Immigrazione, le due facce della politica italiana
Mentre Di Maio si recava a Tripoli per concordare una strategia comune con il governo libico, per arginare il flusso migratorio nel Mediterraneo, il ministro Lamorgese si vedeva con le Ong ascoltando tutte le loro richieste. Che sono quelle di soccorrere e trasportare in Italia, come se il confine non esistesse. Stesso governo, stesso problema, due politiche opposte.
Da un lato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che vola di nuovo a Tripoli per cementare i rapporti con la Libia incluso il supporto alla Guardia Costiera libica impegnata con successo ad arginare i flussi di migranti illegali diretti in Italia. Dall’altro il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese che incontra un paio di Ong facendosi dettare raccomandazioni da chi vorrebbe stracciare gli accordi tra Roma e Tripoli e imporci ondate di clandestini. Il disallineamento all’interno del governo sull’emergenza migratoria, sempre più grave con l’arrivo dell’estate, potrebbe finire presto sul tavolo di Mario Draghi impegnato finora a gestire altre priorità ma che a Tripoli, il 6 aprile, aveva espresso apprezzamento per l’operato del governo libico e della sua Guardia Costiera e in Europa sta cercando di coinvolgere i partner nella gestione del fardello dell’accoglienza.
La missione di Di Maio a Tripoli, la seconda in due mesi (affiancato dal commissario europeo all'Allargamento ed alla Politica di vicinato, l’ungherese Oliver Varhely e dal ministro degli esteri maltese Everist Bartolo) ha voluto mostrare la determinazione di Bruxelles e Roma nell’offrire supporto alla Libia “per la pace e la stabilità a sostegno del governo di unità nazionale". La missione ha avuto anche il compito di preparare l’imminente visita a Roma del premier libico Abdul Hamid Dbeibah accompagnato dai ministri di Esteri, Interni, Economia, Petrolio e Trasporti, con in cima all’agenda la cooperazione economica e i flussi migratori illegali. Il ministro degli Esteri libico, la signora Najla Mangoush, ha sottolineato come «la Guardia costiera dovrebbe fare parte della strategia per combattere il fenomeno e non la soluzione» e ha sottolineato l'importanza di «proteggere i confini meridionali» libici e di «rafforzare la collaborazione con l'Ue per la sicurezza di quelle frontiere». A Roma, l'ambasciatore libico Omar al Tarhouni ha ribadito che la Guardia Costiera e la Marina stanno lavorando al massimo per fermare le partenze.
Sempre venerdì, in un contesto diverso quale la riunione informale dei Ministri delle Difesa dell'UE a Lisbona, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha sottolineato che «gruppi terroristici in Africa rappresentano una minaccia per tutta l'Europa e i suoi cittadini. È necessario adottare una nuova strategia congiunta euro-africana per contrastare i traffici illeciti di droga, armi e esseri umani». Guerini ha poi aggiunto, parlando dell’operazione navale Ue, che «è essenziale riprendere il ruolo della Missione Irini nell'equipaggiamento e addestramento della Marina e Guardia Costiera libica».
Ben altro approccio è emerso invece nell’incontro tra il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese e i rappresentanti delle Ong Emergency, Medici Senza Frontiere, Mediterranea Saving Humans, Open Arms, ResQ-People saving People, Sea-Watch e Sos Mediterranee. Un incontro in cui il Viminale non ha impartito disposizioni, peraltro quanto mai necessarie, quali il rispetto delle leggi da parte delle navi delle Ong (alcune sotto inchiesta) o la necessità che in base al diritto di bandiera sbarchino i clandestini nei paesi di bandiera delle loro navi. Al contrario, dai resoconti emersi sembra sia stata la “lobby dei soccorsi” a esprimere richieste quali il rilascio delle navi sotto sequestro e pretendendo che «le discussioni sulle politiche migratorie non possono diventare un impedimento al soccorso in mare». Evidente come questi soggetti privati continuino ad arrogarsi il diritto di ignorare i confini nazionali mentre, da quanto si apprende, Lamorgese ha sottolineato «l'esigenza immediata di una più forte solidarietà a livello europeo in materia di ricollocamenti dei migranti, sollecitando in particolare il coinvolgimento dei Paesi di riferimento delle Organizzazioni non governative e degli Stati di bandiera delle loro navi». Richiesta quanto meno irrealistica considerato che le Ong europee da sempre operano per sbarcare in Italia (e solo in Italia) i clandestini raccolti in mare. Il ministro Lamorgese si è resa conto che gli stati di bandiera delle navi delle Ong non hanno mai offerto un porto se non quando Roma, con Matteo Salvini al Viminale, li negava?
Il ministro ha poi sottolineato che una chiave per «meglio regolare i flussi migratori e per contrastare il traffico di essere umani è rappresentata da un'intensificazione dei corridoi umanitari con la Libia, in modo da consentire innanzitutto l'evacuazione di nuclei famigliari e di soggetti vulnerabili, garantendo allo stesso tempo, attraverso la preziosa opera dell'Unhcr e dell'Oim, il rispetto dei diritti umani nei centri allestiti nel Paese nordafricano». Resta però evidente che potenziare i corridoi umanitari e il controllo delle agenzie dell’ONU sui campi in Libia ha un senso solo per rimpatriare i migranti illegali nei paesi di origine, in caso contrario si finirebbe solo con l’incoraggiare ulteriori flussi e arricchire i trafficanti.
«Se le parole d'ordine che escono dall'incontro di oggi al Viminale sono più dialogo e collaborazione con le Ong, non le condivido. Mi sarei aspettato ben altro: rispetto delle regole e delle leggi, visto che le Ong nel Mediterraneo fanno quello che vogliono», ha commentato giovedì Nicola Molteni, sottosegretario all'Interno e responsabile Immigrazione della Lega. «Impossibile dialogare con chi viola le convenzioni internazionali e le leggi nazionali. Appaltare la sicurezza del Paese alle Ong è molto pericoloso. C'è un codice di condotta per le Ong che non viene rispettato. Pensavo che si sarebbe parlato di quello, con obblighi e sanzioni per le Ong». Circa le diverse valutazioni emerse all’interno del governo è intervenuto anche il deputato leghista Raffaele Volpi, presidente dimissionario del Copasir. «Guardo con positivo interesse all'approccio che in questi giorni hanno messo in campo il ministro della Difesa ed il ministro degli Esteri dando una dimensione strategica alla presenza italiana ed al rafforzamento delle azioni di stabilizzazione della sponda meridionale del Mediterraneo e delle regioni Sahel individuandole come priorità per gli interessi nazionali e per la sicurezza del nostro Paese anche in merito ai flussi migratori. Individuo però una divergenza significativa e difficilmente comprensibile con le politiche di un altro primario ministro, centrale sugli eventi migratori, che nel contempo intraprende iniziative che individuano interlocutori non compatibili, per certi aspetti, con indirizzi condivisi di fermezza e reciprocità».
L’incremento degli sbarchi in Italia sta riportando alla ribalta anche i costi per l’accoglienza a causa dei bandi presso le prefetture per accogliere migliaia di clandestini in arrivo (14.054 quelli sbarcati da inizio anno): costi decisamente lievitati anche per l’incremento dei contributi assegnati alle organizzazioni che gestiscono i migranti, che erano stati pesantemente ridotti e portati agli standard europei da Salvini. Un incremento varato dal ministro Lamorgese ma non attribuibile all’attuale governo, bensì all’esecutivo Conte 2, trattandosi di un decreto ministeriale del febbraio scorso. Come evidenzia un documentato articolo de Il Tempo un piccolo centro da 50 posti costava fino a ieri al contribuente 389.637 euro all’anno, che salgono con gli aumenti stabiliti dalla Lamorgese a 524.505 euro (+ 35%). Per un centro da 100 posti il costo annuo sale da 921.625 euro a 1.210.340 euro (+ 31,32%), per centro da 300 posti il costo annuale a pieno regime passa da 2,7 a 3,1 milioni di euro (+13,78%), per uno da 600 posti si passa da 3,8 milioni a 5,54 milioni di euro (+ 44,13%) mentre per un centro da 900 si passa da 5,6 a 8,1 milioni (+ 44,08%). Costi e rincari destinati a sollevare giustificate polemiche considerate le condizioni economiche in cui versano tanti italiani.