amore di Dio in quanto nostra beatitudine eterna, per raggiungere questa unione intima con Dio, l’essere uniti a Dio come l’amico all’amico, lo sposo alla sposa: questo è soprannaturale, ma l’altro appartiene alla natura.

È fondamentale capire questo. La predicazione del Vangelo e soprattutto la vita della grazia che si genera con l’azione della Chiesa, nella vita sacramentale, nella preghiera, tutto questo ormai è necessario all’uomo in quanto uomo, per essere anche uomo, “solo” uomo, perché c’è bisogno ormai di questa medicina che va ad agire proprio sulla natura umana. Lo abbiamo visto in parte per la conoscenza della verità, con la precisazione che abbiamo fatto; lo abbiamo visto e in quale misura, nell’operare il bene; e ora lo vediamo nel poter vivere secondo la propria natura di amare Dio in quanto principio, sorgente e fine di ogni bene creato, di ogni bene naturale.

La quarta e ultima applicazione la troviamo nell’art. 4, nel quale san Tommaso si domanda se l’uomo possa adempiere i precetti della legge naturale senza la grazia. Questo è l’ultimo ambito della relazione della grazia con i beni naturali. E san Tommaso di nuovo distingue le due condizioni: natura integra e natura decaduta. E che cosa ci dice? Andiamo a vedere la natura integra. San Tommaso ci dice che «quanto alla sostanza delle opere», cioè alle opere in sé, l’uomo poteva adempiere la legge naturale senza la grazia, perché era appunto legge naturale, proporzionata alla sua natura, che era una natura integra. Quanto al modo invece di adempiere questa legge naturale, ossia la mozione della carità, qui chiaramente no, perché la carità è un dono soprannaturale, non appartiene alla natura. E dunque l’uomo nella condizione originaria si trovava in questa perfetta sinergia tra i propri doni integri che gli permettevano di operare secondo la legge naturale e la sinergia della carità che faceva sì che questi atti fossero già compiuti amando Dio al di sopra di ogni cosa in quanto oggetto della nostra beatitudine, cioè un amore di amicizia.

Nello stato nostro, nello stato di natura decaduta, quanto alla carità, è come nello stato originario: la carità è un dono soprannaturale, quindi non è possibile all’uomo in naturalibus. Ma quanto alla sostanza, cioè in concreto, gli atti propri comandati dalla legge naturale, l’uomo li può compiere senza la grazia? La risposta di san Tommaso è: materialmente a volte lo può fare, ma sostanzialmente non lo può fare quanto all’integrità della sua azione morale: «Nello stato di natura corrotta l’uomo non può adempiere tutti i divini precetti senza la grazia sanante» (I-II, q. 109, a. 4), la gratia sanans di cui abbiamo parlato prima.

In soldoni, nella nostra condizione, non è che in assoluto nulla può essere adempiuto della legge naturale senza l’aiuto della grazia; ma nella sua integrità l’uomo non lo può più fare senza questo aiuto, precisamente perché questa natura non è cambiata, ma è indebolita, è malata. Torniamo all’esempio del malato, che può fare tante cose ma non può agire secondo l’integrità della sua natura umana.

E così analogamente, riguardo ai precetti della legge divina, l’uomo non è in grado di compierli nella loro integrità senza l’aiuto della grazia che è appunto gratia sanans, la grazia che risana la natura. Importantissimo questo aspetto e dobbiamo capirlo. Noi non possiamo continuare a difendere la legge naturale – cosa che dobbiamo fare, non fraintendetemi – senza però dall’altra parte predicare e fornire i mezzi della grazia, perché metteremmo l’uomo nella condizione di conoscere magari questa legge, ma concretamente di non poterla adempiere o di non poterla adempiere sempre. Quindi, è fondamentale che la predicazione sulla legge naturale, indispensabile e necessaria, sia accompagnata e corroborata da quella della grazia, in particolare nella preghiera: l’uomo, se non si rivolge a Dio, se non si apre a Dio, non può ricevere quella grazia che gli è necessaria anche per compiere nella loro integrità i precetti della legge naturale.

Abbiamo messo tanta carne al fuoco, ma è un capitolo splendido. Oggi abbiamo visto come non solo la grazia e la natura si armonizzino, ma come ormai la grazia debba entrare per sanare la nostra natura, sanare l’uomo. Dunque, quando si parla di umanesimo, di vero umanesimo, di “umanesimo integrale”, non si può più prescindere, dato lo stato decaduto, dalla grazia. Questo è importantissimo tenerlo presente.

La prossima volta vediamo il secondo blocco, cioè la necessità della grazia in rapporto ai beni soprannaturali.



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09_06_2024 Luisella Scrosati

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