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CHIESA E PANDEMIA

"Il vaccino non fermava il Covid": altra colpa morale per i vescovi

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L'ammissione di Aifa sull'inefficacia dei vaccini anti-Covid per impedire il contagio riapre la questione della loro liceità. E della sudditanza dei pastori che, senza porre domande, hanno spinto all'inoculazione di massa.

Attualità 17_08_2024 English
CARLO LANNUTTI - IMAGOECONOMICA

La recente ammissione dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) fa ritornare nuovamente in primo piano il problema morale dei vaccini. Nella risposta all'Associazione Arbitrium PSG, AIFA ha candidamente scritto nero su bianco che «nessun vaccino Covid-19 approvato presenta l’indicazione “prevenzione della trasmissione dell’infezione dall’agente Sars cov-2”». Nessun freno al contagio.

Se si pone attenzione all'affermazione, si comprende come essa non sia l'esito di una scoperta postuma, per la serie: ci era stato confermato dalle aziende produttrici che questi preparati avrebbero fermato il contagio, ma ci siamo accorti che così non è stato. Niente affatto. AIFA ha invece dichiarato che mai si è riconosciuto che questi sieri a mRna fossero in grado di arrestare la trasmissione del Sars cov-2. Diversi mesi prima, nell'ottobre del 2023, l'esito di un'interrogazione di alcuni parlamentari europei – tra i quali l’italiana Francesca Donato – all'Agenzia Europea del Farmaco (EMA), aveva portato alla stessa conclusione (vedi qui): «Avete ragione a sottolineare che i vaccini COVID-19 non sono stati autorizzati per prevenire la trasmissione da una persona all'altra. Le indicazioni sono per la protezione degli individui vaccinati».

Sulla protezione degli individui vaccinati caliamo un velo pietoso, perché bisognerebbe domandare agli innumerevoli danneggiati, riconosciuti o meno, cosa ne pensino di tale protezione. Ed anche a coloro che, dopo essersi vaccinati, si sono ammalati più volte di Covid. A noi interessa il fatto che fin dall'inizio era noto che questi preparati non servissero per bloccare la trasmissione del Sars cov-2.

Nella Nota sulla moralità dell’uso di alcuni vaccini anti-Covid-19 del 21 dicembre 2020, pubblicata dall'allora Congregazione per la Dottrina della Fede (oggi Dicastero), si precisava che, dal momento che tutti i preparati disponibili erano stati realizzati utilizzando linee cellulari provenienti da feti abortiti, per potersene avvalere lecitamente dovevano concorrere alcune circostanze. Così riassume la Nota, al n. 3: «Il dovere morale di evitare tale cooperazione materiale passiva non è vincolante se vi è un grave pericolo, come la diffusione, altrimenti incontenibile, di un agente patogeno grave».

Il ragionamento è il seguente. Poiché il problema morale delle linee cellulari provenienti da feti abortiti esiste – checché ne dica la Nota del 2017 della Pontificia Accademia per la Vita (su questo, vedi L'idolatria dei vaccini, Fede & Cultura, 2022) –, occorre opporsi a questa piaga anzitutto condannando questa produzione; la cooperazione formale, ossia l'approvazione della liceità di ricorrere a tessuti prelevati da bambini abortiti, è sempre gravemente colpevole, a qualsiasi livello. Quanto invece al loro concreto utilizzo è normalmente vincolante rifiutare quei farmaci realizzati con queste linee cellulari; poiché la persona che semplicemente usufruisce di questi farmaci, coopera con chi ha realizzato l'aborto e prodotto tali linee solamente in modo remoto, materiale (cioè non approva) e passivo, vi sono delle situazioni in cui tale ricorso è moralmente lecito. La Nota parla appunto di «grave pericolo», come quello della trasmissione di un patogeno grave.

Ora, l'ammissione di AIFA ufficializza che questi vaccini non erano stati autorizzati in virtù del fatto che fossero in grado di contenere il contagio. Questo rilievo carica i comportamenti dei vescovi e del Papa stesso, che hanno spinto alla vaccinazione, di un'ulteriore gravità morale. Ulteriore, perché non si può e non si deve dimenticare che il famoso “atto d'amore”, che aveva gravato le coscienze dei fedeli di una sorta di senso del dovere a recarsi negli HUB vaccinali e si era trasformato di fatto in un concreto ricatto, soprattutto nei confronti di sacerdoti, religiosi, catechisti, ha spinto migliaia di persone a farsi inoculare un preparato di cui non si sapeva praticamente nulla. Anzi, si sapeva chiaramente che non erano stati effettuati i fondamentali studi di tossicocinetica, genotossicità e carcinogenicità. In sostanza, si è incoraggiata la gente ad offrirsi come cavie, in nome di un “atto d'amore”, che già si sapeva non essere affatto tale, dal momento che il vaccino non fermava il contagio.

Dunque, a questa enorme responsabilità morale dei nostri pastori, che hanno sulla coscienza migliaia di danneggiati, se ne aggiunge un'altra, ossia quella di aver raccomandato alle persone di compiere un atto moralmente riprovevole, dal momento che la vaccinazione non era affatto un mezzo per fermare la trasmissione di un grave patogeno.

Si potrà obiettare che all'epoca le cose non erano così chiare. In realtà, sarebbe stato sufficiente documentarsi e porre agli enti competenti, come l'AIFA e l'EMA, le opportune domande per chiarire molti aspetti in ombra dei vaccini. Le Conferenze Episcopali e i singoli vescovi, per non parlare della Santa Sede, avevano il dovere di documentarsi per poter avere sufficienti elementi per una valutazione morale della vaccinazione. Invece, questo non è stato fatto e ciò costituisce una grave colpa da parte delle autorità ecclesiastiche, che hanno tradito la fiducia delle persone e azzerato la resistenza contro questo mercato illecito dei tessuti fetali di bambini abortiti, preferendo mostrarsi perfettamente in armonia con il pensiero dominante.

L'esito devastante è che la Chiesa cattolica non è apparsa – e continua a non apparire – un bastione di resistenza contro i poteri di questo mondo, pieni di menzogna e assetati di potere e controllo, per i quali gli uomini valgono meno delle mosche. I pastori hanno mancato al loro dovere di vigilanza, protezione e resistenza contro il delirio tecnoscientifico che sta mietendo vittime a volontà, a monte e a valle di questi preparati. Conviene che se ne rendano conto, prima che giunga il giudizio. E non di questo mondo.



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