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Ora di dottrina / 132 – La trascrizione

Perché l’Incarnazione (II parte) – Il testo del video

San Tommaso si sofferma sulla convenienza dell’Incarnazione, atto libero dell’amore di Dio. Il suo legame con la Redenzione degli uomini. Le dieci ragioni di convenienza dell’Incarnazione: cinque per far avanzare l’uomo nel bene, cinque per tenerlo lontano dal male.

Catechismo 06_10_2024

Come preannunciato domenica scorsa, completiamo quanto abbiamo iniziato a dire sul perché dell’Incarnazione. Abbiamo visto che è la prima domanda che san Tommaso d’Aquino si pone nella terza parte della sua Somma Teologica. Sul senso, la profondità e la collocazione di questa terza parte ho già detto nella scorsa catechesi.

La prima questione è dedicata alla convenienza dell’Incarnazione. Questo termine è veramente densissimo di significato teologico perché ci permette di prendere le distanze da due derive pericolose, allorché ci accostiamo ai misteri di Dio. L’Incarnazione in fondo che cos’è? È un atto di volontà di Dio, è un atto libero dell’amore di Dio nei nostri confronti. Dunque, questo significa che non è né un atto necessario, perché Dio non è necessitato da nulla, e non è necessario nemmeno per raggiungere un certo fine, perché l’onnipotenza di Dio fa sì che Egli possa compiere le sue opere in diversi modi. La salvezza dell’uomo, per esempio, poteva essere compiuta anche diversamente. Nell’Adoro te devote diciamo che a Dio sarebbe bastata una goccia di sangue e, invece, ha voluto effondere tutto il suo sangue. Di per sé sarebbe bastato anche un qualsiasi altro atto della volontà divina, invece Dio ha scelto l’Incarnazione e la Passione.

Dunque, l’Incarnazione non è una necessità. E tuttavia non è neanche un puro arbitrio, perché Dio, quando agisce, agisce sempre per un atto d’amore concomitante alla sua infinita saggezza e sapienza. Quando Egli agisce in qualche modo, c’è un’infinita sapienza dietro questa sua scelta. E qui si apre proprio il bello dell’indagine teologica, della contemplazione dei misteri della nostra fede. Il termine “convenienza” ci fa capire che c’è una ragione dietro, che chiede in qualche modo di essere contemplata, per quel che è possibile alla misura dell’uomo, anche se chiaramente illuminata dalla grazia; e dall’altra parte ci ricorda che non è una necessità: Dio non era necessitato a fare in quel modo, poteva fare diversamente. Il termine convenienza ci mette dentro questa sfera corretta dell’indagine, della comprensione dei misteri divini, che riconosce a Dio la sua infinita libertà e nello stesso tempo la sua infinita sapienza.

Nell’articolo 1, abbiamo visto la convenienza dell’Incarnazione; e andando a pescare anche in altre opere di san Tommaso, abbiamo visto come essa si ponga al vertice di una gradazione di presenza di Dio nella creazione, di comunicazione di Dio alla sua creatura. Abbiamo parlato della presenza di immensità di Dio in ogni creatura; poi la presenza attraverso le operazioni mediante la grazia; e poi la presenza mediante l’unione ipostatica, cioè quella che pertiene alla Persona divina che assume la natura umana e che andremo ad indagare nelle prossime catechesi.

Questa è la grande, splendida cornice nella quale si colloca questa questione. Andiamo a vedere più da vicino l’art. 2, soprattutto, e l’art. 3.

Nell’art. 2, san Tommaso si chiede se per la Redenzione degli uomini fosse necessaria l’Incarnazione. Dovreste già intuire la risposta, ma l’articolazione di san Tommaso è semplicemente splendida, per cui faremo una lettura e un commento dell’art. 2. Premetto un attimo l’art. 3, che tratta la grande questione se Dio si sarebbe incarnato anche se l’uomo non avesse peccato. Da quello che abbiamo detto l’altra volta, san Tommaso ha una prospettiva molto più ampia e tuttavia nella Summa – che nasce, ricordiamo, quasi come un compendio della teologia ad uso degli studenti dell’Ordine domenicano, quindi non vuole dare opinioni, ipotesi, ma la sostanza della fede e la sua argomentazione – risponde che è da preferirsi la posizione di chi sostiene che l’Incarnazione è legata alla Redenzione. Ma san Tommaso dice che questo non vuol dire escludere a priori l’altra posizione. Allora perché preferisce quella opzione? L’altra volta, menzionando gli altri scritti di san Tommaso, abbiamo detto che c’è una gradazione delle comunicazioni divine, della presenza divina, che lascerebbe pensare che Dio si sarebbe incarnato comunque, anche se l’uomo non avesse peccato. L’argomentazione è importante e va tenuta ben presente. Leggiamola: «Le cose che dipendono dalla sola volontà di Dio, al di sopra di tutto ciò che è dovuto alle creature, non possono venire alla nostra conoscenza se non attraverso la Sacra Scrittura nella quale la volontà divina ci è manifestata. Siccome dunque nella Sacra Scrittura il motivo dell’Incarnazione viene sempre posto nel peccato del primo uomo, è meglio dire che l’opera dell’Incarnazione fu disposta da Dio a rimedio del peccato, in modo che se non ci fosse stato il peccato non ci sarebbe stata l’Incarnazione. La potenza di Dio però non è racchiusa in questi limiti. Dio infatti si sarebbe potuto incarnare anche se non ci fosse stato il peccato» (III, q. 1, a. 3).

Cosa sta cercando di dire san Tommaso? Sta facendo un’operazione molto preziosa. Lui sta dicendo: Dio può fare quello che vuole, non è legato a nulla; ma quando noi abbiamo a che fare con qualcosa che dipende dalla sola volontà di Dio – vedi l’Incarnazione, che appunto non era necessaria, è stata un atto libero dell’amore di Dio – possiamo comprendere, avvicinarci a questa volontà solo mediante ciò che ci comunica Dio stesso, con la Rivelazione. E nella Rivelazione che cosa troviamo? Troviamo l’affermazione che l’Incarnazione è legata alla Redenzione degli uomini. È quello che noi professiamo con il Credo. Quando introduciamo l’articolo dedicato al Signore Gesù Cristo, diciamo: qui propter nos homines et propter nostram salutem, descendit de cælis – per noi uomini e per la nostra salvezza, discese dal cielo.

Con questo, san Tommaso non vuole chiudere le porte a un altro tipo di ragionamento, ad altre conclusioni, ma vuole ancorare il discorso teologico alla Rivelazione. E la Rivelazione ci comunica che l’Incarnazione è legata alla Redenzione. Non si tratta di proibire altre posizioni, ma di ancorare il discorso teologico alla sua fonte, e cioè la Rivelazione, la Parola di Dio, senza la quale il discorso teologico non esiste. La teologia cristiana, cattolica, non è un discorso teorico su quello che sarebbe potuto essere o non essere, ma è la riflessione di una ragione illuminata dalla fede su ciò che Dio ci ha rivelato. Cioè, la fonte, la partenza, il riferimento primo e ultimo è sempre ciò che Dio ha rivelato. Questo è il senso di questo art. 3.

Ora vediamo l’art. 2, nel quale san Tommaso si chiede se fosse necessaria l’Incarnazione per la Redenzione, posto che la Rivelazione ci dice che l’Incarnazione è legata alla Redenzione degli uomini; ma era necessaria? E san Tommaso dà una risposta ampiamente articolata. Vediamo intanto il suo primo nucleo, che afferma che «un mezzo può essere necessario a un certo fine in due modi: o così che senza di esso non si può ottenere il fine, […] oppure nel senso che il mezzo agevola il raggiungimento del fine» (III, q. 1, a. 2). San Tommaso fa due esempi. Io non posso avere il nutrimento senza cibo, quindi questo mezzo è assolutamente necessario per raggiungere il fine di nutrirsi. Oppure può essere un’agevolazione, per cui per andare da un posto a un altro utilizzo un cavallo, oggi diremmo un treno, un aereo. Cioè, non è assolutamente necessario utilizzare il cavallo per andare da… a...; e tuttavia, se non lo utilizzassi, le cose sarebbero estremamente complicate e difficili, quasi al limite dell’impossibilità.

Prosegue il ragionamento di san Tommaso: «L’incarnazione di Dio non era necessaria per la redenzione della natura umana nel primo modo, avendo Dio potuto redimerci per la sua onnipotenza in molte altre maniere. L’Incarnazione era invece necessaria per la Redenzione umana nel secondo modo. Da cui le parole di S. Agostino [De Trinitate 13, 10]: “Noi mostriamo che a Dio non mancavano altri mezzi, poiché tutto sottostà ugualmente al suo potere, ma che d’altra parte Egli non ne ebbe un altro più conveniente per sanare la nostra miseria”» (ibidem). Di nuovo, vediamo questo termine pregnante: conveniente, convenienza. Cosa ci sta comunicando san Tommaso? Attenzione: non ci sta dicendo che Dio non è necessario per la Redenzione dell’uomo; e non ci sta neanche dicendo che, posto che Dio ha scelto l’Incarnazione, esistono altre possibilità. Non ci sta dicendo questo, ma ci dice che Dio avrebbe anche potuto fare diversamente. Cioè, la volontà di Dio non era vincolata da una necessità. Ma Dio ha scelto l’Incarnazione non per una necessità, ma appunto per una convenienza.

San Tommaso ci mostra quindi queste ragioni di convenienza: cinque per il bene, cinque per allontanare il male e ora le vediamo. Intanto, mi preme sottolineare questo: l’Incarnazione, di per sé, non era necessaria, avendo Dio la possibilità di salvare l’uomo in altri modi. Ma Dio ha scelto questa, perché abbiamo le Scritture, la Rivelazione divina, perché abbiamo le fonti della Rivelazione che ce lo comunicano, la Scrittura e la Tradizione della Chiesa e il Magistero che ce lo conferma, ce lo spiega. Duemila anni, da questo punto di vista, hanno dato tutto quello che era necessario e più di quello che è necessario all’uomo per credere e per aderire alla fede cattolica.

Posto dunque che Dio ha scelto questa strada, l’uomo ne è vincolato: non Dio è vincolato, perché avrebbe potuto fare diversamente. Ma avendo Dio scelto questa strada, l’uomo, che da solo non poteva e non può salvarsi, deve prendere il “mezzo”, deve usare quel mezzo che Dio ha scelto per la nostra salvezza. Detto in altro modo, l’Incarnazione non è un’opzione tra le altre e il cristianesimo, dunque, non è una religione tra le altre. Dal punto di vista storico, sì, cioè uno può fare l’elenco storico delle religioni, ma dal punto di vista, invece, di Dio e di ciò che Lui ha voluto, dunque la salvezza dell’uomo, il cristianesimo è l’unica strada, l’unica via che salva. Perché? Perché è Gesù Cristo l’unica via che salva, è l’unico salvatore del mondo. Dio ha voluto così: l’uomo non può trovare altre strade, perché le strade dell’uomo è come se arrivassero sull’orlo del precipizio e, poi, o si fermano o cadono. Se dall’altra parte non c’è qualcuno che mette un ponte – da qui Cristo che fa da pontefice – lo sforzo dell’uomo, per quanto lodevole e brillante, non è in grado di attingere Dio, perché tra Dio e l’uomo c’è un abisso ontologico. Questa è la ragione per cui il cristianesimo è l’unica religione vera; più precisamente, la Chiesa cattolica (e vedremo la connessione tra Chiesa cattolica e Gesù Cristo) è l’unica religione vera ed è anche l’unico modo che l’uomo ha per salvarsi, perché Gesù Cristo è l’unica strada, l’unico ponte che Dio ha stabilito perché gli uomini potessero essere salvati.

Fatta questa premessa importantissima, vediamo questi 10 motivi di convenienza dell’Incarnazione. Ancora una volta, Dio agisce non per necessità, ma, ogni volta che agisce, agisce sempre secondo saggezza.

E dunque noi andiamo ad indagare almeno alcune di queste ragioni della sapienza divina. San Tommaso ci dice che le prime cinque ragioni riguardano l’avanzamento dell’uomo nel bene, cioè la convenienza dell’Incarnazione è relativa proprio ad aiutare l’uomo nell’avanzare nel bene. E le altre cinque sono invece convenienti per allontanare l’uomo dal male. Qui il riferimento quasi esclusivo di san Tommaso è sant’Agostino, di cui cita abbondantemente i testi.

Vediamo la prima ragione. Quanto alla fede, ci dice san Tommaso: «La fede acquista una maggiore sicurezza per il fatto che si crede allo stesso Dio che parla. Per cui S. Agostino afferma [De civitate Dei 11, 2]: “Perché l’uomo con più fiducia accedesse alla verità, la Verità stessa, il Figlio di Dio, facendosi uomo gettò le fondamenta della fede”» (ibidem). Cioè, noi non crediamo per aver udito qualcosa di riferito da qualcuno, noi crediamo perché la Verità stessa ci ha parlato. È chiaro che questa giunge fino a noi per trasmissione, ma il punto di partenza è Dio stesso che parla, e Dio stesso che parla come uomo. Questo dà una solidità alla fede, la rafforza in un modo eccezionale. Ed è quindi una ragione di agevolazione dell’atto di fede, cioè quella di credere alla Parola che Dio stesso ha pronunciato nella nostra natura, con testimoni oculari, con uditori presenti.

Aggiunge san Tommaso: «Secondo, quanto alla speranza, che nell’Incarnazione trova il suo stimolo più efficace» (ibidem). Perciò S. Agostino afferma nel De Trinitate: «Nulla era tanto necessario a infonderci speranza quanto la dimostrazione del grande amore che Dio ci porta. Ma quale segno poteva essere più chiaro della degnazione del Figlio di Dio a unirsi con la nostra natura umana?». San Tommaso ci dice che l’Incarnazione ci esprime che Dio vuole unirsi alla creatura, vuole venire a salvarla. Cioè, primariamente, non è un desiderio della creatura essere salvata, ma l’Incarnazione ci dimostra che è il desiderio che Dio stesso ha: Dio stesso desidera che tutti gli uomini siano salvi. E per mostrarlo apertamente, prende la nostra natura. È un Dio estremamente vicino all’uomo. E questo appunto, come ci dice san Tommaso, rinvigorisce, stimola la speranza.

«Terzo, quanto alla carità, che nell’Incarnazione trova il suo massimo incentivo» (ibidem). Anche qui, poi, cita sant’Agostino. Riassumo: cosa c’è di più chiaro della manifestazione dell’amore di Dio per noi, se non il fatto che Egli si è fatto uomo? Non solo si è fatto vicino e ci ha rivolto la parola, ma ha preso la nostra natura, ha voluto condividere la nostra vita. Questo è il segno per eccellenza, il segno fondativo della sua volontà di bene, del suo amore verso noi uomini. Perché? Perché l’amore cerca l’unione. L’amore di amicizia cerca l’unione dei cuori con l’amico; l’amore sponsale lo traduce anche nell’unione dei corpi. L’amore cerca l’unione. E dunque, l’unione per eccellenza, l’unione ipostatica, dimostra in modo definitivo e radicale l’amore di Dio per noi. E suscita quindi in noi, se non poniamo ostacoli, il desiderio di riamare Dio, che ha fatto il primo passo. E che passo: ha assunto la nostra natura.

Quarta ragione, «rispetto al ben operare, nel quale, con l’Incarnazione, Dio stesso si è fatto nostro modello» (ibidem). Nostro modello, nostro maestro. Non abbiamo solo una raccolta di scritti, sentenze, massime del Signore: abbiamo l’esempio della sua vita. Una vita condotta fino alla morte di croce. Dunque, come dice san Pietro, Egli è nostro modello perché noi ne seguiamo le orme (cf. 1Pt 2,21). Il Vangelo non è una raccolta di princìpi – anche se questo non vuol dire che non lo sia del tutto –, non è l’insegnamento di Confucio e basta, ma Gesù Cristo stesso è la via, il modello, il maestro. È Colui che dobbiamo imitare.

«Quinto, quanto alla piena partecipazione della divinità, che è la vera beatitudine dell’uomo e il fine della sua vita. Questa piena partecipazione ci viene conferita attraverso l’umanità di Cristo. Infatti, [qui si cita un sermone di sant’Agostino] “Dio si è fatto uomo perché l’uomo divenisse Dio”» (ibidem). Questo è il vertice massimo del senso dell’Incarnazione; c’è questo scambio che noi viviamo ed esprimiamo sacramentalmente nella liturgia eucaristica, questa unione, come diciamo in una bellissima preghiera nell’Offertorio, perché noi possiamo unirci a Colui che si è degnato di assumere la nostra natura umana. Cioè, Dio si fa uomo perché l’uomo, in Cristo, diventi Dio. Questo è l’elemento di convenienza dell’Incarnazione forse più profondo: Dio fa il passo verso l’uomo, prende l’uomo perché l’uomo possa divenire Dio. È quel famoso ponte finalmente ricostruito, andato a pezzi, frantumatosi dopo il peccato originale e che il Signore viene a ricostituire nella sua carne. Pensiamo all’immagine che il Signore nel Vangelo di Giovanni applica a Sé della scala di Giacobbe (cf. Gv 1, 51). Ricordiamo il sogno di Giacobbe (cf. Gen 28, 10-22), che vede questa scala che poggia a terra e arriva al cielo, con gli angeli che salgono e scendono su di essa. Il Signore la applica a Sé, perché Lui è questa scala con queste due polarità, il cielo e la terra, che permette la comunicazione cielo-terra, da cui gli angeli che salgono e scendono: è Lui stesso, con la sua umanità unita alla sua divinità.

Dunque, queste sono le cinque ragioni di convenienza nell’avanzamento dell’uomo nel bene, come ci dice san Tommaso.

Poi abbiamo altre cinque ragioni per dimostrare la convenienza dell’Incarnazione per allontanare l’uomo dal male. In san Tommaso c’è un realismo enorme, che torna sempre; non è un buonista e non è neanche uno che sta a indugiare solo sul male, è un realista: avanzare nel bene vuol dire respingere il male, sono i due lati della stessa medaglia.

La prima ragione di convenienza sotto questo aspetto, dunque la sesta secondo il nostro elenco, è la seguente: «in quanto essa [l’Incarnazione] persuade l’uomo a non stimare il diavolo, primo artefice del peccato, come superiore a sé stesso e a non prestargli ossequio. Per cui avverte S. Agostino [De Trinitate 13, 17]: “Dal momento che la natura umana poté essere unita a Dio così intimamente da divenire con Lui una sola persona, non osino quei superbi spiriti maligni anteporsi all’uomo vantandosi della loro incorporeità”» (ibidem). L’Incarnazione ci tiene lontani da un certo spiritualismo, per il quale noi vorremmo essere come gli angeli e per il quale in qualche modo l’uomo è quasi condotto a stimare la condizione angelica, il diavolo stesso, come se fosse superiore a lui, nonostante il male in cui si è radicata la sua volontà, ritenendo che egli sia superiore a noi in quanto puro spirito… No, san Tommaso ci dice una cosa straordinaria, ossia che nel momento in cui Dio stesso unisce nella sua persona, in una sola persona, quella divina, la nostra natura, com’è possibile disprezzare la corporeità, com’è possibile pensare che la corporeità ci ponga in una situazione di inferiorità? Ci pone certamente in una diversità, qui non c’è dubbio. Questo è un primo aspetto importantissimo.

«Secondo, l’Incarnazione ci insegna quanto sia grande la dignità della natura umana, affinché non la macchiamo peccando» (ibidem). Poi fa una citazione di sant’Agostino e, ancora, del famoso passo del Sermone XXI di papa san Leone: «Riconosci, o cristiano la tua dignità». Lo cita per intero, cosa che spesso si dimentica di fare: «Riconosci, o cristiano la tua dignità e, fatto partecipe della natura divina, non tornare all’antica miseria con un’indegna condotta». Questa è la parte che spesso piace poco, non è ripetuta come la prima, ma si capisce che è indissociabile dalla prima. Cioè, il riconoscere la dignità cristiana non è per crogiolarci davanti allo specchio e per dirci quanto siamo belli, ma è per richiamarci a una condotta conforme a questa dignità. E quindi non ricadere nell’uomo carnale, cioè dell’uomo che vive secondo la carne, in maniera contraria allo spirito, secondo questa dialettica paolina. Non ritornare indietro, non vivere appunto secondo delle mozioni, dei desideri che sono contrari a questa dignità. Questa dignità ci è stata data, ma non è “blindata” qualunque cosa uno faccia. La dignità del cristiano può clamorosamente venire meno, a causa dei nostri atti con i quali noi decidiamo di porre una cesura rispetto a Dio, una contraddizione rispetto a questa dignità.

«Terzo, per distogliere l’uomo dalla presunzione “viene esaltata in Cristo uomo la grazia divina, non preceduta da merito alcuno”, come rileva S. Agostino [De Trinitate 13, 17]» (ibidem). Cioè, l’Incarnazione, come dicevamo, è una scelta di Dio. Non è una scelta in vista dei nostri meriti e ancor meno è stata causata da presunti meriti umani. Il primo passo, ne abbiamo parlato quando si è trattato di merito e grazia (qui e qui), è il passo divino, il passo della grazia. Come poteva l’uomo anche minimamente pensare o esigere o realizzare, con i suoi meriti, che Dio si facesse uomo? Impossibile. Quindi, questo primo passo divino, enorme, Dio che si fa carne, che unisce la nostra natura umana e la sua Persona divina, è un passo assolutamente gratuito. E dunque l’uomo, di fronte a questo mistero, dovrebbe annientare la sua presunzione. Se non ci fosse Dio, se non ci fosse la grazia, se non ci fosse stata l’Incarnazione, noi, di nostro, cosa avremmo potuto fare?

«Quarto, perché, come aggiunge il medesimo santo [Agostino], una così grande umiltà di Dio è in grado di riprendere e di guarire la superbia dell’uomo che è l’impedimento più grave per la sua adesione a Dio» (ibidem). Questo è simile al primo, ma con una sfumatura diversa. Questa volta si sottolinea l’accondiscendenza di Dio, che si abbassa, assumendo la nostra natura, che si fa uomo… e vedremo che, quando parleremo dei misteri della vita di Cristo, uomo semplice, povero, umile; grande esempio – qui torniamo all’altra grande convenienza (Egli nostro modello) – esempio di umiltà che va a guarire la ragione della caduta originale e la ragione fondamentale della nostra perdizione, ossia la superbia. Anche qui vediamo una grande convenienza di questo passo divino dell’Incarnazione.

«Quinto, l’Incarnazione giovò a liberare l’uomo dalla schiavitù. E ciò doveva avvenire, dice sant’Agostino [De Trinitate, 13-14], “in modo che il diavolo fosse vinto dall’uomo Gesù Cristo”. Il che avvenne attraverso la soddisfazione offerta da Cristo per noi. Un puro uomo infatti non avrebbe potuto soddisfare per tutto il genere umano. D’altra parte Dio non doveva soddisfare, era quindi necessario che Gesù Cristo fosse Dio e uomo» (ibidem). Qui c’è un testo straordinario sulla soddisfazione, una verità della fede oggi, quando non minacciata, del tutto dimenticata, incompresa e che fonda invece uno dei motivi importantissimi dell’Incarnazione e anche della perpetuazione del sacrificio di Cristo nella Divina Liturgia, nella Santa Messa.

Cosa ci sta dicendo qui san Tommaso? Un puro uomo non avrebbe potuto soddisfare per il genere umano. Perché? «Perché tutta la natura umana era stata corrotta dal peccato, né il merito di una o anche di più persone poteva compensare alla pari il danno di tutta la natura» (III, q. 1, a. 2, ad. 2). La natura era corrotta. Dunque, da parte dell’uomo non poteva venire un atto adeguato di soddisfazione: termine che indica che cosa? Che c’è una giustizia che è stata violata e che doveva essere riparata, ripristinata. Non ci piace, molto spesso, sentire questo termine; preferiamo parlare della misericordia, ma non possiamo toglierlo: cioè, il peccato originale non è stato solo un atto contro l’amore di Dio, è stato anche un atto profondamente ingiusto, che ha provocato una situazione di ingiustizia che doveva essere riparata. Poi, Dio ha “sorpassato” la misura della giustizia, ma ciò non toglie che essa ci sia. L’uomo dunque non poteva riparare perché la natura umana era corrotta. Non c’era più niente di puro in lui, di adeguato alla santità divina. Ma non solo, ci dice Tommaso: «il peccato commesso contro Dio acquista una certa infinità a motivo dell’infinità della maestà divina» (ibidem). E dunque «era necessario, per una soddisfazione adeguata, che l’azione del riparatore avesse un’efficacia infinita». Non può un atto umano avere un’efficacia infinita. Era quindi necessaria l’azione, la riparazione di un Uomo-Dio. Quindi, san Tommaso ci dice: da un lato, l’uomo non poteva più riparare; dall'altro Dio non doveva soddisfare, non era tenuto, perché l’offesa era arrivata da parte dell’uomo, non da parte della divinità, chiaramente. E quindi eravamo in questa impasse incredibile: l’uomo non poteva soddisfare, non poteva riparare; e Dio non era tenuto a farlo. E dunque, Dio si è inventato questa cosa, ha voluto farlo assumendo la natura umana, perché dalla parte dell’uomo – uomo vero ma unito alla Persona divina, quindi capace di soddisfare in modo infinito – venisse questa riparazione. Questa è ancora una volta la ragione per cui solo il cristianesimo, solo la Chiesa è capace di riparare e di farci entrare dentro questo circolo della riparazione e della soddisfazione, dandoci lo stesso Dio fatto uomo, presente nell’Eucaristia. Ecco perché la Messa è insostituibile.

Non esiste alcun culto di qualsiasi religione paragonabile alla Messa, perché lì è il Dio fatto carne che si sacrifica, che ripara, che soddisfa per noi. E noi in qualche modo partecipiamo e riceviamo gli effetti di questa soddisfazione. Qualsiasi atto religioso, proveniente solo “dal lato umano”, per quanto nobile, per quanto pura sia l’intenzione, non è in grado di soddisfare, non è in grado di riparare. Di nuovo, dunque, c’è un motivo radicale non della superiorità del cristianesimo, ma del fatto che è l’unica religione capace di fare questo. Perché? Perché l’ha fondata Dio, perché è la religione del Dio fatto carne; non perché i cristiani abbiano superiorità sugli altri, oppure perché ci piace di più la teologia cristiana rispetto a quella islamica; non è questo il punto: il punto è l’Incarnazione del Verbo.

La prossima volta andiamo un po’ a scandagliare chi è Colui che ha assunto la natura umana. Dunque, faremo una breve incursione nel mistero trinitario, nel mistero della generazione della seconda Persona della SS. Trinità.



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