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COVID E POTERE

Italia e Cina, regimi emergenziali sempre più simili

Italia o Cina, quale dei due sistemi si sta comportando in modo più duro con i suoi cittadini, nel tentativo di arrestare la quarta ondata di Covid-19, nel nome dell'utopia chiamata "Covid Zero"? Cittadini discriminati, esclusi da servizi fondamentali ed esposti al rischio di morire. Solo Amnesty Italia si è resa conto di questa deriva.

Editoriali 19_01_2022
Xian, Cina: posto di blocco in una zona residenziale

Italia o Cina, quale dei due sistemi si sta comportando in modo più duro con i suoi cittadini, nel tentativo di arrestare la quarta ondata di Covid-19, nel nome dell'utopia chiamata "Covid Zero"?

Scena uno: una donna incinta, afflitta da dolori e perdite, non viene ricevuta ad un pronto soccorso perché non ha ancora eseguito un tampone molecolare. Uscita dalla struttura, dopo poco la donna ha subito un aborto spontaneo. È avvenuto in Cina o in Italia?

Scena due: un uomo che soffre di dolori al petto, con chiari sintomi di infarto non viene ammesso in un ospedale perché vive in una zona di medio contagio e non è provvisto di un regolare lasciapassare. Poco dopo il rifiuto, l’uomo muore di infarto, come prevedibile. Cina o Italia?

Scena tre: una donna malata oncologica deve imbarcarsi su una nave per recarsi in un ospedale di un’altra città, per sottoporsi a un’operazione urgente. Ma, pur avendo eseguito il tampone e pur essendosi vaccinata (prima dose) e nonostante un certificato medico che attestava l’avvenuta vaccinazione, a causa della lentezza delle registrazioni ufficiali, non ha potuto imbarcarsi. In Cina o in Italia?

Scena quattro: un uomo che stava recandosi a fare la spesa essenziale è stato fermato da due vigilantes e picchiato perché ha violato le regole del lockdown. Questa è facile da indovinare: è avvenuta a Xian, Cina. Ma le altre tre scene?

La scena tre, incredibilmente, è avvenuta in Italia: la donna doveva imbarcarsi ad Olbia e recarsi a Roma per l’operazione al tumore. Nonostante fosse perfettamente in regola (vaccinata e testata), solo perché la prima dose di vaccino non è ritenuta sufficiente. La scena due è molto simile, anche se ha avuto un esito ancor più drammatico nell’immediato, ed è avvenuta in Cina. Ma la scena uno, quella della madre che non viene ammessa in ospedale e ha perso il suo bambino, è avvenuta sia in Italia che in Cina. Stessa situazione, a Sassari la donna non è stata visitata al pronto soccorso dell’ospedale San Pietro perché le mancava il tampone molecolare. E chiunque si sia messo in coda per farlo o abbia provato a prenotarne uno, sa che è una pratica incompatibile con un’emergenza. Lo stesso episodio è avvenuto a Xian, sotto lockdown: la giovane è stata respinta dal pronto soccorso locale e ha perso il bambino, all’ottavo mese di gravidanza.

C’è però una differenza fondamentale, nella reazione. La notizia della donna che ha perso il bambino a Xian è stata visualizzata per 51 milioni di volte in pochi giorni sui social network cinesi, ha provocato uno scandalo nazionale e ha indotto le autorità a rilassare, anche se di poco, la politica di prevenzione del Covid. In Italia, la notizia della donna di Sassari che ha subito la stessa sorte, è passata pressoché in sordina e comunque è stata ignorata dalle autorità e dall’opinione pubblica.

Che in Cina si stia sviluppando una coscienza pubblica in difesa della libertà più forte che in Italia? Difficile dirlo, considerando che in Cina il dibattito non è permesso. Eppure, almeno in quei piccoli spazi di libertà in Internet, lo sdegno continua a crescere. In Italia il dibattito è libero, almeno formalmente, ma le (poche) proteste sono accolte da un coro di riprovazione da parte di un’opinione pubblica zelante e ubbidiente.

A constatare che in Italia vi sia ormai un problema di diritti umani, è anche Amnesty International. Pur promuovendo con convinzione l’accesso universale al vaccino, anche nei Paesi più poveri e repressi, la Ong in difesa dei diritti umani esprime tutte le sue perplessità sull’obbligo di vaccinazione: “ci sono alcune eccezioni limitate che possono permettere agli Stati di imporre l'obbligo di vaccinazione, purché questi requisiti soddisfino i principi di legalità, legittimità, necessità, proporzionalità e non discriminazione”. E il Super Green Pass comporta discriminazione. Amnesty, in merito, chiede: “che siano previste misure alternative – come l’uso di dispositivi di protezione e di test Covid-19 – per permettere anche alla popolazione non vaccinata di continuare a svolgere il proprio lavoro e di utilizzare i mezzi di trasporto, senza discriminazioni”.

Inoltre Amnesty Italia pare l’unica ad essersi resa conto dell’enormità del divieto delle manifestazioni no Green Pass: “Un altro diritto fondamentale che deve essere protetto è il diritto di manifestazione pacifica. Anche se ad oggi non ne risulta un’effettiva compressione a seguito della direttiva della ministra dell’Interno del novembre 2021, Amnesty International Italia continuerà a rivendicare il diritto a manifestare pacificamente forme di dissenso e a garantire il diritto di cronaca degli operatori e delle operatrici dell’informazione, denunciando ogni atto di aggressione o violenza ingiustificata nei loro confronti”. Quindi: diritto di manifestare contro il Green Pass e diritto dei giornalisti di documentare le proteste, senza essere intimiditi (dai manifestanti stessi, in alcuni casi).

Resta comunque l’amara impressione che, se Amnesty si muove, vuol dire che la situazione è veramente grave. E pochi se ne rendono conto, a giudicare, appunto, dalla povertà del dibattito in corso, più atrofizzato ancora rispetto a quello (che pure non è libero) sui social network cinesi.