Il vento che ha causato la tempesta sacrilega
Le nostre chiese vengono considerate meno di un supermercato, il Signore, presente nell’assemblea, nel suo ministro, nella Parola proclamata, nell’azione sacra e nell’Eucaristia è ignorato dalle gerarchie: siamo stati noi cristiani ad aver steso un tappeto rosso ai nuovi sceriffi. La colpa remota? Quella che abbiamo documentato per mesi con le nostre inchieste #salviamolechiese e #salviamolamessa. Si può però cambiare rotta così…
Chi semina vento, raccoglie tempesta. Dovremmo dunque guardare in faccia alla tempesta di questo periodo diabolico, che in pochissimo tempo ha azzerato il rispetto dei più elementari diritti delle persone, in primis quello relativo alla libertà religiosa; guardarla, interrogarla, per capire quale vento seminato l’abbia causata, così pesante e così persistente.
Le nostre chiese vengono considerate meno di un supermercato, le nostre Messe proibite come un qualsiasi concerto, il soccorso sacramentale ai malati impedito, come se si trattasse di andare a prendere un caffè in compagnia di amici. L’emblema di come una (in)civiltà, nella quale la barbarie e la rozzezza sono divenuti la normalità, è il carabiniere che ha intimato a don Lino di interrompere la celebrazione: la sua consapevolezza di cosa sia una Messa è paragonabile a quella di un quadrupede nei confronti della Divina Commedia.
L’episodio è oltremodo eloquente, allorché si rifletta sulla reazione del vescovo di Cremona, Mons. Antonio Napolioni: «Il comportamento del parroco è in contraddizione con le norme civili e le indicazioni canoniche, che ormai da diverse settimane condizionano la vita liturgica e sacramentale della Chiesa in Italia e della nostra Chiesa cremonese». Don Lino, e i fedeli presenti, accusati pubblicamente di essere dei cittadini indisciplinati e dei cristiani disobbedienti, e il Signore, presente nell’assemblea, nel suo ministro, nella Parola proclamata, nell’azione sacra, e in modo sostanziale nell’Eucaristia, Lui, il Signore, semplicemente ignorato dal suo ministro, il Vescovo, che vergognosamente non trova nemmeno una parola per dire che il carabiniere ha profanato un luogo sacro, una celebrazione sacra.
Questa è la terribile verità di quanto sta accadendo in questi giorni di arresti domiciliari: siamo stati noi cristiani, ed in particolare i ministri sacri, ad aver steso un tappeto rosso ai nuovi sceriffi e ad abusi di ogni genere. La colpa prossima? Quella di non aver battuto ciglio di fronte ad un DPCM che tratta le Sante Messe alla stregua di cerimonie civili o eventi ludici. La colpa remota? È quella che abbiamo documentato per mesi con le nostre inchieste #salviamolechiese e #salviamolamessa.
Le chiese sono state usate come mense per i (presunti) poveri: perché stupirsi se le si vuole chiuse o inaccessibili, come i ristoranti? Sono state prestate per concerti e spettacoli, spesso con la scusa di raccolte fondi: perché meravigliarsi che vengano proibiti “eventi religiosi” all’interno? Le Messe sono divenute l’ambiente delle più stomachevoli leggerezze e profanazioni, che hanno tolto loro ogni parvenza di sacralità: perché lamentarsi che lo sceriffo, in un momento di gloria personale, venga ad interromperle?
I pastori hanno rinunciato a difendere la peculiarità della Chiesa di essere il Corpo mistico di Cristo, il prolungamento del Dio incarnato nella storia: per paura o per mancanza di fede. Poco importa. Quello che stiamo vivendo è una tragedia, di fronte alla quale la crisi sanitaria, sociale ed economica sono, pur nella loro gravità, dei semplici raffreddori. Perché noi viviamo l’oscuramento della Chiesa ad opera dei suoi stessi pastori: il sole non dà più il suo calore, la luna non illumina più. Perché stupirsi che nel mondo scende l’oscurità?
I nostri pastori sono stati i primi a dire: prego, entrate nelle nostre chiese e fatene un po’ quello che vi pare, purché lo scopo sia filantropico. Sono stati loro i primi a spiegare che la Messa è una bella festa dove ci ritroviamo tutti insieme per la condivisione di non si sa bene che cosa, e adesso, coerentemente, applaudono alla sospensione delle Messe come segno di responsabilità verso gli altri e bacchettano o abbandonano quei preti e quei fedeli che invece continuano a credere che la Messa sia più necessaria del pane e della salute. Quei pastori che hanno promosso o permesso delle celebrazioni indegne di Dio ed indegne dei cristiani, sono i primi a non capire (o non voler capire) che il sacrificio di Cristo non può essere messo sul tavolo delle trattative con il Governo (posto che ci siano state delle trattative) come qualsiasi altra attività sociale. E questa incomprensione è diventata cecità, a causa delle continue e reiterate omissioni nel far rispettare il luogo santo e le celebrazioni liturgiche, quando ancora i DPCM non erano presenti nemmeno negli incubi più oscuri.
Si può ancora ritornare, si può ancora cambiare strada, si può ancora fare penitenza. Si può e preghiamo che anche lo si voglia.