"Il re è nudo", rivolta contro il comunismo a Cuba
Cuba si ribella contro il regime comunista, per la prima volta in modo così massiccio da sessant’anni a questa parte. Non è una rivolta armata, ma una serie di manifestazioni pacifiche organizzate in tutte le città dell’isola caraibica. Il loro impatto è ancor più profondo per un regime a partito unico, al potere da 62 anni.
Cuba si ribella contro il regime comunista, per la prima volta in modo così massiccio da sessant’anni a questa parte. Non è una rivolta armata, ma una serie di manifestazioni pacifiche organizzate in tutte le città dell’isola caraibica. Il loro impatto è ancor più profondo per un regime a partito unico, al potere ininterrottamente da 62 anni, ormai incapace di rinnovarsi.
Migliaia di persone hanno scelto di scendere in piazza, sfidando apertamente e a volto scoperto l’inevitabile repressione poliziesca. La protesta è incominciata a San Antonio de los Baños, domenica, nella regione occidentale di Cuba. Poi è dilagata come un incendio estivo in tutto il resto del Paese, coinvolgendo fino a 40 città contemporaneamente, compresa l’Avana, la capitale. I manifestanti scandivano slogan contro il regime, “Libertà” e “Patria e vita”. In alcuni casi sventolavano anche le bandiere degli Usa, in spregio a un Partito che addita gli “yankee” come i colpevoli di tutti i mali del Paese.
Lunedì si sono tenute manifestazioni di solidarietà, organizzate dalle comunità cubane sparse in varie città del mondo. A Miami, soprattutto, la folla di manifestanti era immensa. Più piccola, ma presente, anche la comunità cubana a Roma che ha tenuto, ieri, una spontanea manifestazione di fronte all'ambasciata cubana.
La repressione, a Cuba, non si è fatta attendere. Lunedì, il presidente Miguel Diaz Canel, succeduto a Raul Castro nel 2018 alla guida del Paese e nel 2020 anche del Partito Comunista, ha chiamato a raccolta i suoi sostenitori, con un discorso molto bellicoso in cui attribuisce tutte le colpe agli Usa e incita a “riconquistare le strade”. «L’ordine di combattere è stato dato, scendete in strada, rivoluzionari!». Diaz Canel riconosce alcuni motivi legittimi della protesta, come i blackout che si sono verificati nelle ultime settimane e hanno peggiorato ulteriormente una situazione economica già critica. «La crisi energetica sembra aver prodotto alcune reazioni – ha detto il presidente, dando però la colpa della mancanza di carburante alle sanzioni imposte dall’amministrazione Trump. Poi ha accusato la “mafia cubano-americana” di Miami per l’organizzazione della protesta.
«Il capitalismo non tonerà mai in quest’isola e prima che questi mercenari pagati dall’Impero tornino in piazza, dovranno ucciderci tutti», ha dichiarato all’agenzia Afp Candido Abrines, uno dei leader della contro-manifestazione, scendendo in piazza con i militanti comunisti. I volontari del Partito, armati di bastone, le cosiddette “brigate di reazione rapida”, assieme ad agenti in borghese, agenti del controspionaggio e polizia anti-sommossa, presidiano le strade dell’Avana e delle altre città in sommossa. La polizia ha anche iniziato ad arrestare i leader delle manifestazioni, un’ottantina solo il primo giorno, fra cui José Daniel Ferrer, l’artista visuale Luis Manuel Otero e il poeta Amaury Pacheco.
Ma cosa ha spinto i cubani a sfidare l'apparato repressivo, a volto scoperto e protestando in piazza senza paura? Per Juan Almeida, figlio di uno dei leader rivoluzionari di Cuba, ora dissidente e residente a Miami, la ribellione attuale non è paragonabile a quella del 1994, seguita alla prima grave crisi economica. Allora i cubani chiedevano di poter fuggire liberamente dalla fame, adesso invece, «Nessuno grida di voler lasciare Cuba. Stanno chiedendo a Diaz Canel di dimettersi».
Le proteste sono state organizzate in più città grazie all’uso dei social network. Le prime timide riforme di apertura a Internet, divenuta relativamente libera solo nell’ultimo decennio e la diffusione degli smart phone, iniziata solo nel 2018, sono fattori importanti per spiegare la novità di queste manifestazioni. Per questo, come prima mossa repressiva, il governo ha cercato di chiudere Internet. Il segnale va e viene ad intermittenza, da tutta la giornata di ieri. Come dimostra l’esperienza di tutte le insurrezioni contemporanee, dalla primavera araba in avanti, tuttavia, i governi non sono mai riusciti a porre Internet completamente sotto controllo, né a negarne l’accesso a tutti.
Sulle cause della protesta, a parte le accuse del regime alle sanzioni di Trump e agli Usa in generale, ci sarebbe vasta scelta. Sono molteplici le origini endogene. In primo luogo, una crisi economica che ha portato alla contrazione dell’11% del Pil in un Paese già povero. Il crollo della produttività è dovuto soprattutto all’anno e mezzo di pandemia, che ha ridotto quasi a zero il turismo e ridotto drasticamente le rimesse degli emigranti, due fonti di reddito su cui le famiglie cubane fanno gran conto. Negli ultimi anni, a prescindere dal Covid, è venuta meno anche parte della solidarietà del Venezuela. Anche il regime populista guidato da Maduro è in piena depressione economica e ha ridotto drasticamente le esportazioni di petrolio a prezzo politico.
L’ultima goccia che deve aver fatto traboccare il vaso è un’impennata di contagi di Covid, tenuta nascosta dalla stampa locale il più possibile. “Il re è nudo” deve aver pensato gran parte della popolazione, dopo aver subito un anno e mezzo di propaganda di regime su quanto Cuba fosse generosa ad aiutare le nazioni europee colpite dalla pandemia (prima di tutte l’Italia), con i suoi medici e volontari e ultimamente anche con il “vaccino cubano”, venduto come il più efficiente del mondo. Eppure, alla prima seria ondata di Covid-19, gli ospedali cubani, nel “servizio sanitario migliore del mondo”, hanno iniziato a collassare. Sotto l’hashtag #SOSCuba, cittadini cubani, sui social media, hanno chiesto aiuto all’estero. Vogliono che il governo permetta donazioni straniere (finora vietate) e un gruppo d’opposizione ha anche avanzato la proposta di un corridoio umanitario. Il governo ha respinto queste richieste al mittente, affermando seccato che “Cuba non è zona di guerra”.
Ma non ci si deve limitare alle cause di breve e brevissimo periodo. «Il Covid è solo la ciliegina sulla torta – come ha sottolineato il senatore americano Marco Rubio, di origine cubana – perché qui abbiam a che fare con un regime socialista che dice al suo popolo “voi non avete libertà. Non siete indipendenti. Non potete parlare liberamente, ma avete un ottimo sistema sanitario”. Ma non ce l’hanno».