Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santo Stefano a cura di Ermes Dovico
Ora di dottrina / 139 – La trascrizione

L’anima di Cristo: la volontà – Il testo del video

Il mistero della volontà di Cristo è stato nei secoli oggetto di diverse eresie che hanno negato in vario modo la verità della presenza in Lui di due volontà: divina e umana. I tre aspetti della volontà umana in Cristo: armonia o disarmonia? Il suo libero arbitrio: sempre conforme alla volontà divina.

Catechismo 24_11_2024

Proseguiamo le nostre catechesi sulla natura umana di Cristo. La scorsa volta abbiamo visto la conoscenza, l’intelligenza del Signore. Abbiamo visto che nella sua vita terrena erano presenti tre conoscenze: la visione beatifica o conoscenza dei beati, la scienza infusa, la scienza acquisita.

Oggi vediamo l’altra facoltà dell’anima, cioè la volontà. Chiaramente è una volontà razionale, quindi profondamente legata all’intelletto di cui abbiamo parlato l’altra volta. San Tommaso d’Aquino dedica a questo tema la quæstio 18 della terza parte della Summa Theologiæ. Nell’articolo 1 di questa quæstio c’è una sintesi molto breve e molto chiara delle deviazioni, degli errori che nella storia della Chiesa si sono verificati relativamente alla volontà di Cristo. San Tommaso presenta le deviazioni principali facendo i nomi dei loro sostenitori e parla di Apollinare, Eutiche, Nestorio e poi dei patriarchi monoteliti, cioè Macario di Antiochia, Ciro di Alessandria e Sergio di Costantinopoli. Facciamo una rapida presentazione del pensiero di san Tommaso, ma per chi volesse approfondire rimando agli articoli che abbiamo dedicato alle crisi nella storia della Chiesa dei primi secoli: in particolare ci eravamo concentrati sul problema del monofisismo con i suoi derivati, annessi e connessi, del nestorianesimo e del monotelismo o monoenergismo.

In san Tommaso, dunque, c’è questa carrellata, a partire da Apollinare, il quale «riteneva che Cristo non avesse l’anima intellettiva, ma che il Verbo facesse le veci dell’anima o anche dell’intelletto» (III, q. 18, a. 1). È la negazione della vera natura umana assunta da Cristo. Nella prospettiva di Apollinare, la divinità, il Verbo sostituiva l’anima, l’intelletto e dunque anche la volontà in Cristo; il che è come dire che la sua natura umana non era reale, era solo apparente, non essendo una vera natura umana completa.

Poi san Tommaso parla di Eutiche e aggiunge: «Eutiche e tutti coloro che posero in Cristo una sola natura composta furono costretti a porre in lui una sola volontà» (ibidem). Di nuovo, siamo nell’ambito monofisita, dove appunto si nega la dualità di due vere nature, divina e umana, e dunque per forza di cose una delle due volontà – o quella divina o quella umana, nel caso di Eutiche, quella umana – è solo apparente. Non essendoci due vere nature, divina e umana, non abbiamo due vere volontà. Ancora, parla di Nestorio che «insegnando che l’unione tra Dio e l’uomo si è attuata solo secondo l’amore e la volontà, poneva una sola volontà in Cristo» (ibidem). Il problema di Nestorio non è propriamente una negazione specifica delle due nature, ma una problematica relativa al modo dell’unione: anche in questo caso rimando a un articolo già dedicato a questo tema (vedi qui). Ciò si ripercuote sulla modalità di comprendere quante sono le volontà in Cristo.

E poi san Tommaso tratta dei già nominati patriarchi specificatamente monoteliti, i quali, pur avendo condannato il monofisismo, il miafisismo e il nestorianesimo, di fatto si ritrovano ad affermare una sola volontà di Cristo nonostante l’affermazione delle due nature. E dunque anche in questo caso abbiamo in modo diretto – negli altri casi in modo derivato e consequenziale – la negazione della presenza di due volontà in Cristo, cioè una divina e una umana. San Tommaso ribadisce il seguente principio: «Alla perfezione della natura umana appartiene la volontà che è una sua facoltà naturale, al pari dell’intelligenza. Per cui è necessario affermare che il Figlio di Dio nella sua natura umana ha assunto la volontà umana» (ibidem). È il concetto che stiamo ribadendo più volte, ne abbiamo parlato anche la scorsa volta quando abbiamo parlato delle tre conoscenze in Cristo: se la natura umana è vera natura umana, deve essere integra, cioè deve avere tutto quello che ha una natura umana. E una natura umana senza volontà non è una natura umana, ma – potremmo dire – è una natura umana incompleta o tutt’altro.

Nella risposta alla prima obiezione san Tommaso precisa: «Tutto ciò che era umano in Cristo si svolgeva secondo la volontà divina, ma ciò non significa che in Cristo la volontà umana non abbia avuto le sue operazioni naturali» (ibidem). Perché questa precisazione? Perché la grande difficoltà nel comprendere l’integrità della natura umana di Cristo – dunque, di una volontà veramente umana, di una conoscenza veramente umana – sta nel fatto che in qualche modo si pone una sorta di opposizione, di contraddizione quasi, tra l’affermazione della natura umana e di quella divina. San Tommaso ci sta dicendo che affermare che nel Signore, nella sua natura umana, tutto si svolgeva in conformità alla sua volontà divina, essendo la persona del Verbo, e dunque alla volontà del Padre, non vuol dire negare le operazioni naturali. Questa contrapposizione ce l’abbiamo perché noi sperimentiamo – attenzione a questa precisazione che ci sarà utile anche dopo – un’opposizione tra la nostra natura umana corrotta, decaduta, e la volontà divina. In Cristo questo non avviene. Per affermare la vera divinità, non dobbiamo negare l’umanità. E per affermare la vera, integra, natura umana, non dobbiamo renderla indipendente da quella divina, in questo caso indipendente addirittura ipostaticamente.

Sempre all’interno di questa quæstio, san Tommaso spiega che proprio perché stiamo parlando di una vera volontà umana abbiamo tre aspetti, tre dimensioni della volontà umana (non sono tre facoltà volitive), un po’ analogamente a quanto visto la scorsa volta a proposito della conoscenza di Cristo. Cioè, essendo una vera conoscenza umana, richiedeva quelle tre conoscenze: una è quella che noi uomini sperimenteremo solo con l’ingresso nella vita eterna, cioè la conoscenza dei beati, la visione beatifica; l’altra è la scienza infusa, che in realtà Adamo aveva e ha perso dopo il peccato originale; e l’altra ancora, la conoscenza acquisita.

Qui invece parliamo di tre tipologie di volontà, cioè: la volontà come natura, la volontà come ragione, la volontà come appetito sensitivo. Non è una cosa impossibile da capire, basta riflettere effettivamente sulla nostra volontà, è quello che noi sperimentiamo e viviamo quotidianamente, anche se non sempre vi focalizziamo l’attenzione. Noi l’andiamo a focalizzare per affermare la vera volontà umana di Cristo.

Riassumendo gli articoli 2 e 3 della quæstio 18, nell’uomo abbiamo una volontà che viene definita volontà come natura, o anche volontà assoluta, in greco thelesis. Che cos’è? È volere il bene come fine, è quella tendenza naturale della nostra volontà al bene come fine. Poi abbiamo un’altra volontà che è quella che nel linguaggio comune intendiamo come “volontà”, cioè la volontà come ragione, o deliberativa: in greco, boulesis. Che cos’è? È la libertà di scelta, cioè di quei beni strumentali che ci portano al fine. Dunque, abbiamo una volontà naturale che va verso il fine, verso il bene, conosciuto in senso assoluto, quindi ancora senza la specificazione dei mezzi per raggiungerlo. E poi abbiamo la volontà come ragione che è quella che si porta sui beni strumentali, cioè il bene non visto come fine, nella sua accezione assoluta, ma come il mezzo per raggiungere quel fine: questa, appunto, è la volontà deliberativa.

Poi abbiamo la terza dimensione che nasce proprio dal fatto che l’uomo ha una dimensione che lo accomuna al regno animale: non è la stessa, è una condivisione che riguarda una facoltà che, pur essendo “attinta” dalla sfera animale, entra nella connotazione razionale. Qual è? È la volontà come appetito sensitivo, cioè quella volontà che percepiamo “a pelle” e che chiamiamo volontà solo per partecipazione, come precisa san Tommaso. Perché? Perché chiaramente nell’animale questo appetito sensitivo non è segnato dalla deliberazione, perché manca la facoltà superiore della razionalità; nell’uomo invece questa dimensione partecipa di quella superiore, dunque anche la volontà intesa come appetito sensitivo entra come partecipazione alla volontà superiore. E, ahinoi, possiamo sperimentare una lotta, un conflitto o addirittura un dominio dell’appetito sensitivo, che va a determinare in qualche modo l’orientamento della volontà deliberativa.

Ora, san Tommaso ci dice che questi tre aspetti della volontà umana – la volontà come natura o assoluta, la volontà come ragione o deliberativa, la volontà come appetito sensitivo o volontà partecipata – sono presenti tutti e tre nella natura umana di Cristo. Di nuovo, la ragione di questa affermazione sta nel fatto che altrimenti non avremmo una natura umana completa: se nostro Signore non avesse la volontà in tutte le dimensioni che abbiamo noi come uomini, quanto alla nostra natura, non uanto alla nostra natura decaduta, allora noi non potremmo assolutamente parlare di una volontà reale in Cristo e quindi non potremmo parlare di una vera natura umana assunta.

Si comprende, dunque, come nell’art. 4 della quæstio 18, san Tommaso affermi che in Cristo c’è un libero arbitrio. È la conseguenza di quanto abbiamo detto fino adesso, relativamente all’integrità e verità della natura umana assunta e quindi della volontà umana, che senza il libero arbitrio non sarebbe umana. Inoltre, san Tommaso risponde a quelle che potrebbero essere delle obiezioni circa la presenza di un reale libero arbitrio in Cristo.

La prima obiezione: libero arbitrio vuol dire scelta, e scelta significa, per così dire, un dubbio tra le cose da scegliere. Ma affermare un dubbio non è consono alla perfezione della natura di Cristo e soprattutto non è compatibile con la sua natura divina e con la persona del Verbo.

La seconda obiezione. Il libero arbitrio prevede una fase di consiglio e dunque di indagine – attraverso la riflessione, la richiesta di un consiglio a qualcuno, eccetera – su ciò che è meglio, quando bisogna fare una scelta. Ma anche questo non appare compatibile con la divinità di Cristo e con la perfezione della sua natura.

Terza e ultima obiezione, molto attuale, è il fatto che il libero arbitrio richiede indeterminazione, mentre la volontà di Cristo è determinata al bene. Anche qui sembrerebbe che il libero arbitrio del Signore sia stato solo apparente.

Ora, san Tommaso fa alcune precisazioni importanti rispondendo a ciascuna di queste tre obiezioni. La prima: «Il dubbio non è essenziale alla scelta, poiché anche Dio compie delle scelte, secondo l’espressione della Lettera agli Efesini: “In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo”; eppure in Dio non ci sono dubbi. La scelta invece è dubbiosa quando si accompagna accidentalmente all’ignoranza» (III, q. 18, a. 4). Cioè, san Tommaso dice: la scelta, di per sé, non indica una mancanza di perfezione, non è incompatibile dunque né con Dio né con la perfezione della natura umana del Signore. Che cos’è incompatibile con questa? Quella scelta che nasce o, meglio, che si accompagna, che va a braccetto con l’ignoranza e dunque il dubbio: “non so se”, da cui l’ignoranza. Ma appunto san Tommaso ci dice che l’ignoranza, e dunque il dubbio, non sono essenziali alla scelta: sono accidentali e fanno parte di quella scelta che appartiene a noi che non abbiamo una natura divina e non abbiamo una natura umana perfetta. Siamo afflitti dall’ignoranza e quindi dal dubbio.

La risposta alla seconda obiezione è simile: è vero che la scelta presuppone il consiglio, ma non nasce dal consiglio. San Tommaso dice: «La scelta presuppone il consiglio, ma non nasce dal consiglio se questo non si è già concluso con il giudizio. Poiché noi scegliamo di fare ciò che giudichiamo da farsi dopo l’indagine del consiglio. (…) Così è chiaro che il dubbio e l’indagine non appartengono necessariamente alla scelta, ma vi si riscontrano soltanto in una natura che ignora» (ibidem). Il consiglio deve portare al giudizio, ma se io sono già arrivato al giudizio non ho bisogno del consiglio. Detto in altro modo: il consiglio, l’indagine del consiglio e il dubbio non fanno parte della scelta; fanno parte di una scelta che nasce da una natura che è caratterizzata dall’ignoranza. In Cristo non c’è il consiglio perché c’è già il giudizio retto. Ora, a caratterizzare la scelta non è il consiglio, è il giudizio. Il consiglio è il mezzo “ordinario” – nella condizione ordinaria, cioè la nostra, accompagnata dall’ignoranza – per giungere al giudizio, da cui poi la scelta. Ma se io mi trovo in una situazione in cui il giudizio è già certo, non ho bisogno del consiglio: e questa è precisamente la situazione di Cristo. Dunque, anche in questo caso possiamo affermare che c’è una vera scelta e dunque un vero libero arbitrio in Cristo.

La terza obiezione è quella dell’indeterminazione: per esserci scelta, io non devo essere già determinato verso un bene. San Tommaso spiega: «La volontà di Cristo, quantunque sia determinata al bene, non è però determinata ai singoli beni. Cristo poteva dunque operare delle scelte con il suo libero arbitrio confermato nel bene, come fanno i beati» (ibidem). Cioè, che il libero arbitrio sia confermato nel bene non significa che tutte le scelte siano predeterminate, perché all’interno dei beni resta una libertà di scelta. La determinazione al bene della volontà di Cristo implica l’esclusione del male, non l’esclusione di una scelta tra i singoli beni. Qui dobbiamo sottolineare che purtroppo noi abbiamo una concezione del libero arbitrio che è deviata. Deviata perché nasce dalla nostra esperienza; cioè noi pensiamo che una persona sia libera, abbia veramente libero arbitrio, se può scegliere tra il bene e il male. Non è così. La possibilità di scegliere tra il bene e il male è un difetto, non è una perfezione; invece, la perfezione è essere posti nel bene e scegliere tra beni diversi, che sarà appunto la nostra condizione in Paradiso, dove non è che non avremo più libero arbitrio. Ed è la condizione di Cristo.

Ora vediamo brevemente due articoli che affrontano una questione che probabilmente è un po’ sorta nelle vostre teste, cioè: poste queste tre volontà umane in Cristo, nel senso che abbiamo detto prima (non sono tre facoltà), e poste le due volontà, questa volta distinte, delle due nature, quindi una vera volontà divina e una vera volontà umana, la domanda è: non è che in Cristo c’è stata una grande confusione di una volontà contro l’altra? Una disarmonia tra queste volontà? La domanda è più che legittima.

Dunque, adesso ci poniamo due domande che corrispondono ai due articoli, cioè: a) se ci sia stata armonia tra la volontà umana di Cristo e la volontà divina; b) se ci sia stata armonia tra le volontà nella natura umana di Cristo, tra i tre aspetti della volontà di cui abbiamo parlato prima: la volontà come natura, la volontà come ragione, la volontà come appetito sensitivo.

Quanto alla prima domanda, san Tommaso afferma che, quando parliamo di armonia di conformità tra la volontà umana e la volontà divina, dobbiamo porci la domanda e chiarire che cosa intendiamo per volontà umana, perché abbiamo visto che esistono tre dimensioni. Allora san Tommaso inquadra subito il problema dicendo, nella risposta alla seconda obiezione dell’art. 5, che «la conformità della volontà umana con la volontà divina si riferisce alla volontà come ragione» (III, q. 18, a. 5), dunque a quella che abbiamo anche chiamato volontà di deliberazione, la boulesis. In questa dimensione, possiamo dire che secondo la volontà di ragione di Cristo, Egli abbia sempre voluto ciò che voleva la volontà divina, sua, in quanto persona del Verbo, e del Padre, per la comunione della volontà in Dio. Questo però significa anche, dall’altro lato della medaglia, che è stato possibile che la volontà di sensualità, di appetito sensibile, e la volontà assoluta o come natura potessero “andare da un’altra parte”. Ed è normale pensarlo, perché queste due volontà possono andare dall’altra parte nell’esperienza umana, senza per questo costituire un peccato o un’imperfezione.

D’altra parte, nella risposta alla terza obiezione dell’art. 5, san Tommaso afferma una cosa molto importante: «Cristo era insieme comprensore e viatore» (ibidem). Cosa vuol dire? Vuol dire che era già nella vita beata e, dall’altra parte, viatore, cioè nella condizione nostra, di una carne passibile, perché, sebbene avesse la visione beatifica e sebbene fosse confermato con la sua volontà, era appunto ancora viatore, aveva ancora una carne passibile. Una carne impassibile l’avrà dopo, con la risurrezione dai morti. Quindi, aggiunge san Tommaso: «Godeva cioè di Dio con la mente e insieme aveva una carne passibile. Di conseguenza gli poteva accadere, dalla parte della sua carne passibile, qualcosa che ripugnava alla sua volontà come natura e anche all’appetito sensitivo» (ibidem).

In sostanza, san Tommaso ci dice che la volontà, l’appetito sensitivo di Cristo avvertiva – e lo vedremo tra poco – la ripugnanza rispetto a qualcosa che la sua volontà razionale – che era in conformità con la volontà divina – sceglieva come buono. La croce è stata percepita con ripugnanza dall’appetito sensitivo dell’umanità di Cristo. Dice Tommaso: «Parimenti, anche alla volontà come natura ripugnano tutte le cose che sono contrarie alla natura e cattive per sé stesse, quali la morte e altre cose simili» (ibidem). Cioè, la nostra volontà come natura tende al bene della vita, non tende alla morte. Quindi, anche sotto questo aspetto, queste due volontà hanno “voluto” qualcosa di diverso, ma ripetiamo: quando parliamo di volontà, cioè “io voglio qualcosa”, ci riferiamo alla volontà razionale. Le altre due fanno parte, attenzione, della volontà umana, ma sono o la partecipazione della parte sensitiva oppure, come nel caso della volontà di natura, proprio la destinazione, l’orientamento strutturale della volontà umana, che tende al bene, in questo caso tende al bene della vita.

Così capiamo anche l’art. 6, cioè come all’interno dei tre aspetti della volontà umana di Cristo ci potesse essere conflittualità; ma non perché Cristo volesse e non volesse, non per un’incertezza della sua facoltà deliberativa, ma perché, di nuovo, se prendiamo il senso di volontà, queste tre dimensioni che sono distinte ma che fan parte dell’unica volontà, noi troviamo che – ed è l’esempio che fa lo stesso san Tommaso – Cristo sente in qualche modo l’avversione dell’appetito sensitivo, di questa partecipazione alla volontà razionale della parte sensitiva dell’uomo. E dunque, sotto questo aspetto, c’era una conflittualità, ma non nel senso che Cristo volesse e non volesse nella sua dimensione deliberativa.

Ora, l’altra affermazione importante la troviamo nella risposta alla prima obiezione dell’art. 6: «Che la volontà umana in Cristo volesse qualcosa di diverso da ciò che voleva la sua volontà divina, dipendeva dalla stessa volontà divina, la quale a suo beneplacito lasciava che la natura umana si muovesse secondo le proprie tendenze, come dice il Damasceno» (III, q. 18, a. 6). Questo è in qualche modo il principio-chiave di tutto quello che abbiamo detto oggi: proprio perché Dio non forza mai le sue creature, non forza mai la natura umana, neanche quella unita ipostaticamente a Sé, ma lascia che si muova con le proprie tendenze, noi abbiamo che la volontà con la sua dimensione naturale tendeva dove tende la volontà naturale. E, quindi, quando la volontà divina chiede il sacrificio della vita, si avverte un contrasto; lascia che la volontà deliberativa segua la sua natura, e in questo senso Cristo ha deliberato, ha sempre voluto quello che la volontà divina aveva voluto. Essendo la volontà deliberativa la dimensione propria del libero arbitrio, essa è sempre andata in armonia con quella divina: sotto questo aspetto, non c’è stata alcuna tensione. Per quanto riguarda la terza e ultima dimensione, l’appetito sensitivo, è stata la volontà divina a volere la natura umana secondo la sua tendenza. E l’appetito sensitivo tende in qualche modo al piacere, ripugna il dolore. E dunque è assolutamente conforme alla volontà divina che l’appetito sensitivo di Cristo avvertisse ripugnanza nei confronti del dolore che aveva davanti e della morte che aveva davanti a Sé.

Vediamo dunque che queste due apparenti disarmonie, in realtà, rientrano nella volontà divina di lasciare che la natura umana segua le sue tendenze di natura (non stiamo parlando delle tendenze viziose). Sotto questo aspetto, è conforme alla volontà divina che l’appetito sensibile sentisse questa ripugnanza; ed è conforme alla volontà divina che la volontà naturale tendesse dalla parte del bene, della vita, mentre momentaneamente le veniva chiesto il sacrificio del bene della vita.

La volontà deliberativa, quella che propriamente chiamiamo libero arbitrio, ha sempre seguito, è sempre stata in accordo con la volontà divina. E questo è il grande mistero della volontà in Cristo.



Ora di dottrina / 139 – Il video

L’anima di Cristo: la volontà

24_11_2024 Luisella Scrosati

Il mistero della volontà di Cristo è stato nei secoli oggetto di diverse eresie che hanno negato in vario modo la verità della presenza in Lui di due volontà: divina e umana. I tre aspetti della volontà umana in Cristo: armonia o disarmonia? Il suo libero arbitrio: sempre conforme alla volontà divina.

Ora di dottrina / 138 – La trascrizione

L’anima di Cristo: l’intelletto – Il testo del video

17_11_2024 Luisella Scrosati

In Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, c’è sia un’intelligenza divina sia un’intelligenza umana. I suoi tre tipi di conoscenza: la scienza dei beati (visione beatifica), la scienza infusa, la scienza acquisita.

ORA DI DOTTRINA / 91 – IL SUPPLEMENTO

Il monotelismo e la grave leggerezza di papa Onorio

19_11_2023 Luisella Scrosati

Dopo Giustiniano, anche l’imperatore Eraclio tentò di imporre un’unificazione religiosa a scapito della verità. Ne nacque una lunga crisi, con un papa (Onorio) che cadde nella trappola e altri che invece resistettero fino al martirio.

ORA DI DOTTRINA / 88 – Il supplemento

Dall’eresia di Apollinare a quella monofisita

29_10_2023 Luisella Scrosati

Secondo Apollinare di Laodicea, la Persona divina del Figlio avrebbe unito a sé il corpo umano e l’anima sensitiva, ma non l’anima razionale: un errore condannato da papa san Damaso. Ma la corrente più intransigente degli apollinaristi sfociò in una nuova eresia: il monofisismo.