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MEDIO ORIENTE

Israele, morte di Khader Adnan, Hamas prepara la vendetta

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Arrestato lo scorso febbraio, è morto, a seguito di un lungo sciopero della fame, Khader Adnan. Accusato di essere un dirigente della Jihad Islamica, era in carcere in detenzione preventiva. I famigliari accusano il governo israeliano di averlo ucciso, lancio di razzi da Gaza.

Esteri 03_05_2023
Khader Adnan

Era stato arrestato lo scorso mese di febbraio, nel corso di un’operazione condotta dai reparti speciali dell’esercito israeliano, dopo esser stato bloccato all’interno della sua abitazione a Jenin, dove Khader Adnan viveva con la sua famiglia. Aveva 44 anni ed era considerato uno dei maggiori esponenti della Jihad islamica di tutta la Cisgiordania. Condotto in una prigione di massima sicurezza, aveva iniziato lo sciopero della fame per protestare contro la carcerazione preventiva, che il Governo israeliano applica per i prigionieri palestinesi. Strumento, questo, che permette allo Shin Bet, i servizi segreti israeliani, di allungare l’arresto di sei mesi in sei mesi, senza dover presentare nessun capo di accusa, e impedendo ai detenuti di incontrare gli avvocati.

In Israele, secondo i dati forniti da un’ong palestinese, i carcerati in detenzione preventiva sarebbero quasi mille, un’aperta violazione, questa, al diritto internazionale che prevede tale misura solamente in casi eccezionali. Va sottolineato che l’arresto cautelare è una definizione, per lo più elegante, in tutto il Medio Oriente; infatti, alla “carcerazione preventiva”, non segue alcun processo, ed è abbinata a torture, maltrattamenti e abusi di ogni genere. Secondo le agenzie di sicurezza israeliane questo metodo permette di ottenere informazioni per sventare gli attentati, mentre le organizzazioni per i diritti umani sostengono che è illegale. Infatti, spesso, i carcerati, non resistendo ai metodi utilizzati negli interrogatori, perdono la vita. Il ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, leader dell’estrema destra israeliana, ha recentemente minacciato, tra le altre cose, una gestione ancora più severa dei prigionieri palestinesi.

Khader Adnan è stato trovato svenuto, ieri mattina, all’interno della sua cella. A nulla è valso l’intervento dei medici della prigione e il successivo trasferimento allo Shamir Medical Center, un ospedale nelle vicinanze di Tel Aviv. Kader Adnan era ormai privo di vita. Probabilmente il suo fisico non ha retto al prolungato periodo, 86 giorni, di sciopero della fame. Secondo l'Ips, il servizio carcerario israeliano, «il detenuto, arrestato il 5 febbraio scorso, si era rifiutato di sottoporsi a visite mediche e di ricevere cure». I familiari hanno invece accusato le autorità israeliane di una serie di gravi negligenze nei suoi confronti. La moglie, Randa Moussam, nei giorni scorsi, nel corso di una conferenza stampa, svoltasi a Ramallah, dopo avergli fatto visita, nella prigione di Ramla, aveva dichiarato: «Mio marito sta morendo e l’amministrazione penitenziaria israeliana si rifiuta di trasferirlo in un ospedale civile. Piuttosto, lo tiene nel carcere di Ramla, privo delle strutture sanitarie minime. Abbiamo chiesto più volte di trasferirlo in ospedale, ma la richiesta è stata sempre respinta». «È stato ucciso dalle autorità israeliane», ha affermato l’associazione dei detenuti palestinesi,  confermando che le autorità israeliane si erano rifiutate di trasferire Adnan in un ospedale fuori dal carcere, quando la sua salute era diventata sempre più critica. 

La morte dello sceicco è stata immediatamente divulgata dai minareti delle moschee di Gaza e della Cisgiordania. Prontamente l’esercito israeliano ha alzato il livello di sicurezza in tutto il territorio, in modo particolare, al confine con la Striscia di Gaza. Infatti, proprio da Gaza, c’è stata la prima reazione: due o tre razzi sono stati lanciati verso Israele, in zone aperte, senza provocare né danni, né vittime. Mentre nel pomeriggio di ieri, sempre dalla Striscia, sono partiti altri razzi contro Israele, che hanno ferito tre persone. Il sistema di difesa missilistica, Iron Dome, però, non è riuscito a intercettare due dei sei lanci che hanno preso di mira aree abitate, un tasso di perdita insolitamente alto per un sistema di difesa aerea ritenuto affidabile, soprattutto considerando che l'attacco è avvenuto in pieno giorno. Altri sedici razzi si sono schiantati, invece, in aree disabitate. In precedenza, erano state attivate sirene di allarme nel kibbutz Saad, nel Negev.

Da Gaza, la Jihad islamica ha accusato Israele di essere responsabile della morte in carcere di Adnan. «Questo crimine – ha avvertito in un comunicato – non passerà senza una reazione». «Riteniamo l'occupazione criminale e il suo governo estremista pienamente responsabili di questo crimine premeditato - ha affermato Hamas in una dichiarazione separata - l'occupazione israeliana pagherà il prezzo di questo crimine». L’organizzazione terroristica ha anche promesso di vendicare la morte di Adnan, definendola un assassinio. Un altro fatto di cronaca si è registrato, poche ore dopo, in Cisgiordania: degli spari hanno raggiunto un’auto di coloni israeliani, provocando il ferimento di uno. 

Dopo la morte di Adnan, le strade di Kafar al-Labac, a est di Tulkarm, nella zona nord-occidentale della Cisgiordania, sono state invase dagli abitanti del luogo per protestare contro la repressione israeliana. Le forze di sicurezza hanno usato gas lacrimogeni per disperdere la folla e molti manifestanti sono stati ricoverati per possibili intossicazioni.

Nel frattempo, sono proseguite le incursioni israeliane sul territorio siriano e ancora una volta è stato preso di mira l'aeroporto di Aleppo. Secondo l'Osservatorio per i diritti umani, un militare sarebbe stato ucciso e otto civili feriti.

Se la situazione politica è cupa, uno spiraglio di speranza, per i pochi cristiani che vivono in quella terra, si è registrato venerdì scorso, quando nella chiesa di Nostra Signora della Visitazione a Zababdeh, un villaggio non distante da Jenin, è stata celebrata l’ordinazione presbiterale di Fr. George Haddad, della Custodia di Terra Santa. La cerimonia, presieduta da mons. Youssef Matta, arcivescovo di San Giovanni d'Acri, Haifa, Nazaret e di tutta la Galilea per i cattolici melchiti, è stata celebrata secondo il rito della liturgia greco-cattolica. Fr. George ha voluto ringraziare i suoi genitori, i fratelli e la sua famiglia “di adozione”. «Attraverso concreti e semplici esempi di vita mi hanno insegnato che il Vangelo non è soltanto una parola da ascoltare, ma è un annuncio da vivere e testimoniare nella quotidianità. Ringrazio soprattutto – ha continuato fr. George - i frati delle comunità, con i quali ho condiviso la vita e gli studi, Betlemme, Montefalco, La Verna, Ein Karem e San Salvatore, facendo della nostra esistenza il luogo privilegiato scelto dal Signore per rivelare il suo amore e riconoscere le sue meraviglie».