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CHIETI

In nome del popolo italiano: giudice demolisce la campagna vaccinale

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Per la prima volta un giudice afferma in sentenza gli errori della campagna vaccinale definendola «approssimativa» e prosciogliendo due cittadini denunciati per interruzione di pubblico servizio. Il gip di Chieti dà loro ragione perché insistevano nel chiedere informazioni sui rischi al medico vaccinatore, che ora il giudice ha fatto indagare dal Pm. 

Attualità 28_11_2023

«Una campagna vaccinale interamente caratterizzata da approssimazione e aporia, fondata sul presupposto della dichiarata situazione d’emergenza; Le domande sulle reazioni avverse non sono pretestuose»; «Basterebbe avere riguardo all’assenza di farmacovigilanza attiva ed all’incongruenza dei dati»; «Come noto, le scelte del decisore politico si sono rivolte a favorire il più possibile la campagna di vaccinazione, sulla base di presupposti di efficacia e sicurezza dei sieri assunti quasi come postulato, senza comprendere appieno cosa hanno accertato le agenzie regolatorie».

Il giudizio più lapidario che un giudice italiano - finora - abbia mai pronunciato “in nome del popolo italiano” sulla campagna vaccinale è scritto nelle 16 pagine di una sentenza di “non luogo a procedere” del 22 settembre 2022. Due cittadini di Guardiagrele, Pietro Ferrante e F.A., erano stati raggiunti da un decreto penale di condanna perché, con le loro domande insistenti al medico vaccinatore, avrebbero interrotto le operazioni di vaccinazione costringendo i sanitari a chiamare i carabinieri.

A pronunciarla è stato il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Chieti Luca De Ninis, che non solo ha prosciolto i due, ma ha anche rimandato la posizione del medico al Pm di Chieti, ordinando alla Procura di indagare la dottoressa che si era rifiutata di fornire le informazioni sul vaccino.

La sentenza del Gip di Chieti, pubblicata su La Verità sabato, è di portata storica perché le parole che il giudice esprime “in nome del del popolo italiano” sulla vaccinazione sono decisamente dirpompenti e critiche sulla campagna vaccinale trattata trionfalmente da autorità e media.

Riavvolgiamo il nastro: F.A. e Pietro Ferrante il 19 febbraio 2022 vengono denunciati dai carabinieri perché «turbavano la regolarità del servizio vaccinale… (insistendo) per un certificato di esenzione, formulando domande pretestuose e ostacolando il regolare deflusso dei pazienti in coda». Il giudice riconosce pienamente il loro diritto di fare domande, come sancito dall’articolo 32 della Costituzione, che afferma il consenso informato. In sostanza, uno in qualità di testimone e l’amico “vaccinando”, si sono recati al centro vaccinale per pretendere la prescrizione medica della vaccinazione e il consenso informato sui rischi dell’inoculo. Ma la dottoressa, spazientita, ha chiamato i carabinieri. E i due sono finiti nel decreto penale di condanna della Procura, poi annullato dal Gip De Ninis.

Il giudice ha dato invece ragione ai due che chiedevano informazioni e lo ha fatto ricordando che il vaccino è un farmaco RRL, cioè per il quale serve una prescrizione medica specifica e nella sua sentenza spiega anche per quale motivo Aifa e Fnomceo sbagliarono nell'interpretazione sul concetto di prescrizione medica. Ma c’è di più.

Il giudice ha riconosciuto che non era facile dare delle informazioni perché il vaccino era ancora sperimentale. Si tratta di un’affermazione clamorosa. Inoltre, aggiunge che «i produttori hanno sottoposto al trattamento anche i soggetti appartenenti al gruppo placebo, così interrompendo il confronto randomizzato e controllato dei due gruppi, solo dopo fornendo gli ulteriori dati già acquisiti, evidenzianti la rapida diminuzione di efficacia per sostenere la necessità del cosiddetto booster». Si tratta del cosiddetto gruppo di controllo venuto meno che fece “sballare” il confronto tra vaccinati e no.

Inoltre, riconosce che la parte offesa è chi doveva scegliere tra il «fornire un consenso al buio o subire significazioni limitazioni della propria libertà». Un’altra affermazione di importanza capitale che fa a pezzi il green pass.

Anche sul rapporto rischi/benefici ci sono cose importanti. De Ninis riconosce che la dottoressa avrebbe dovuto disporre «gli esami necessari per valutare specificamente la compatibilità e l’utilità per il paziente sotto il profilo del rapporto tra il beneficio atteso e il rischio di eventi avversi». Questo è un riconoscimento del corretto rapporto rischi/benefici che non è mai collettivo, ma sempre personale.

«L'eccezionalità di questa sentenza del gip di Chieti - ha dichiarato alla Bussola l'avvocato di Ferrante Marino Marini, del Foro di Roma - a mio parere risiede nel fatto che i due indagati si erano recati presso il centro vaccinale dell’Ospedale di Guardiagrele (CH) al fine di avere spiegazioni sul medicinale (vaccino o siero) che sarebbe stato inoculato in quella sede e per avere delucidazioni in merito al contenuto del consenso informato per poi decidere se sottoscrivere o meno l’apposito modulo. Il giudice, nel rigettare la richiesta di decreto penale di condanna avanzata dal pubblico ministero nei confronti dei due indagati, non solo non emette il decreto penale, ma invita la Procura di Chieti ad avviare un’indagine nei confronti del medico o dei medici che si erano rifiutati di dare le informazioni richieste».

Marini ha sottolineato il fatto che «il giudice ha spiegato con una lunga ed attenta ricostruzione dei fatti che i vaccini (che chiama “sieri”) sono farmaci, per cui è richiesta la prescrizione medica; dunque che è diritto del paziente avere tutte le necessarie informazioni in merito al farmaco su cui dare il consenso informato, consenso che non consiste in una semplice firma».

Nessuna volontà, perciò, di interrompere il pubblico nella richiesta di F. di avere risposte precise su quali esami avrebbe dovuto fare in base alla sua situazione clinica e neppure nella sua richiesta di ottenere un esonero temporaneo al fine di non sottoporsi ai tamponi per avere il green pass.

«Anzi il Giudice - prosegue il legale - specifica che eventualmente i profili di responsabilità penale potrebbero ravvisarsi nei confronti del medico che si rifiuta di fornire le risposte al paziente e che chiama le forze dell’ordine. Infatti, il Gip specifica che è proprio questo comportamento, messo in atto dal medico, a costituire la causa della lunga discussione e dunque a causare l’interruzione del servizio di vaccinazione».

In conclusione, «il paziente che rivolge domande al medico per avere un consenso informato non turba né ostacola la regolarità del servizio vaccinale. Tutt’al più lo fa il medico che si rifiuta di dare risposte al paziente e che chiama le forze dell’ordine».

Che cosa succederà ora?

Attualmente, il medico vaccinatore risulta indagato, ma la Procura ha già chiesto l’archiviazione; il Gip De Ninis si è dovuto astenere avendo già dato il suo giudizio nella sentenza di proscioglimento nei confronti di Ferrante e F.A.; dunque il presidente del tribunale di Chieti dovrà nominare un altro Gip, il quale potrà archiviare la posizione del medico, chiedere al pubblico ministero di fare altre indagini oppure formulare l’imputazione nei confronti del medico stesso.

Al di là di come si concluderà questa vicenda, che riguarda solo l’interruzione di pubblico servizio per il medico, è sicuro che i cittadini non hanno interrotto un pubblico servizio pretendendo di essere informati a dovere dai medici, cosa che però non è avvenuta e non è avvenuta per milioni di cittadini italiani.

Non sappiamo se farà scuola, ma di sicuro questa sentenza è storica perché afferma concetti sulla sperimentalità del vaccino, sull’assenza di consenso informato e sul rapporto rischi/benefici, che sono clamorosi e che sono stati negati dalle autorità sanitarie per tutta la campagna vaccinale che di trionfale aveva soltanto il nome.



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