Tutta la debolezza di Joe Biden nelle email del figlio
Tony Bobulinski è il testimone che, a Fox News, ha dichiarato di sapere tutto sui loschi affari, in Ucraina e in Cina, di Hunter Biden, figlio di Joe. La notizia vera è che… non fa notizia. Ma il dubbio indebolisce Biden, anche di fronte ai suoi rivali democratici.
Tony Bobulinski è il testimone che, a Fox News, ha dichiarato di sapere tutto sui loschi affari, in Ucraina e in Cina, di Robert Hunter Biden, figlio di Joe Biden, ex vicepresidente di Obama e attuale candidato democratico alla presidenza. Di Bobulinski, ex socio in affari di Hunter Biden, si parla relativamente poco nella stampa americana, quasi nessuno lo ha mai sentito nominare nei media italiani. Eppure potrebbe essere, se le sue affermazioni dovessero essere confermate, un super-testimone capace di fornire tutto il materiale necessario per un impeachment di Joe Biden, ancor prima che diventi presidente. La notizia vera è che… non fa notizia.
Bobulinski, secondo quanto ha dichiarato in Tv, sarebbe stato contattato per concludere un affare, la nascita di una joint venture, con una grande azienda cinese, legata al Partito Comunista: la compagnia energetica Cefc. Il contatto sarebbe avvenuto alla vigilia di Natale del 2015, quando Joe Biden era ancora il vicepresidente degli Stati Uniti. In caso di conclusione positiva dell’affare, il 20% dei proventi sarebbe andato a Hunter Biden, il 20% a Jim Biden, fratello del vicepresidente. Stando ad un’email dello stesso Hunter Biden, una delle tante trovate sull’hard disk del suo computer portatile, il 10% della quota di Hunter Biden sarebbe toccato al “grande uomo”, nomignolo con cui veniva indicato il padre, il vicepresidente. Due anni dopo, Bobulinski dice di aver incontrato anche personalmente Joe Biden, ormai ex vicepresidente, sempre per l’affare con la Cefc.
Qual è il sospetto che viene rafforzato anche dalla testimonianza di Bobulinski? Che Joe Biden abbia approfittato della sua posizione di vicepresidente per aiutare il figlio a concludere affari privati. E, ancora peggio, che questi affari non fossero del tutto puliti. Nel 2018 la Cefc ha fatto bancarotta (succede anche in Cina) e il suo direttore Ye Jianming è stato arrestato. Inoltre, un dirigente della Cefc, Patrick Ho, è stato messo sotto sorveglianza dall’Fbi, negli Usa, per spionaggio. Nelle sue email, Hunter Biden scrive di aver agito da avvocato di Ye negli Stati Uniti. E di sapere che Patrick Ho fosse una spia. Infine, secondo fonti del Dipartimento della Giustizia, l’Fbi avrebbe aperto un’indagine (tuttora in corso) su Hunter Biden nel 2019, per riciclaggio di denaro.
Si tratta di sospetti, non di certezze. Ma erano sospetti anche quelli sul “Russiagate” di Trump. Eppure si sono rivelati calunnie e le fonti documentali su cui si basavano, come il Rapporto Steele, erano ancor più fragili rispetto a quelle che incastrerebbero Biden. Almeno le email del figlio di Joe Biden sono documenti la cui autenticità non è ancora stata smentita. Il Russiagate ha suscitato due anni di indagini ai massimi livelli delle istituzioni statunitensi, oltre ad una copertura mediatica totale, con molte testate che avevano scommesso senza dubbio sulla colpevolezza di Trump. E non hanno mai chiesto scusa, nemmeno dopo che l’indagine è finita con un nulla di fatto. Sullo scandalo (ancora presunto, per carità) di Hunter Biden, invece, è scesa una cappa di silenzio assordante. I giornali più prestigiosi d’America trattano il caso come “disinformazione”. Più ancora che le notizie che emergono sul caso, circola maggiormente la loro smentita. Adesso la tesi che va per la maggiore è che si tratti di un’operazione di disinformazione gestita dalla Russia (ancora!) per danneggiare la candidatura di Biden. E i social network agiscono di conseguenza, in base ai loro regolamenti anti-bufala, relegando algoritmicamente le notizie su Hunter Biden in fondo alle pagine, o rimuovendole del tutto. E sospendendo gli account di chi le diffonde, fosse anche la portavoce della Casa Bianca.
Almeno un complotto è ormai dimostrabile: quello che punta all’insabbiamento del caso, per evitare di danneggiare la campagna di Biden negli ultimi giorni prima del voto. Ed è un’arma a doppio taglio. Con tutti questi sospetti sulla sua famiglia, Biden appare come un candidato molto debole, potenzialmente ricattabile. La campagna elettorale non durerà in eterno. Una volta che si dovesse insediare alla Casa Bianca, Biden dovrebbe fronteggiare molti rivali interni, soprattutto nell’ala sinistra del Partito Democratico. Già ha dovuto cambiare il suo programma per accontentarla. In seguito la pressione potrebbe farsi molto più forte e ci sono strani segnali già in questi giorni, se è vero che Kamala Harris, la vice di Joe Biden, in più di un’occasione, è stata descritta come la vera candidata presidenziale.