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ELEZIONI USA

La Corte Suprema respinge il Texas. Biden è presidente

Il Texas ha perso la causa in Corte Suprema: il massimo organo del potere giudiziario americano, con una breve ordinanza, ha decretato l’inammissibilità del ricorso presentato dallo Stato meridionale, contro sospette violazioni costituzionali degli Stati di Pennsylvania, Michigan, Wisconsin e Georgia. Quindi non verrà ribaltato l’esito del voto di novembre. Biden è presidente

Esteri 13_12_2020

Il Texas ha perso la causa in Corte Suprema: il massimo organo del potere giudiziario americano, con una breve ordinanza, ha decretato l’inammissibilità del ricorso presentato dallo Stato meridionale, contro sospette violazioni costituzionali degli Stati di Pennsylvania, Michigan, Wisconsin e Georgia. Quindi non verrà ribaltato l’esito del voto di novembre. Lunedì, 306 Grandi Elettori voteranno per Biden contro 232 per Trump. Joe Biden diverrà realmente il presidente eletto, non solo previsto e il 4 gennaio si attende la sua formalizzazione, con la certificazione del voto del Collegio Elettorale da parte del Congresso. E il 20 gennaio, si inaugurerà la sua amministrazione.

Come mai la Corte Suprema, che pure è a maggioranza conservatrice, ha respinto il ricorso del Texas? Quanti si aspettavano una Corte in cui i giudici supremi conservatori erano stati nominati da Trump (da ultima Amy Coney Barrett) per motivi squisitamente elettorali, oggi si devono ricredere. La realtà americana è molto diversa da quella italiana. Essere conservatore vuol dire, fra le altre cose, rispettare l’originario spirito della Costituzione. Quindi: essere autenticamente federalisti. Un giudice supremo conservatore, raramente interferirà con le decisioni interne di uno Stato. E questo è il caso, perché il Texas accusava i quattro Stati sospetti di aver violato la Costituzione cambiando le loro (interne) leggi elettorali all’ultimo momento, con provvedimenti amministrativi o sentenze giudiziarie, senza passare dai rappresentanti eletti dal loro popolo. Quindi si trattava, sì, di una questione costituzionale, ma interna agli Stati. La Corte Suprema non è entrata nel merito del sospetto di brogli, non ha affatto detto che i brogli non siano esistiti o che le accuse siano infondate. 

La Corte Suprema ha risposto: “La mozione dello Stato del Texas che chiedeva il permesso di presentare un ricorso è negata per mancanza di legittimazione ai sensi dell'articolo III della Costituzione”. Perché: “Il Texas non ha dimostrato un interesse percepibile dal punto di vista giudiziario sul modo in cui un altro Stato conduce le sue elezioni”. La delusione, nel “Lone Star State”, così come negli altri 17 Stati che lo avevano appoggiato, è molto forte. “E’ una decisione infelice quella presa dalla Corte Suprema di non accettare questo caso e di sancire così la costituzionalità del mancato rispetto di leggi elettorali federali e statali da parte di questi quattro Stati”, ha dichiarato subito il procuratore generale del Texas, Ken Paxton. Il quale ritiene che potrebbe essere un precedente pericoloso, una possibilità di uno Stato di non rispettare la Costituzione e farla franca.

Dura la reazione di Donald Trump, che ha twittato per tutto il giorno la sua ira contro la Corte Suprema e contro il suo stesso procuratore generale, William Barr, colpevole, quest’ultimo di non aver rivelato nulla, prima delle elezioni, delle indagini in corso su Hunter Biden, figlio del candidato democratico. Quanto all’ordinanza della Corte Suprema, Trump la definisce una “disgrazia legale”. Sia Trump che la sua squadra di avvocati non molleranno. Rudolph Giuliani, benché ammalato di Covid-19, annuncia che la battaglia legale continuerà anche dopo il voto dei Grandi Elettori, almeno fino all’inaugurazione della nuova amministrazione. Ormai, comunque, appare chiaro a tutti, anche agli ultimi resistenti repubblicani rimasti, che la battaglia è perduta dopo questa sentenza. Si prepara, semmai, una dura opposizione.

Il Texas, come già aveva fatto nel 2012 (subito dopo la riconferma di Barack Obama), torna a minacciare la secessione. O almeno questo è ciò che dichiara il deputato repubblicano texano Kyle Biedermann, che promette di proporre una legge per indire un referendum per l’indipendenza. Ma una “Texit”, come iniziano a chiamarla, non è legalmente possibile. Nel 1861, gli Stati del Sud che poi formarono la Confederazione, avevano il diritto costituzionale (o almeno così come lo interpretavano i secessionisti) di sciogliere l’Unione. Anche se poi sappiamo come andò a finire. Ma dal 1869, dopo la sentenza Texas vs. White, la giurisprudenza ha stabilito definitivamente l’incostituzionalità della secessione. Il secessionismo, benché sia legalmente e praticamente impossibile, è comunque parte di una grande disaffezione che riguarda 74 milioni di americani, distribuiti in tutti gli Stati, che hanno votato Trump, nella maggior parte dei casi non si sentono rappresentati dal futuro presidente Biden e in molti casi sono convinti (e hanno il diritto di esserlo) che queste non siano state elezioni regolari. Biden governerà comunque in una nazione divisa e non saranno certo le copertine del Time o il favore di tutti i media americani a ricucirla.