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MEDIO ORIENTE

Israele risponde all'Iran con un raid solo simbolico

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Ieri, venerdì 19 aprile all’alba Israele ha colpito una base aerea nei pressi di Isfahan, nell’Iran centrale. Fine della faida fra i due paesi nemici. 

Esteri 20_04_2024
Murales di propaganda iraniana (La Presse)

Ieri, venerdì 19 aprile all’alba (alle 4,30 ora italiana) Israele ha colpito una base aerea nei pressi di Isfahan, nell’Iran centrale. Era il giorno del compleanno della Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Alì Khamenei, e questo è il “regalo” che gli hanno portato gli israeliani.

Non si conosce ancora l’arma con cui Israele ha risposto all’attacco massiccio iraniano, condotto con droni e missili, lo scorso sabato 13 aprile. Le autorità militari israeliane hanno comunque confermato di aver colpito in territorio iraniano. Ed è la prima volta che lo Stato ebraico colpisce la Repubblica Islamica. Così come il 13 aprile era la prima volta che la Repubblica Islamica colpiva lo Stato ebraico direttamente (non attraverso i suoi alleati locali, come Hezbollah e gli Houthi). E con questo si direbbe del tutto conclusa la faida fra i due paesi, iniziata con l’uccisione del generale iraniano Mohammed Reza Zahedi da parte di Israele.

Quel che conosciamo, lo abbiamo appreso dalla televisione iraniana che ha dato la notizia di esplosioni nei pressi di Isfahan, presso la locale base aerea, una di quelle da cui era partito l’attacco massiccio contro Israele sabato 13 aprile notte. Sempre media iraniani riferiscono che tre piccoli oggetti volanti sarebbero stati abbattuti dalla contraerea, suggerendo che si trattasse di droni decollati all’interno del territorio iraniano.

Se le modalità dell’attacco fossero confermate, Israele avrebbe dato una dimostrazione ulteriore di come riesca a manovrare mezzi di terra e volanti all’interno del territorio nemico, usando i suoi hacker, senza neppure scomodare l’aviazione o rischiare un lancio di missili. Una prima dimostrazione gli israeliani l’avevano data nel novembre del 2020, quando una mitragliatrice controllata in remoto era stata improvvisamente azionata e aveva ucciso lo scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh, alla guida di un’auto in una strada iraniana. Ieri (venerdì 19), colpendo a Isfahan, gli Israeliani avrebbero compiuto un passo in più in questo genere di dimostrazioni di forza, perché hanno colpito una base militare, in una città che è anche una delle principali sedi del programma nucleare e che, per questo, è anche una delle meglio difese in tutto l’Iran.

In Israele nessuno si attende una risposta da parte dell’Iran. Il Comando del fronte interno non ha diramato direttive di emergenza e la gente, alla vigilia della Pasqua ebraica, non è corsa nei rifugi. La vita continua normalmente, così come i collegamenti aerei sono liberi. La rappresaglia israeliana, al centro del dibattito internazionale negli ultimi sei giorni (perché tutti, a partire dagli Usa, temevano un’escalation), alla fine è arrivata, non ha colto di sorpresa nessuno ed è stata più limitata del previsto. D’altronde anche lo stesso premier Benjamin Netanyahu, all’indomani del bombardamento iraniano, già lunedì annunciava che il suo paese fosse obbligato ad una qualche forma di risposta, ma di voler evitare un’escalation. Immediatamente prima dell’attacco sarebbero stati informati gli Usa, secondo quanto riferisce anche il nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani.

Il governo israeliano pare concorde quasi all’unanimità su questa linea. Il quasi è rappresentato dal solo ministro per la Sicurezza interna, Itamar Ben-Gvir, che ha espresso il suo dissenso con una sola parola affidata a X: “Debole”.

I media iraniani hanno abbassato molto i toni, sia nella descrizione dell’attacco subito (che pare abbia provocato solo lievi danni e nessuna vittima), sia per la risposta. Che molto probabilmente non ci sarà. Altri raid israeliani sono stati condotti in Siria. ma non fanno notizia: sono ormai a cadenza settimanale, per colpire infrastrutture militari (in questo caso una batteria anti-aerea) usate dall’Iran e da Hezbollah.

Quindi è tutto finito? A quanto pare sì. Ed è paradossale osservare come due Stati così ostili fra loro si siano combattuti, pur senza dichiararsi guerra, con mezzi ultra-moderni, ma osservando regole da antica cavalleria: avvertendosi prima di colpirsi, ritenendosi soddisfatti dopo un duello “al primo sangue” (non mortale, dunque). Incredibile, considerando il contesto brutale delle guerre mediorientali. Ciò è stato reso possibile, finora, da una diplomazia occidentale, soprattutto degli Usa e delle potenze del G7, che hanno mediato sino all’ultimo, parlando con entrambe le parti in causa e con paesi mediatori, come Turchia e Qatar.

Certo, quando l’Iran si avvicinerà al possesso di una sua arma atomica (presto, secondo l’ultimo rapporto) sarà tutta un’altra musica.