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ORA DI DOTTRINA / 118 – LA TRASCRIZIONE

Introduzione alla grazia – Il testo del video

Dio chiama l'uomo a un piano divino, ma l'uomo non è Dio: pertanto sin dall'inizio gli ha donato qualcosa di superiore alla natura umana, perché potesse compiere questo "salto".

Catechismo 02_06_2024

Oggi iniziamo un capitolo nuovo che ci accompagnerà per qualche domenica, dedicato alla grazia. Perché siamo arrivati qui? Se ricordate, da un po' di domeniche abbiamo dedicato delle Ore di dottrina al senso del ritorno. Ricordate la grande idea di San Tommaso (ma non solo), che il senso della storia e della vita dell'uomo è che una volta che ciascuno di noi concretamente è posto in essere, inizia la grande avventura del ritorno alla fonte del proprio essere, alla fonte della propria vita. Dunque la creazione è vista come una grande uscita da Dio, un atto di sorprendente bontà di Dio che non era necessitato a creare altro da Sé, essendo perfettamente beato in sé stesso. Una grande uscita che però nello stesso tempo è una grande chiamata, una grande vocazione a un ritorno, perché non è possibile che ciò che è creato abbia un fine diverso dal ritorno alla propria origine – origine che ha impresso a ciascuna realtà, secondo modalità diverse, un'impronta di sé fino a una vera e propria immagine e somiglianza come vediamo nell'uomo e nella creatura angelica.
Questa è la grande cornice entro la quale ci stiamo muovendo.

In questo ritorno abbiamo parlato di tre grandi strumenti che permettono questo reditusla legge, come aiuto, strumento esterno all'uomo; le virtù, come strumento invece interno, in quanto la virtù parte dall'interno, perché, essendo un'azione dell'uomo, ha un principio interno; e poi abbiamo la grazia, che è un principio, per la sua origine, chiaramente esterno – proviene da Dio, come vedremo –, ma è interno quanto alla sua mozione, quanto alla sua azione. Per capirci, non è un guinzaglio che ci viene messo e con cui il Signore ci tira, ma è un principio che va ad agire dall'interno, quindi va a formare, stimolare le nostre facoltà, l'intelligenza, la volontà, dall'interno, nonostante appunto la sua origine sia esterna. Diciamo che è un principio esterno/interno; la legge è un principio esterno, la virtù è un principio interno, anche se abbiamo già visto che quando parliamo delle virtù infuse anche qui c'è un'infusione da parte di Dio, dunque la virtù è un principio chiaramente interno, ma, di nuovo, ha un aspetto esterno. La grazia è invece un principio esterno che ha una mozione interna.

Questa vuol essere un'introduzione ai grandi capitoli sulla grazia per mettere dei punti fermi su alcuni aspetti che diventeranno fondamentali quando affronteremo il trattato sulla grazia, sempre a livello di catechesi, non di lezioni di teologia ovviamente, ma in modo un po' più approfondito. Questi punti fermi altro non sono che delle grandi sintesi del percorso fatto finora, o almeno dei grandi capitoli che abbiamo toccato nel lungo percorso; per evitare il rischio di perdere l'orientamento , cerchiamo di recuperare i punti più importanti e fare una sintesi, perché sono fondamentali per poi capire il senso della grazia e non cadere in errori che purtroppo si sono verificati nella storia della Chiesa e tuttora sono molto presenti. 

Primo punto fermo da richiamare, da sintetizzare, da avere ben presente nei suoi aspetti fondamentali è il senso della creazione. Ora, se ricordate, quando abbiamo parlato della creazione, abbiamo detto che non è un semplice avvio di un ingranaggio da parte di Dio che poi, come un orologio, che posso lasciare sul tavolo e va avanti da solo senza che io debba ogni volta esercitare su di esso un'influenza esterna. La creazione non è questo. Abbiamo detto che creare vuol dire appunto produrre l'essere, partecipare l'essere. Ed ecco perché questa è una prerogativa solo divina perché Dio è l'Essere stesso. Dunque, voi capite che se noi ritorniamo a questo forte principio della creazione, ne dobbiamo derivare che la creazione è una dipendenza totale della realtà creata dal suo Creatore. Perché totale? Perché è da Dio che dipende il nostro essere: l'origine del nostro essere, la sussistenza del nostro essere e – attenzione – il nostro agire, perché l'agire di qualcosa proviene dal suo essere. Dunque vedete che, primo lato della medaglia, la creazione indica questa dipendenza ontologica, quindi totale dell'essere e dell'agire di ogni creatura dal suo Creatore.

Dall'altra parte – non sono due realtà in tensione, ma due aspetti che dobbiamo tenere insieme, data la difficoltà del nostro modo di conoscere che è sempre un po' successivo, raziocinante – abbiamo un secondo aspetto, e cioè l'affermazione che, proprio perché Dio è causa trascendente, non è parte del mondo, non è parte della creazione: siamo lontani da una visione panteista; proprio perché Dio è causa trascendente, ogni cosa ha una sua reale causalità, che non è fittizia. Per capirci, ogni creatura non è una parte di Dio, al punto che potremmo pensare la causalità di una creatura come quella della mano rispetto alla persona: la mia mano fa qualcosa, ma è in realtà la persona che muove la mano e quindi la causalità è tutta della persona e solo indirettamente della mano. Non è così per la creazione; la creazione non è la “mano di Dio”, ma appunto perché Dio trascende, questa onnipotenza divina, questa trascendenza divina permette che ogni realtà abbia la sua consistenza e la sua azione, in modo che un atto dipende realmente e integralmente sia dalla causa seconda (la creatura), sia dalla causa prima (il Creatore). Ma vi dipende secondo modalità diverse. Cerchiamo di spiegare questo punto fondamentale: la causalità divina (Dio crea crea l'ente, ogni cosa, ogni creatura e dunque gli dà l'essere nella misura segnata dalla sua essenza, dalla natura di ogni cosa) fa sì che ciascuna creatura possa agire secondo la sua natura; quel Dio che crea la natura della cosa e il suo essere è precisamente colui che garantisce, essendo causa trascendente e non immanente, che ciascuna realtà possa agire secondo la sua natura.

Dunque, avremo il mondo della causalità necessaria: il fuoco scalda, ma sempre il fuoco scalda, è necessario che il fuoco scaldi. Dio ha posto il fuoco come fuoco e ha fatto sì che questa creatura scaldi ogni volta che c'è (causalità necessaria). Ha posto poi le cause contingenti, cioè quelle cause che non sempre realizzano il proprio effetto. Classico esempio è la generazione, la riproduzione, dove non è necessario che posti gli atti generativi si abbia effettivamente la generazione. Lo si ha perlopiù, ut in pluribus, ma non è necessario che questo avvenga; e dunque le cause contingenti sono conservate e custodite da Dio in quanto contingenti e su questa contingenza, per esempio, si esplica tutta la possibilità dell'uomo di intervenire. Pensate all'esempio che abbiamo fatto prima, perché appunto un certo atto generativo possa con più probabilità, date certe condizioni, raggiungere il suo fine. Terzo, quello che a noi interessa maggiormente – perché è qui che si creano grossi problemi – le cause libere: sono quelle cause che si autodeterminano, che hanno in se stesse il principio della propria determinazione. Cioè dove c'è la libertà: nell'uomo e nell'angelo. Ora, questo è il punto: non solo non c'è una tensione tra la realtà umana e Dio, ma è precisamente Dio che garantisce la libertà umana, in quanto Creatore; proprio perché noi dipendiamo nell'essere e nell'agire da Dio è questo che ci permette di essere principio dei nostri atti. Perché, quando noi diciamo che Dio è principio dell'azione dell'uomo, non intendiamo dire che Dio è responsabile dell'azione dell'uomo, altrimenti l'azione dell'uomo avrebbe una libertà solo fittizia: pensiamo che sia libera, ma in realtà non lo è. Invece, proprio perché Dio è il Creatore, colui che mantiene nell'essere ogni creatura e dunque l'uomo stesso, e perché l'essere è il principio di ogni agire, Dio è il garante dell'azione dell'uomo, è colui che permette l'azione dell'uomo; e non solo: permette che l'uomo determini se stesso nell'agire, secondo la natura propria dell'uomo. Ed ecco perché ogni azione umana veramente è legata a Dio e non esisterebbe se Dio non supportasse ogni creatura nell'essere e dunque nell'agire, ma dall'altra parte è realmente di responsabilità dell'uomo.

Questo è importantissimo: non confondere i due aspetti, cioè non cadere nell'errore di chi dice che la libertà dell'uomo vuol dire distacco da Dio: il distacco totale da Dio precipiterebbe l'uomo e tutta la creazione nel nulla. Ma dall'altra parte non dobbiamo pensare che questa totale dipendenza di ogni creatura da Dio, in quanto Dio è creatore dell'essere, dunque del principio dell'agire di ogni cosa, non dobbiamo pensare che questo significhi che allora Dio sia il responsabile dell'azione dell'uomo, perché Dio ha posto in essere l'uomo, creatura capace d autodeterminazione, e dunque custodendo, conservando l'essere dell'uomo, permette all'uomo di agire secondo la sua natura, cioè secondo un principio di autodeterminazione e dunque di portare la responsabilità delle proprie scelte. Questo è un primo caposaldo fondamentale: il senso della creazione, perché qui si innesterà poi la questione della grazia, se la grazia allora toglie la libertà dell'uomo o no. 

Da quanto abbiamo detto dovreste già intuire la risposta. Dio non è un concorrente della libertà umana, perché non è nel piano della creaturalità; è una causa trascendente e la causa trascendente ha questo di fantastico: che realmente causa l'essere delle creature, dunque realmente tutta la creazione dipende da questa causa prima, da Dio, e allo stesso tempo però ogni cosa agisce secondo la sua natura, senza che ci sia una “concorrenza” tra i due piani o una sorta di intralcio tra un piano e l'altro, per cui quanto più affermiamo Dio tanto meno affermiamo l'uomo, o viceversa, quanto più affermiamo l'uomo tanto meno affermiamo Dio. Questo è l'errore tipico della modernità e delle filosofie sostanzialmente atee anche quando magari non affermano il principio dell'ateismo.

Il secondo punto che è importante richiamare e tener fermo è il fine dell'uomo in quello che abbiamo chiamato lo stato originario o di integrità dell'uomo. In pratica, l'uomo uscito dalle mani di Dio, i nostri progenitori, la situazione del Paradiso terrestre. Allora, sono tutte cose già affrontate, ma facciamo una sintesi per tenere insieme le diverse parti e avere un quadro più armonico.

Fin dalla sua creazione, Dio ha dato all'uomo un fine che sorpassa l'uomo, cioè la partecipazione alla vita divina, la visione beatifica, la partecipazione alla beatitudine di Dio. Questo fine, che Dio non ha dato all'uomo dopo, ma lo ha dato nella creazione dell'uomo, oltrepassa l'uomo. Perché lo oltrepassa? Perché evidentemente chiama l'uomo a un piano divino e l'uomo non è Dio. Precisamente per raggiungere questo scopo, che è l'unico fine ultimo dell'uomo – esistono molti fini intermedi, ma un unico fine ultimo – fin dall'inizio Dio ha posto nell'uomo qualcosa di proporzionato per raggiungerlo, e dunque qualcosa che è più di quanto appartenga alla sua natura umana metafisicamente parlando; cioè l'uomo fin dall'inizio è chiamato a superare se stesso e dunque, perché questo fine non fosse fittizio, Dio ha dato all'uomo ciò che era necessario per questo "salto". Cos'era questo "qualcosa" di superiore alla natura dell'uomo? La grazia, ossia una partecipazione all'ordine divino, alla vita divina.

Ora, questa grazia, nello stato originario, era stata conferita non solo ad Adamo in quanto singolo, ad Eva in quanto singola, bensì in quanto progenitori. Il che significa una cosa molto importante: era stata conferita alla natura dell'uomo. Non perché coincidesse con la natura dell'uomo: abbiamo infatti detto che è un principio superiore per tendere a un fine superiore. Ma cosa vuol dire che era stata conferita alla natura? Vuol dire che doveva essere trasmessa con la generazione, non perché l'atto generativo in se stesso fosse in grado di conferire la grazia, ma perché Dio aveva disposto che nella venuta all'essere di ogni figlio di Adamo ed Eva, egli stesso avrebbe dato la grazia precisamente nel momento del concepimento. Questo significa che la grazia era stata data alla natura, da trasmettere con la trasmissione della stessa natura umana.

Vi erano poi, lo abbiamo visto, altre grazie che configurano quello che abbiamo chiamato la giustizia originale. Come l'immortalità: l'uomo non doveva morire (inteso come separazione dell'anima dal corpo); il che non significava che doveva stare tutta la vita in questo mondo, essendo chiamato alla visione beatifica, ma sarebbe stato un passaggio senza l'intervento della morte, cioè della separazione dell'anima dal corpo. E poi l'integrità: la sottomissione, l'ordine, per meglio dire, dell'appetito sensibile rispetto alle facoltà superiori, lo spirito; dunque la nostra sfera sensibile era perfettamente ordinata a quella superiore, e lo spirito, l'intelletto in accordo con la volontà, erano perfettamente sottomessi e ordinati a Dio. Questa è l'integrità, cioè l'ordine originale, che costituisce la cosiddetta giustizia originale.

Ora, quello di cui noi abbiamo esperienza non è questo uomo. Perché, lo abbiamo visto, dopo il peccato originale è successo un patatrac: non che sia venuta meno la natura umana metafisicamente parlando – l'uomo è uomo, non è venuto meno quanto alla sua natura – e neanche perché sia venuto meno il fine – ogni uomo che nasce in questo mondo è chiamato a raggiungere questo fine soprannaturale. Cosa è venuto meno? È la privazione: ogni uomo eredita la sua natura umana, ma non eredita più la grazia; la quale dunque non è semplicemente qualcosa che non c'è più (era un soprammobile, lo abbiamo tolto e non cambia...), ma era qualcosa di profondamente legato alla natura dell'uomo, nel senso che, essendo l'uomo chiamato a un unico fine, capite che venendo meno la grazia l'uomo si trova a non poter più raggiungere questo fine, a non essere più nemmeno – adesso lo vedremo – rivolto a questo fine. È una vera e propria privazione, della cui assenza noi soffriamo, non è semplice assenza (rimando al gruppo di lezioni sul peccato originale).

Ora, in concreto, l'uomo di oggi (non del 2024, ma l'uomo dopo la caduta: si dice infatti decaduto) come vede questa privazione, come la sperimenta, come la constatiamo? Innanzitutto, a livello della perdita dell'integrità, cioè di quell'ordine, per cui noi sperimentiamo la concupiscenza: i nostri appetiti sensibili fanno quello che gli pare, non sono naturalmente soggetti alle facoltà superiori. Primo punto: non c'è più l'integrità, c'è la concupiscenza, c'è il disordine, c'è questa lotta dentro di noi. In più le facoltà superiori non sono più ordinate spontaneamente a Dio. Nel senso che la nostra intelligenza non è più illuminata da una luce superiore, che è la luce della fede, e la nostra volontà non è più retta, non è più animata dalla carità e quindi orientata ad amare Dio e il prossimo come se stessi. C'è un disordine, una privazione nelle nostre facoltà inferiori e superiori.

Ultimo passaggio. La "storia", per così dire, che stiamo raccontando non finisce con l'uomo decaduto, ma "finisce" con quella che viene chiamata l'economia della Redenzione, di cui ci occuperemo d'ora in avanti, sia parlando della grazia, sia poi proseguendo nei singoli articoli del Credo, occupandoci di Gesù Cristo, dello Spirito Santo e poi della Chiesa. Allora, questa economia della Redenzione, cos'è e cosa non è? Teniamo sullo sfondo ciò che abbiamo detto riguardo alla giustizia originale e allo stato dell'uomo decaduto. L'economia della Redenzione non coincide né con l'una né con l'altro, eppure ha degli aspetti che vediamo di prendere da entrambi. Anzitutto, non ristabilisce gli antichi privilegi, in particolare il primo grande privilegio, cioè il fatto che la grazia si sarebbe trasmessa con la generazione – chiaramente per intervento divino. Ora, noi sappiamo che la grazia invece deve essere restituita, non alla specie umana, ma a ciascun uomo. E come viene restituita a ciascun uomo che nasce privo di questa grazia, dopo il peccato originale? Mediante il rinascere dall'acqua e dallo Spirito. Il Signore è categorico da questo punto di vista: non si può raggiungere il fine della beatitudine se non si rinasce dall'acqua e dallo Spirito.

L'economia della Redenzione non ci riporta allo stato originale secondo un altro aspetto: il battesimo, che realmente ci restituisce la grazia, ci rigenera alla vita della grazia, non ci riporta propriamente allo stato originale perché ciascuno di noi conserva un vulnus, delle ferite, quella che abbiamo chiamato la concupiscenza. Anche dopo il battesimo ciascuno di noi avverte questa lotta interna con la propria concupiscenza ed esterna con Satana, con il maligno, e con quel mondo che è sotto la potestà del maligno. Dunque, l'economia della Redenzione è per definizione l'economia della lotta, della battaglia, del combattimento: ce lo dobbiamo mettere bene in testa, non siamo né nello stato propriamente decaduto, né nello stato originario, siamo nell'economia della Redenzione e dunque nella fase del combattimento. Un combattimento che significa in sostanza una sola cosa: che la nostra volontà vuole aderire a Dio, vuole aderire a Gesù Cristo più che a ogni altra cosa. Qualcuno potrebbe chiedersi: "Ma il Signore non poteva fare diversamente, farla più semplice?". No, perché la beatitudine non è altro che questa adesione pacifica, perfetta, definitiva dell'uomo a Dio, della volontà dell'uomo alla volontà di Dio. E dunque, capite che il punto non è se Dio poteva fare diversamente, il punto è che essendo questa la beatitudine, questa adesione, ciascuno di noi la deve volere, perché Dio non salva nessuno senza il concorso della nostra volontà.

E perché Dio non salva nessuno senza il concorso della nostra volontà? Perché se il fine dell'uomo è amare Dio, nessuno può essere costretto ad amare. Amore e costrizione si oppongono. L'amore è l'adesione della volontà ed è appunto un atto volontario, libero.

Quando avremo allora la completa restaurazione? Una fase intermedia sarà dopo la nostra morte, se la nostra sarà una morte santa e quindi quando accederemo alla visione beatifica. Ma pienamente avverrà con la risurrezione finale, con la risurrezione della carne, perché lì sarà tutto l'uomo in tutta la sua dimensione a essere non solo restaurato allo stato originario, ma a partecipare già del fine che anche Adamo ed Eva – che pure erano nello stato originario – dovevano ancora raggiungere: la visione beata, eterna e immutabile.

All'interno di questa visione di insieme, andremo a vedere quella grazia di cui l'uomo è privo – nello stato decaduto l'uomo nasce senza la grazia –, ma che viene ridata in partecipazione all'uomo mediante i sacramenti, di cui parleremo più avanti.
Intanto parliamo della grazia: che cos'è, cosa causa, quali sono i suoi effetti, ecc. Questo sarà il percorso dei prossimi incontri. 
Per chiudere il cerchio ricordiamo: la grazia è il terzo aspetto, insieme alla legge e alle virtù, di quel ritorno (reditus) dell'uomo a Dio.



ORA DI DOTTRINA / 118 – Il video

Introduzione alla grazia

02_06_2024 Luisella Scrosati

Dio chiama l'uomo a un piano divino, ma l'uomo non è Dio: pertanto sin dall'inizio gli ha donato qualcosa di superiore alla natura umana, perché potesse compiere questo "salto".

Ora di dottrina / 117 – La trascrizione

Le virtù cardinali: la prudenza – Il testo del video

26_05_2024 Luisella Scrosati

Delle quattro virtù cardinali, la prudenza è la virtù regina, perché permette a un’azione di essere perfetta, raggiungendo un fine buono, con mezzi buoni. I vizi opposti alla prudenza: imprudenza, negligenza, falsa prudenza.