Il mondo al contrario: non è Vannacci, ma l'Arcigay
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«Agire sulla realtà in modo se vogliamo radicale», dice l'attivista Natascia Maesi. Come ogni rivoluzione anche quella arcobaleno parte dal rifiuto della realtà per scardinarla, liquefarla e in definitiva rovesciarla.
Natascia Maesi è presidente di Arcigay ed è intervenuta al festival IN/VISIBILЗ – elaborazioni intersezionali per il mondo ludico, svoltosi il 13 e 14 aprile scorso a Firenze. Nel suo intervento vogliamo evidenziare tre passaggi. Il primo: «Ho la sensazione che il gioco sia sempre meno una fuga dalla realtà e sempre più un tentativo di trasformare la realtà, di agire sulla realtà in modo se vogliamo radicale, tentando di sovvertirne alcune regole sistemiche e strutturali che ci opprimono come persone LGBTQIA+».
Nel Sessantotto si iniziò a predicare, con sempre maggior efficacia rispetto al passato, non solo lo scardinamento dell’ordine costituito, considerato borghese e castrante la libertà, ma anche la fuga dalla realtà. Vedasi il diffondersi del fenomeno droga ed anche della musica rock, al cui interno c’era e c’è sicuramente la componente della protesta, ma anche quella dell’estraniamento tramite stordimento (si pensi ai rave). Il movimento LGBT non vuole fuggire dalla realtà, crearsi paradisi artificiali tinti di arcobaleno, rinchiudersi in un ghetto sociale, inteso come safe zone, molto autoreferenziale, bensì vuole cambiare la realtà, ossia passare dall’ordine naturale al disordine artificiale.
Secondo passaggio interessante. La Maesi puntualizzava che per giochi LGBT non si può intendere solo quei giochi dove ad esempio i personaggi appartengano a mondi LGBT, perché, in tal modo, si potrebbe scadere facilmente in una operazione di facciata, fittizia, tipica soluzione adottata dalla grande industria o dalle grandi imprese che va sotto il nome di rainbow washing. Questa espressione, assolutamente azzeccata, intende indicare, sostanzialmente, una strategia di marketing volta a posizionare il prodotto nell’ambito della sensibilità LGBT, non solo per renderlo appetibile a questa fetta di mercato, ma soprattutto per presentarlo come gay friendly e quindi per veicolare il messaggio che l’azienda è inclusiva, moderna, progressista, solidale, attenta alla minoranze. La puntualizzazione della Maesi è interessante perché viene, per così dire, da un’addetta ai lavori. Ossia una militante LGBT si rende conto lei stessa della ipocrisia di molti brand che si vogliono fregiare del bollino arcobaleno solo per vendere di più, non certo per convinzioni radicate nel quadro dirigente. Il fenomeno rainbow washing ci fa comprendere allora, di converso, che occorre punire nel portafoglio queste aziende, facendo loro capire che sposare le cause LGBT non paga in termini di vendita.
Terzo argomento toccato dal presidente di Arcigay che merita attenzione. Facendo riferimento al libro postumo di Michela Murgia Dare la vita, la Maesi afferma che quando si parla di queerness non bisogna riferirsi ad una identità precisa, bensì ad «una postura, obliqua, trasversale, anche un po’ scomoda». Questa “postura”, rilievo interessante, dovrebbe essere fatto proprio anche da chi non è omosessuale o transessuale. A cosa si riferisce la Maesi? A nient’altro che a quel processo di liquefazione culturale iniziato dall’Umanesimo, dove la gerarchia delle realtà e dei beni viene rivoluzionata, rovesciata e dove la distinzione identitaria delle realtà viene liquefatta, confusa, mischiata. Un processo che riguarda, come ha sottolineato il presidente di Arcigay, anche e soprattutto il mondo eterosessuale.
Ecco allora che le convivenze assomigliano sempre più ai matrimoni per durata e per il fatto che ormai la generazione travalica i confini coniugali e il matrimonio assomiglia sempre più alle convivenze perché ormai legame precario; il vincolo coniugale viene disintegrato in radice dai “matrimoni” gay; la procreazione allarga i suoi orizzonti e può essere naturale e artificiale; la maternità si trova scomposta in diverse varianti: naturale, surrogata, sociale (la madre sociale è la compagna della madre naturale); la genitorialità è elastica e ricomprende le coppie gay; l’identità della persona umana viene imbastardita con l’innesto di patrimoni genetici di origine animale; l’identità sessuale è polverizzata in una teoria di sessi e di uomini e donne senza sesso; la personalità diventa fluida ed interessa animali e robot; la religione cattolica da unica perché vera confluisce in un’unica religione, ma falsa.
La Maesi, da perfetta e consapevole attivista Lgbt, ha centrato il punto perché ha individuato il principio genetico non solo della teoria del gender, ma di ogni teoria rivoluzionaria: se Dio ha fatto il mondo dritto – lo ha fatto letteralmente “ortodosso” – ora bisogna rifarlo storto, obliquo. Inclinato verso il peggio.
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