Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
L’analisi/3

Il Messale e le modifiche che implicano il popolo

Ciò che i fedeli percepiscono di più è l’Ordinario della Messa, ossia le parole che ricorrono in ogni celebrazione eucaristica. L’aggiunta di “sorelle” riguarda il Confesso e alcune monizioni, ma l’uso del linguaggio inclusivo non è stato generalizzato, evitando così esiti pesanti. Altre modifiche riguardano il Kyrie e, tra i ritocchi meglio riusciti, l’ostensione delle Sacre Specie prima della Comunione.
IL PADRE NOSTRO: DIO NON ABBANDONA MAI, di Rocco Quaglia

Ecclesia 28_11_2020

Ciò che di più si percepisce nella Messa sono le parole che ricorrono in ogni celebrazione, cioè l’Ordinario della Messa. Vediamo dunque alcune tipicità del Messale 2020 in argomento.

PADRE NOSTRO E GLORIA

Sulla modifica di una richiesta del Padre nostro si è già discusso e rimando al già detto (vedi qui e qui).

La modifica del Gloria, dove gli uomini “di buona volontà” diventano «uomini amati dal Signore», è senz’altro positiva. La “eudokìas” di Lc 2,14 è la “buona volontà” di Dio verso gli uomini, che Maximilian Zerwick nell’autorevole Analisi filologica del Nuovo Testamento greco rende con: «gli uomini ai quali Dio vuol bene». La nuova traduzione sostanzialmente dice questo, ricalcando le sillabe precedenti per favorire un facile adattamento alle melodie da tempo acquisite.

FRATELLI E SORELLE

Nel Confesso dell’atto penitenziale i fedeli dovranno pronunciare l’aggiunta “sorelle”: «Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle» (p. 311).

È un’aggiunta che accoglie un’istanza del linguaggio inclusivo, cioè la preoccupazione di non escludere accentuando le differenze. Ciò comporta di rendere al femminile tutti i termini professionali - “la cancelliera” Merkel - e non usare il maschile per indicare sia uomini che donne. Ora, poiché in italiano non esiste il neutro, o si trova un’altra frase, o si aggiunge al maschile il femminile: uomini e donne, fratelli e sorelle: ecco il senso della nuova traduzione.

“Sorelle” trova posto nella monizione che precede il Confesso, ma anche in altre monizioni: al Mercoledì delle Ceneri prima della benedizione delle stesse, alle Palme nell’Ingresso del Signore, alla preghiera del Venerdì Santo, nella Veglia pasquale (benedizione del fuoco, liturgia della parola, liturgia battesimale). E inoltre nel “Pregate fratelli e sorelle” a conclusione dell’offertorio e al ricordo dei morti nelle preghiere eucaristiche.

Qui però casca l’asino perché nella preghiera eucaristica “Per le Messe per varie necessità IV”, quando si arriva ai defunti si dice a Dio: «Ricordati anche dei nostri fratelli e delle nostre sorelle» (p. 531). Però, nella riga immediatamente precedente si chiede che «tutti gli uomini si aprano a una speranza nuova»: solo gli uomini e non le donne? E sette righe prima: «apri i nostri occhi perché vediamo le necessità dei fratelli»: oibò, e le necessità delle sorelle? Dunque, nella stessa pagina c’è un’osservanza e due infrazioni del linguaggio inclusivo.

Una ricerca più accurata svela che il Messale non applica il linguaggio inclusivo a “uomini / tutti gli uomini / tutti”. Ecco qualche esempio: dobbiamo imparare a «obbedire a te (Dio) piuttosto che agli uomini» (p. 521), «O Dio..., che affidi agli angeli e agli uomini la loro missione» (p. 642), Dio «Padre di tutti gli uomini» (p. 155), «tutti i tuoi figli» (p. 199), «Prendete e mangiatene tutti... prendete e bevetene tutti... versato per voi e per tutti» (pp. 418-419). L’elenco sarebbe molto più lungo; in ogni caso proviamo ad aggiungere “donne” a “uomini” e “tutte” a “tutti” e il testo risulterà pesante e a volte ridicolo.

Ancora: nella prima preghiera eucaristica il testo latino chiede a Dio di ricordarsi «dei tuoi servi e delle tue serve / famulorum famularumque tuarum», che il Messale 1983 aveva unificato con: «ricordati dei tuoi fedeli». Sarebbe stata l’occasione per tradurre il maschile e il femminile dell’originale e invece è rimasto “fedeli”. In realtà il latino “famulus” è difficile da tradurre e non significa servo nel senso nostro, ma una sorta di “serva affezionata e fedele” come la manzoniana Perpetua o servi/amici di Dio, così come la Bibbia latina qualifica Giosuè (Gdc 2,8), Aronne (Sap 18,21) e Mosè (Eb 3,5; Ne 1,8; 2Cr 1,3; Gs 1,13.15; 8,31.33; 11,12; 12,6; 13,8 ecc.). I traduttori in questo caso non hanno accettato la sfida.

Le osservazioni non sono una critica ai traduttori, che saggiamente non hanno applicato con rigore il linguaggio inclusivo; sono però una critica ai sostenitori di questo linguaggio, le istanze del quale, soprattutto in liturgia, sono accettabili non oltre il 10%.

E concludo restando nell’ironia: per fortuna gli angeli non hanno corpo né sesso, altrimenti bisognerebbe dire: “gli angeli e le angele”; per non parlare poi dei diavoli, che in genere negli esorcismi si presentano al maschile: il linguaggio inclusivo all’Inferno non funziona?

IL KYRIE ELEISON

Altri termini che i fedeli dovranno pronunciare sono il “Kyrie, Christe, Kyrie eleison”, già presenti nell’atto penitenziale del Messale 1983, ma da adesso oggetto di scelte esclusive o preferenziali. Nel terzo formulario con i “tropi” - es.: Signore mandato dal Padre a salvare ecc. - il Kyrie è esclusivo e non figura più la locuzione italiana “Signore, pietà” (pp. 313-317). Quando poi le invocazioni sono autonome, il Kyrie è la prima proposta seguita da un “oppure” che in seconda istanza prevede il “Signore, pietà” (p. 318): è l’esatto contrario del Messale 1983.

Storicamente le invocazioni, presenti nella liturgia greca, passarono ad altre liturgie, ma sempre in greco, per cui l’attuale scelta si ispira a un uso antico. Privilegiando la terminologia originale, si accenderà forse l’attenzione sullo spirito di questa breve preghiera, che vorrei puntualizzare con alcune annotazioni.

Nella normativa attuale il Kyrie è «un canto col quale i fedeli acclamano il Signore e implorano la sua misericordia» (OGMR 52). L’acclamazione si fonda su Fil 2,11: «Ogni lingua proclami “Gesù Cristo è Signore!”, a gloria di Dio Padre»; la richiesta di misericordia è la stessa pronunciata dai due ciechi (Mt 9,27), dalla donna cananea (Mt 15,22), dal padre dell’epilettico (Mt 17,15), dal cieco (i ciechi) di Gerico (Mt 20,30-31; Mc 10,47-48; Lc 18,38-39), dai dieci lebbrosi (Lc 17,13); si potrebbe aggiungere il pubblicano al tempio, che si batteva il petto, ma con un termine diverso da “eleison”: “(ilàsteti) sii propizio” a me peccatore (Lc 18,13).

Storicamente si discute se il Kyrie sia una formula originale o il rimasuglio di una serie di intenzioni alle quali dava il supporto di ritornello; san Gregorio Magno († 604) nella Lettera a Giovanni di Siracusa del 589 parla di “deprecazione” alternata tra clero e popolo (PL 77,956) e il successivo Ordo Romanus I, che descrive minuziosamente la Messa solenne papale, al n. 52 prevede una certa lunghezza delle invocazioni interrotte a un cenno del Papa. Il Concilio di Vaison del 529 parla di una «dolce e salutare consuetudine» greca e romana da introdursi anche nelle proprie regioni e da recitarsi «con grande affetto e compunzione» (CCL 148A,79).

Anche se non è più sostenibile l’interpretazione medioevale trinitaria, il rivolgersi a Cristo acclamandone la gloria e chiedendone la misericordia e «senza escludere (...) un numero maggiore» di ripetizioni (OGMR 52), «guida egregiamente all’orazione con cui il celebrante porta la preghiera della Chiesa innanzi al trono di Dio, attraverso Cristo Signore nostro» (Jungmann, Missarum sollemnia I, p. 280).

ALTRE MODIFICHE E VARIAZIONI

Alle parole sin qui esaminate e che i fedeli devono pronunciare, bisogna aggiungere ancora sette acclamazioni in alternativa alla risposta “Lode a te, o Cristo” dopo la proclamazione del Vangelo (p. 321). Non figurano nell’originale latino, ma sono inserzioni della CEI.

Segnalo ora alcune piccole modifiche di parole che i fedeli non devono pronunciare, ma che introducono le risposte dei fedeli.

Tra i saluti iniziali è stato opportunamente espunto l’ultimo introdotto nell’edizione del 1983 - «Fratelli, eletti secondo la prescienza di Dio Padre ecc.» -, piuttosto complicato.

Dalla terza forma dell’atto penitenziale sono cadute le espressioni: «meno indegni» e: «chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra» e i testi sono stati rielaborati in meglio (p. 312).

Il rito della pace non sarà più avviato da: «Scambiatevi un segno di pace», ma da: «Scambiatevi il dono della pace» (p. 447), che rende meglio l’originale: «Offerte vobis pacem».

Per il congedo il Messale latino del 2000 ha previsto due formule alternative, che sono state tradotte: «Andate e annunciate il Vangelo del Signore. / Glorificate il Signore con la vostra vita. Andate in pace». La risposta resta: «Rendiamo grazie a Dio» (p. 453).

Uno dei ritocchi meglio riusciti è l’ostensione prima della Comunione, a cui il popolo risponde: «O Signore, non sono degno ecc.» (cfr. il centurione di Cafarnao: Mt 8,8). Intanto si prevede - è una novità - che l’ostia può essere sollevata sul calice mostrando pane e vino, cioè l’intero segno/simbolo dell’Eucaristia. Poi la traduzione del 2020 ha ripristinato l’originale latino tradito dalla traduzione del 1983: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello» (p. 449). Gesù Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo rimanda alla morte sacrificale di Cristo presente nell’Eucaristia e che purifica i fedeli (l’immagine risale a Gv 1,29; lì si parla di “peccato” e i preti “originali” da anni cambiano il testo liturgico). L’invito alle nozze dell’Agnello - cfr.: «Beati gli invitati alla cena di nozze dell’Agnello» (Ap 19,9) -, non tradotto nel Messale 1983, rimanda alla dimensione escatologica dell’Eucaristia nel senso che è attualmente partecipazione della liturgia celeste e pane e vino del cammino verso il Paradiso. Non si poteva sperare traduzione migliore.

L’ostensione delle specie eucaristiche prima della Comunione non è tipica della liturgia latina. Con altre scelte tematiche e di linguaggio, in molte liturgie orientali prima della Comunione dei ministri il sacerdote eleva un poco il Pane consacrato e canta: «Le cose sante ai santi». Alla Comunione dei fedeli, affacciandosi alla porta di comunicazione con il popolo e mostrando il Calice esclama: «Con timore di Dio, fede e amore, avvicinatevi». Durante la Comunione il coro canta: «Della tua mistica Cena, Figlio di Dio, rendimi partecipe: non svelerò questo mistero ai tuoi nemici, né ti darò un bacio come Giuda, ma ti confesso come il ladrone: Ricordati di me, Signore, nel tuo regno». Roba da ortodossi! Con le svolte pastorali di “Avanti tutti così come siete, tanto Dio è buono”, come si potrebbero cantare oggi da noi queste parole?

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