La notizia che c'era: l'indagine su Hunter Biden
Il figlio di Joe Biden, Robert Hunter Biden, è sotto indagine dal procuratore generale del Delaware, per sospetti “affari fiscali”. Ma le notizie sui presunti scandali di Hunter Biden, uno scoop del New York Post, erano state dichiarate fake news prima del voto, e cancellate dai media.
Evidentemente c’era qualcosa in ballo: il figlio di Joe Biden, Robert Hunter Biden, ha ammesso di essere sotto indagine dal procuratore generale del Delaware, per sospetti “affari fiscali” (questa la vaga definizione del diretto interessato). Dagli elementi finora resi pubblici si sa poco, ma l’indagine potrebbe anche riguardare i suoi affari con aziende collegate al regime di Pechino.
“Prendo questa questione molto seriamente – ha dichiarato Hunter Biden - ma sono fiducioso sul fatto che una revisione professionale ed obiettiva di queste questioni potrà dimostrare come io abbia gestito in miei affari legalmente in modo professionale, anche con il beneficio di bravi consulenti legali professionisti”. Si è innocenti fino a prova contraria, anche se si è figli di Joe Biden. Ma i Repubblicani sono sul piede di guerra. L’indagine, che è in corso dal 2018, anche se solo ieri ne è stata data ufficialmente notizia, rischia di essere inquinata dal prossimo Dipartimento di Giustizia, quando dovesse essere occupato da un Democratico? I Repubblicani vogliono sincerarsi che l’attuale procuratore generale del Delaware, David Weiss, non venga licenziato.
Così come chiesto, e ottenuto, dai Democratici nel 2017 per l’indagine sul Russiagate, anche i Repubblicani chiedono, oggi, l’istituzione di una speciale commissione di indagine indipendente. Lo propone il senatore Tom Cotton (dell’Arkansas): “Queste indagini si estendono in più giurisdizioni e se Joe Biden diventasse presidente, allora tutti questi procuratori sarebbero in attesa di essere licenziati il mese prossimo. Se mai esistono delle circostanze per parlare di conflitto di interessi e chiedere la creazione di una commissione speciale, ebbene penso che questo sia il caso”.
Questo sarà sicuramente il dibattito che caratterizzerà i primi mesi o anni dell’amministrazione Biden. Come era lecito attendersi, il figlio costituisce un importante fattore di debolezza del padre. Ma qui c’è anche un’altra storia che riguarda il passato recente. In ottobre, infatti, il quotidiano New York Post aveva sollevato lo scandalo Hunter Biden, basandosi sulle email trovate nell’hard disk del suo computer portatile. Prove che nessuno ha confutato, fra l’altro. La storia era stata semplicemente nascosta, anche dai social media, che rimuovevano la notizia, i suoi rilanci e sospendevano gli account di chiunque la rilanciasse, fosse anche la Casa Bianca stessa. Un caso clamoroso di censura privata, che ha decisamente aiutato Biden a ottenere la maggioranza in molti Stati in bilico.
Secondo Dan Gainor, vicepresidente di Media Research Center (un think tank di orientamento conservatore): “I media hanno aiutato a insabbiare la notizia e ad alterare i risultati di un’elezione. Ora staranno probabilmente ridendo nelle redazioni in tutto il Paese”, come ha dichiarato a Fox News. Vi sono anche conversazioni registrate e diffuse da Project Veritas, gruppo di giornalisti investigativi di orientamento conservatore in cui Jeff Zucker, presidente della CNN e David Chalian, direttore della redazione politica, decidono di evitare di parlare dello scandalo. Jake Tapper, giornalista della CNN, quando il New York Post aveva pubblicato il suo scoop, aveva dichiarato che si trattava di una storia “troppo disgustosa” per essere discussa in televisione, solo una “teoria cospirativa priva di fondamento”.
Invece, a quanto pare, proprio “priva di fondamento” non era. Qui non si parla di condannare a priori una persona, in perfetto stile giustizialista. Si tratta di dare la notizia di un fatto reale: l’indagine. Che si basa su prove e indizi, non su teorie infondate. Come sempre, dall’inizio di queste violente elezioni del 2020, i media sono più impegnati a nascondere le notizie che non a cercarle. E solo se si tratta di notizie che potrebbero mettere in difficoltà i Democratici.