La Fifa mainstream cede alla "fifa" dei musulmani
Niente fascia arcobaleno in Qatar: di fronte all'intransigenza islamica il "calcisticamente corretto" fa dietrofront e rinuncia anche a richiami impliciti alle lotte Lgbt. Ma senza perdere il vizietto di sfruttare il calcio per campagne buoniste, almeno quelle concesse dall'emiro.
Ubi maior, minor cessat. Questa locuzione latina si adatta anche ai fanatismi e alle ideologie: quelle più forti scacciano le più deboli. Un’applicazione darwiniana alle idee, insomma. Abbiamo avuto una prova della validità di questo aforisma in occasione dei Mondiali di calcio che si stanno disputando in Qatar.
La Federazione calcio dell’Olanda nel 2020 s’inventò una fascia con i colori arcobaleno racchiusi dentro un cuore che chiama “One Love”. Si tratta di una delle innumerevoli campagne a sostegno delle rivendicazioni del mondo LGBT, campagne che naturalmente non andrebbero né proposte né tantomeno imposte. La Uefa approvò l’utilizzo della fascia per la Nations League e, oltre all’Olanda, aderirono all’iniziativa anche Germania, Inghilterra, Belgio, Danimarca, Francia, Galles, Svizzera, Svezia e Norvegia. In Qatar invece la Fifa ha dichiarato la fascia fuori legge, seppur la sequenza dei colori dell’arcobaleno fosse stata invertita per non urtare la sensibilità musulmana che, come è noto, non è propriamente gay friendly.
Il capitano che la dovesse indossare si vedrebbe ammonito e la squadra dovrebbe pagare una sanzione pecuniaria. Sette federazioni – Inghilterra, Olanda, Belgio, Danimarca, Germania, Svizzera e Galles – allora hanno deciso di fare un passo indietro perché le lotte per i cosiddetti diritti civili sono sacrosante finchè non devi pagare di persona. Nulla di nuovo: gli alfieri del politicamente corretto sbraitano sui social, inveiscono dai media, marciano lungo le strade reggendo cartelli perché sanno che nulla accadrà loro dato che chi ha il potere – politico, massmediatico e giudiziario – li sosterrà in modo incondizionato. Insomma rivoluzionari sì, ma con tutti i comfort di chi sta dalla parte giusta della Storia e con la garanzia che hai già la vittoria in tasca.
Si diceva poc’anzi: Ubi maior, minor cessat. Di fronte all’intransigenza islamica sui temi dell’omosessualità e della transessualità, intransigenza fortificata da enormi quantità di denaro, il credo LGBT impallidisce e non può averla vinta. Bud Spencer nel film Bulldozer lo aveva detto chiaro e tondo: «Vedi amico, nella vita c'è sempre qualcuno più forte di te». Ai cristiani puoi dare degli omofobi perché sono degli agnellini, che tra l’altro sempre più pascolano quieti dentro il recinto arcobaleno, ma con i musulmani meglio lasciar perdere. È proverbiale la loro permalosità su alcune questioni di morale sessuale.
L’ipocrisia della Fifa – il cui acronimo acquista in questa occasione un significato assai pertinente – è poi macroscopica. Vietata la fascia pro LGBT per paura della scimitarra che l’emiro del Qatar agitava sopra il suo capo, la Fifa ha però accettato di buon grado che vengano indossate altre fasce, più innocue e che rappresentano un vero campionario degli stereotipi buonisti: «Il calcio unisce», «Salviamo il Pianeta», «Diamo da mangiare ai bambini», «Condividi il pasto». Il politicamente corretto è proprio questo: dire e fare cose che non devono infastidire nessuno. In Qatar appoggiare la causa LGBT è contro il politicamente corretto locale. E allora One Love diventa uno slogan non gradito, mentre gli altri sono ben accetti perché generici, dai toni sfumati, banalmente buoni per tutti i gusti. In breve: ci sono slogan più mainstream di altri e questi secondi finiscono per risultare divisivi. I paradossi dell’ideologia che, alla fine, divora se stessa.
Tra queste fasce molto per bene svetta la più inclusiva di tutte, la «No discrimination». A tal proposito una nota Fifa recita: «Siamo a favore dei diritti Lgbt e sosteniamo la campagna One Love. Ma i capitani da regolamento devono vestire la fascia fornita dalla Fifa». Ciò a dire: siamo contro ogni discriminazione, compresa quella a danno delle persone gay e trans, e quindi lo slogan “No discrimination” dovrebbe essere accettato da chiunque. Una furbata che però non è andata giù alle autorità del Qatar: nemmeno un rimando implicito alla tutela delle rivendicazioni LGBT può essere permesso. Ed ecco che questa fascia, inizialmente, si sarebbe potuta indossare solo dai quarti in poi, quando presumibilmente il Qatar sarebbe stato già fuori dal Mondiale. Poi è scoppiata questa polemica sulla fascia One Love e allora la Fifa è stata costretta ad anticipare la possibilità di indossarla. Un colpo al cerchio e uno alla botte, ma entrambi i colpi vanno nella stessa direzione: usare il calcio strumentalmente per veicolare messaggi di quella parte della società che mai segna un gol a favore della verità.