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Ora di dottrina / 140 – La trascrizione

La corporeità di Cristo – Il testo del video

Gesù Cristo ha assunto un corpo con i limiti che caratterizzano universalmente la natura umana dopo la caduta: tre ragioni di convenienza, spiegate da san Tommaso. La particolarità di Cristo: anima perfetta, corpo passibile.

Catechismo 01_12_2024

Proseguiamo le nostre catechesi sulla persona di Cristo. Stiamo vedendo questa persona divina nella sua natura umana. Abbiamo scandagliato le facoltà dell’anima di Cristo, cioè la sua conoscenza, la sua volontà, le sue virtù. Nel proseguire questa indagine non possiamo non occuparci di altre due questioni. Posta la vera e integra umanità di Cristo, bisogna porsi la domanda: com’era contrassegnata la corporeità di Cristo? O meglio, Cristo ha assunto nella sua corporeità anche quei limiti che noi sperimentiamo nella nostra corporeità umana (la fame, la sete, la malattia, delle menomazioni fisiche, eccetera)?

La seconda domanda, che occuperà la catechesi successiva, ma che fa parte dello stesso gruppo di domande, è se anche l’anima umana – quell’anima “inferiore”, cioè non nelle sue facoltà superiori dell’intelletto e della volontà, ma l’anima che è più legata alla nostra corporeità, l’anima sensitiva (si parla anche di sensualità, ma non nel senso degradato come lo si intende oggi nel linguaggio comune) – se anche l’appetito sensibile dell’anima di Cristo fosse contrassegnato dai limiti che caratterizzano il nostro, quello che noi sperimentiamo.

A queste due grandi domande, cioè i limiti corporali del vero corpo assunto da nostro Signore e i limiti dell’anima sensitiva, corrispondono due domande della Somma Teologica e cioè la quæstio 14 e la q. 15. Come cappello di entrambe le problematiche, dobbiamo fare una rapida incursione nella chiusura della q. 15, e in particolare dell’articolo 10, dove san Tommaso focalizza un tema importantissimo da capire e che ci permetterà di avere più facilmente delle risposte a queste nostre domande.

San Tommaso si chiede qual è questa realtà particolare che Cristo ha vissuto nella sua umanità. Noi sappiamo, perché ne abbiamo già parlato, che l’anima di Cristo già godeva nelle sue facoltà superiori della visione beatifica. Quando abbiamo parlato delle tre tipologie di conoscenza di Cristo, abbiamo detto che fin dall’istante del suo concepimento Cristo vede la divinità, vede il Verbo, a cui la sua umanità è ipostaticamente unita, vede il Padre, vede Dio. Quindi, sotto questo punto di vista, Cristo è già “arrivato”, ha già raggiunto quella beatitudine che noi uomini attendiamo invece alla fine della nostra vita, nel grande passaggio. Sotto questo aspetto, Cristo era, come dice san Tommaso, comprensore, come sono comprensori le anime che sono già davanti alla maestà divina nella sua gloria in Paradiso: comprensore significa questo: già comprende, è già compreso nella beatitudine della visione beatifica, è già arrivato.

Ma sotto un altro versante i Vangeli ci consegnano una tendenza di Cristo alla beatitudine. Pensiamo alle tentazioni nel deserto, dove – frase semplicissima – Cristo «ebbe fame» (Mt 4,2). Pensiamo a Cristo che piange di fronte alla morte di Lazzaro. Questi due aspetti indicano che c’è in realtà ancora una dimensione che deve arrivare laddove invece le facoltà superiori dell’anima di Cristo sono già arrivate. E dunque in Cristo abbiamo questa singolare condizione, per cui Cristo è insieme comprensore, cioè arrivato, e viatore, cioè in cammino. Non sotto lo stesso aspetto, perché altrimenti ci sarebbe una contraddizione, ma sotto aspetti diversi.

Dunque, vediamo questo breve articolo della q. 15. Scrive san Tommaso: «Cristo prima della morte, con la sua intelligenza, vedeva Dio perfettamente e così aveva la beatitudine propria dell’anima [ne abbiamo parlato a proposito della conoscenza di Cristo]. Ma quanto al resto, la beatitudine gli mancava poiché la sua anima era passibile [è l’esempio che abbiamo fatto: Gesù è triste, piange di fronte alla morte dell’amico Lazzaro] e il corpo passibile e mortale [anche questa è un’evidenza perché Cristo soffre la Passione e muore realmente sulla croce]. Quindi era comprensore in quanto al possesso della beatitudine propria dell’anima e insieme viatore in quanto tendeva alla beatitudine per ciò che di essa gli mancava» (III, q. 15, a. 10).

Dunque, abbiamo questa duplice realtà che comporta il fatto che in Cristo accade qualcosa di singolare, di unico: per una scelta divina, di cui vedremo le ragioni, per una libera volontà di Dio e del Verbo stesso che ha assunto la natura umana, alla beatitudine, che è presente già nella parte superiore dell’anima umana di Cristo, fu impedito di riverberare sull’anima inferiore, sulla parte più sensitiva dell’anima, e sul corpo. È per questa ragione che in Cristo abbiamo una realtà tipica dei comprensori, cioè di coloro che sono già arrivati alla beatitudine, ma dall’altra, una condizione che è tipica dei viatori, cioè di noi che stiamo andando verso la beatitudine.

Sotto questo aspetto, il Signore Gesù nella sua vita quaggiù aveva qualche cosa che gli uomini qui non hanno – la visione beatifica – e non aveva qualche cosa che chi è già arrivato, chi è in Paradiso non ha (il corpo glorificato). La beatitudine dell’anima, che i beati già godono, riverbererà nel nostro corpo solo quando il nostro corpo sarà risorto, ad eccezione chiaramente di Cristo e della Santissima Vergine che è assunta in anima e corpo.

Questa è un po’ la complessità del mistero della persona di Cristo mentre era qui, su questa terra, perché era a un tempo comprensore e viatore, sotto i due aspetti diversi che abbiamo spiegato.

Ora, dato questo principio-guida, andiamo alla q. 14, che si occupa proprio dei limiti corporali che Cristo ha assunto nella natura umana. Nell’art. 1, san Tommaso dà tre ragioni, una più bella e importante dell’altra, per mostrare la convenienza del fatto che il corpo – il vero corpo, perché altrimenti non ci sarebbe una vera natura umana – assunto dal Verbo, dal Figlio di Dio, è stato assunto con i limiti, le debolezze della natura umana, anche se – come vedremo – non tutte.

Leggiamo l’art. 1 della q. 14: «Era conveniente che il corpo assunto dal Figlio di Dio soggiacesse alle debolezze e alle deficienze umane» (III, q. 14, a. 1). E san Tommaso dà i tre motivi di questa convenienza; ricordiamo questo termine sul quale ci siamo già soffermati più volte: la convenienza indica una ragionevolezza, una sapienza di fondo, senza una necessità, cioè Dio non è necessitato. E tuttavia quando Dio agisce, agisce secondo sapienza, non agisce a caso, secondo assurdità o per contraddizione. Perciò questo termine pregnante della teologia – convenienza – è sempre molto presente in san Tommaso.

Vediamo dunque queste ragioni di convenienza dell’assunzione di un corpo passibile: «Primo perché il Figlio di Dio, assumendo la carne, venne nel mondo precisamente per espiare il peccato del genere umano. Ma uno espia per il peccato di un altro quando assume su di sé la pena dovuta al peccato altrui. Ora, i limiti corporali, quali la morte, la fame, la sete e simili sono pene del peccato che fu introdotto nel mondo da Adamo» (ibidem).

Cosa sta dicendo qui san Tommaso? Abbiamo già avuto modo di vedere il motivo dell’Incarnazione, che è la Redenzione, l’espiazione del peccato: vi rimando alla catechesi corrispondente. Ora, espiare il peccato non vuol dire commetterlo, evidentemente, perché commettere il peccato è la prosecuzione di ciò che si vuole espiare, non la sua espiazione; ma vuol dire invece prendere su di sé quelle pene che il peccato ha provocato. E noi lo sappiamo, perché ce lo dice la Rivelazione, in particolare un passo di san Paolo (Rm 5,12): «a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte». E con la morte tutte quelle debolezze della nostra natura nella sua corporeità, tra cui la fame, la sete, eccetera.

Quindi, l’espiazione implica l’assumere su di sé non il peccato, ma le pene dovute al peccato. Il Signore che non aveva peccato prende su di Sé quelle pene che noi abbiamo provocato, quello che i nostri progenitori hanno portato nella natura umana compiendo il peccato originale.

Quella vista sopra è la prima ragione di convenienza. Qui c’è uno sfondo che oggi non solo non abbiamo più presente ma è quasi rifiutato da una certa teologia: il peccato provocato dall’uomo – quello d’origine e ogni peccato – comporta sempre una pena. C’è un disordine e questo disordine piomba su di noi. Cristo ha voluto che piombasse anche su Dio, precisamente facendosi uno di noi, assumendo la nostra natura, portando queste pene legate al peccato e così espiando le nostre colpe, il peccato. Questa è la prima ragione.

Secondo motivo: per facilitare la fede nell’Incarnazione. «Non essendo infatti la natura umana conosciuta dagli uomini se non come soggetta a questi limiti corporali, qualora il Figlio di Dio avesse assunto la natura umana priva di essi, si sarebbe dubitato che egli fosse un vero uomo e avesse preso una carne vera e non fantastica come dissero i manichei» (ibidem). Secondo motivo di convenienza: noi conosciamo, sperimentiamo la natura umana, come la sperimentiamo nella sua concretezza. Per noi, un uomo che non ha fame o non ha sete o non muore non è un uomo. Dunque, il Signore per suscitare e fortificare la nostra fede nella sua vera umanità, ha voluto assumere, prendere su di Sé quelle limitazioni caratteristiche della natura umana decaduta. Pensiamo per esempio quando, dopo la Risurrezione, il Signore attende sulle sponde del lago di Genesaret i discepoli che tornavano dalla pesca e prepara dei pesci sulla brace e ne mangia con loro. Uno dei significati importanti di questa manducazione è proprio il fatto di mostrare che davanti a sé non avevano un fantasma: il Risorto non era un fantasma, ma era risorto con un vero corpo. Tutta la vita del Signore manifesta la sua vera umanità accettando appunto di condividere con la natura umana, la fame, la sete, ecc.

«Terzo, per darci un esempio di pazienza» (ibidem), sopportando con fortezza le sofferenze e i limiti umani. Abbiamo un motivo legato all’espiazione del peccato, un motivo legato alla fede nell’Incarnazione e ora un motivo legato a un esempio di pazienza, cioè come portare, accettare queste limitazioni che sono entrate nella natura umana dopo il peccato originale.

Dunque, queste sono tre ragioni di convenienza per cui Cristo ha preso un corpo con quei limiti che caratterizzano la nostra natura dopo la caduta.

Anche nella risposta alla terza obiezione, san Tommaso sottolinea che queste limitazioni della corporeità avevano una duplice valenza: da un lato, manifestavano l’umanità; dall’altro, nascondevano la divinità, che però in qualche modo emergeva in alcuni atti specifici della vita di Cristo, per esempio nei miracoli, nella profezia. Dunque, questa duplicità era perfettamente conforme a quel chiaroscuro della fede nel quale noi dobbiamo vivere: quel chiaroscuro che ci fa conoscere la sua umanità, la sua divinità. Mentre la sua umanità era “più chiara” – eppure abbiamo avuto eresie che hanno negato l’umanità di Cristo –, la sua divinità era più nascosta, ma talvolta in qualche modo il Signore permetteva che apparisse proprio per suscitare, corroborare la fede nella sua umanità vera e nella sua divinità vera.

Nella risposta alla prima obiezione dell’art. 1, c’è un’interessantissima sottolineatura. San Tommaso riflette su questo fatto: noi potremmo chiederci perché in Cristo abbiamo queste due dimensioni che sembrano in qualche modo in tensione l’una con l’altra; c’è un corpo passibile, ma dall’altra parte c’è un’anima perfetta: perfetta nella conoscenza, al punto che già gode della visione beatifica; perfetta nella virtù. Perché questa perfezione insieme a questa passibilità, a questi limiti corporei? E san Tommaso spiega: «Bisogna ricordare che la soddisfazione per il peccato altrui [che è appunto il senso dell’incarnazione, passione e morte del Signore] ha come elemento materiale le pene che uno sopporta per l’altro. Ma come elemento formale ha la disposizione d’animo che inclina a volere tale soddisfazione e le dona efficacia, non avendo essa alcun valore se non procede dalla carità» (ibidem).

Attenzione, cosa sta dicendo qui san Tommaso? L’elemento materiale, l’espiazione di cui abbiamo parlato, è costituito dalle pene, dall'addossarsi le pene provocate dal peccato. Ma non basta, perché altrimenti chiunque soffre delle pene di per sé parteciperebbe di questa espiazione: non è così. C’è l’elemento formale, come dice con un linguaggio più tecnico e corretto san Tommaso, che sta nella disposizione d’animo, cioè nell’inclinazione, nel volere soddisfare in questo modo, ossia nel sapere e nel volere ciò che si sta assumendo. Allora Tommaso conclude: «Era quindi necessario che in Cristo l’anima fosse perfetta negli abiti della scienza e della virtù per poter soddisfare; e che il suo corpo fosse soggetto alle infermità per avere la materia della soddisfazione» (ibidem). Cioè, l’anima di Cristo era perfetta nella sua conoscenza e nelle sue virtù, in particolare nella carità bruciante dell’amore divino, e dall’altra parte il suo corpo era passibile precisamente perché sono questi due gli elementi per avere un’espiazione perfetta. Se non avessimo la corporeità passibile, non avremmo questa soddisfazione. Ma se non avessimo un’anima perfetta, in queste due dimensioni dell’intelligenza e della volontà, della conoscenza e delle virtù, ecco che l’elemento formale sarebbe imperfetto e dunque la soddisfazione sarebbe imperfetta, mentre la perfezione dell’anima di Cristo ci dice che l’espiazione è perfetta. Questa potrebbe essere un’altra ragione di convenienza, per cui da un lato Cristo ha assunto l’anima umana perfetta nelle sue facoltà superiori, già come comprensore, come abbiamo visto, con una visione beatifica, con la scienza infusa, con la scienza acquisita perfetta, le virtù da Lui possedute nella loro completezza e nel massimo grado, non come un privilegio personale, ma precisamente perché questa perfezione riverbera sulla perfezione dell’espiazione, perché Cristo sa e vuole perfettamente questa espiazione e i mezzi di questa espiazione.

Nella risposta alla seconda obiezione, san Tommaso precisa: «Secondo il naturale rapporto tra l’anima e il corpo, la gloria dell’anima rifluisce nel corpo, ma in Cristo tale rapporto era a discrezione della sua volontà divina, la quale impediva che la beatitudine dell’anima rifluisse nel corpo, volendo che esso soffrisse come soffre una natura passibile» (ibidem). Lo abbiamo già detto. La volontà divina “blocca” questo riverbero della beatitudine dell’anima nel corpo. E perché c’è questo “blocco”? Proprio per permettere una completa, vera e perfetta espiazione.

Negli articoli 2 e 3, san Tommaso sottolinea che non fu per necessità che Cristo contrasse i limiti corporali della nostra corporeità, né per conseguenza del peccato, perché assunse una natura umana senza peccato: fu così perché lo volle. Nella risposta alla prima obiezione dell’art. 3 c’è uno dei pochi errori che si trovano nella Somma Teologica e cioè l’affermazione che il corpo della Santissima Vergine fu concepito nel peccato originale. All’epoca, questo non era un dogma di fede: era una sentenza dibattuta, ampiamente dibattuta tra i teologi. Dunque, non dobbiamo pensare che san Tommaso fosse un eretico. Sostenne però una posizione erronea, perché ora sappiamo bene che è dogma di fede e che il corpo della Vergine fu concepito senza il peccato originale. Fatta questa precisazione, per il nostro discorso a noi interessa che il corpo assunto dal Signore fu comunque un corpo non frutto del peccato originale, non all’interno della catena del peccato originale, ma generato per opera dello Spirito Santo e, ora sappiamo, nato da un corpo senza la macchia del peccato originale, il grembo della Vergine Maria. E dunque non fu per necessità che Cristo assunse i limiti corporali, ma perché lo volle.

Andiamo a chiudere questa catechesi con un’altra domanda: quali sono i limiti umani che il Signore ha assunto nel suo corpo? San Tommaso, nell’art. 4, distingue tre categorie: «Alcune [infermità umane] ripugnano alla perfezione della scienza e della grazia, come l’ignoranza, l’inclinazione al peccato e la difficoltà a praticare il bene» (III, q. 14, a. 4). Dunque, san Tommaso dirà che queste non sono state assunte dal Signore. Cioè, il Signore non ha assunto l’ignoranza, non ha assunto l’inclinazione al peccato, non ha assunto la difficoltà a praticare il bene che nascono da quel disordine che si è creato nella nostra umanità dopo il peccato originale per cui, come dice san Paolo, c’è una lotta: la carne contro lo spirito. Queste non sono state assunte. Perché? Perché ripugnano alla perfezione della scienza e della grazia. Ma questa perfezione era invece conveniente proprio per la perfezione dell’opera della Redenzione, dell’espiazione, nonché – vi rimando alla catechesi corrispondente – per il fatto che Cristo ha preso questa perfezione di scienza e di grazia non solo in quanto singolo, ma in quanto capo del corpo che è la Chiesa. E dunque tutta la Chiesa dipende da, attinge a questa pienezza di scienza e di grazia, che in Cristo, in quanto capo della Chiesa, erano presenti in modo assolutamente perfetto.

Secondo gruppo di infermità umane: «Altre miserie poi non derivano dal peccato originale come limiti comuni a tutta la natura umana, ma provengono da certe cause particolari e si trovano soltanto in alcuni uomini, come la lebbra, il mal caduco e altre cose simili» (ibidem). Cioè, malattie particolari – pensiamo anche al diabete, all’ipertensione, eccetera – non provengono direttamente dalla caduta originale, nel senso che non sono qualcosa che caratterizza la natura umana, ma solo alcuni individui. Prosegue Tommaso: «Queste infermità sono causate talora da colpe personali, per esempio da un’alimentazione disordinata; talora, invece, da vizi di generazione» (ibidem). Cioè, san Tommaso ci sta dicendo che le malattie hanno normalmente due cause: una causa che oggi diremmo di origine genetica, cioè una trasmissione di qualche cosa da parte dei nostri genitori con la generazione, un difetto, una debolezza, un’anomalia cromosomica; oppure, un’alimentazione disordinata, oggi diremmo più ampiamente uno stile di vita disordinato, cioè mangiamo male, non dormiamo, abbiamo una vita sregolata, fumiamo, eccetera. Il Signore, dice Tommaso, non aveva né l’una né l’altra, «poiché la sua carne fu concepita per opera dello Spirito Santo, il quale, infinito in sapienza e potenza, non è capace né di errori né di deficienze» (ibidem). Per capirci, non c’è stata una trasmissione di una malattia genetica da parte dello Spirito Santo. E dall’altra parte «Cristo stesso non introdusse mai alcun disordine nella sua vita». Interessante questo, perché è una scuola di virtù concreta; il Signore non ebbe tutta una serie di malattie dovute alla generazione, ma neanche dovute a quello che noi ci provochiamo con il nostro stile di vita disordinato. Il Signore aveva uno stile di vita ordinato, seguiva quell’ordine posto nella creazione – nel mangiare, nel bere, nel dormire, nel levarsi, eccetera – che il Padre e ovviamente Egli stesso, in quanto Verbo creatore, avevano posto nella creazione, quindi nella natura umana.

«C’è infine un terzo gruppo di mali che si trovano universalmente in tutti gli uomini come effetti del peccato originale, come la morte, la fame, la sete e altre cose simili. E questi limiti Cristo li ha assunti tutti» (ibidem). Dunque, quando parliamo dei limiti corporali assunti da Cristo ci riferiamo a questa categoria: non quelli che ripugnano la perfezione della sua anima – la scienza e la grazia; non quelli che dipendono da cause specifiche, non proprie della natura generale in quanto tale; dunque non i vizi di generazione o malattie provocate da un disordine nella propria vita, ma quelli che invece si sono riversati sulla natura umana a causa del peccato originale, come la fame e la sete. E possiamo ipotizzare alcune malattie non provocate dallo stile di vita dell’uomo, come un virus con cui è venuto in contatto: non ripugnerebbe pensare che il Signore abbia potuto assumere questo tipo di malattia.

Nella sezione delle risposte alle obiezioni, san Tommaso precisa due cose:

1) nella risposta alla seconda obiezione, dice che il Signore assunse quello che «bastava ad espiare il peccato di tutta la natura umana».

2) Ma poi aggiunge anche un’altra cosa che risponde a una domanda che forse a qualcuno è venuta in mente. Nella spiegazione del mistero di Cristo, abbiamo detto che uno dei principi-cardine è che ciò che Cristo non ha assunto, non è sanato. Ora, noi potremmo pensare: se Cristo non ha assunto tutte le malattie provocate dal nostro stile di vita oppure quelle provocate per via di generazione oppure l’ignoranza, allora queste non sono sanate. 

San Tommaso risponde: «Tutti i limiti particolari degli uomini provengono dalla corruttibilità e passibilità del corpo e insieme da alcune cause speciali» (ibidem). Cerchiamo di capire questo principio. Il diabete, poniamo, da che cosa proviene? Da alcune cause speciali, dall’alimentazione sbagliata oppure c’è il diabete di tipo 1, e magari c’è una causa più di trasmissione, di generazione. Ma i limiti particolari, dice san Tommaso, provengono anche dalla «corruttibilità e passibilità del corpo»: in soldoni, se non ci fosse stato il peccato originale, non avremmo avuto neanche queste. E non perché queste siano provocate direttamente dal peccato originale, altrimenti tutti gli uomini dovrebbero avere il diabete, per l’esempio che facciamo, ma grazie a Dio non è così. Eppure, indirettamente sì, perché la corruttibilità e la passibilità del corpo vengono da lì.

Conclude Tommaso: «Perciò Cristo, sanando, con la loro assunzione, la passibilità e corruttibilità del corpo, sanò conseguentemente tutti gli altri limiti» (ibidem). Cioè, gli altri limiti non dipendono direttamente dalla corruttibilità e passibilità del corpo, però vi dipendono in qualche modo; e dunque vengono sanati non perché vengono assunti uno per uno, altrimenti il Signore avrebbe dovuto essere iperteso, diabetico, con il colesterolo alto, con problemi cardiaci, polmonari, avrebbe dovuto assumere tutte le malattie, è una follia solo pensarlo. Però, avendo assunto la corruttibilità e la passibilità che sono la condizione perché altre malattie, per cause speciali, sorgano, attraverso questa assunzione ha assunto e ha sanato tutti gli altri limiti della natura umana, cioè ha fatto sì che non ci sia nulla, nella nostra condizione, che non possa diventare uno strumento di salvezza, precisamente in unione ai patimenti di Cristo.

La prossima volta andiamo a vedere i limiti dell’anima umana che il Signore ha voluto assumere.



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