Il Messale? “Nuovo” solo relativamente
L'iconografia adottata è da stigmatizzare. L’impaginazione metterà in difficoltà i sacerdoti anziani. Ma il testo del Messale italiano 2020, che richiede una valutazione a più livelli, è nel suo insieme migliorato rispetto al 1983. Non sono le modifiche al Padre nostro e al Gloria ad aver giustificato questa edizione, bensì alcune nuove orazioni e la generale revisione della traduzione. E tale revisione porta in gran parte il marchio ideale di Wojtyla e Ratzinger.
Chi cerca qualcosa di brillante o stimolante chiuda subito e passi ad altro, perché quanto segue sarà abbastanza arido e molto noioso, anche se necessario a sapersi.
Parliamo del “nuovo” Messale italiano, nuovo solo relativamente. Ho già stigmatizzato l’iconografia (vedi qui) e ci sarebbe qualcosa da rilevare anche sull’impaginazione su progetto grafico di Pierluigi Cerri - “grafico illuminato”, lo definisce Paladino, autore delle immagini - in collaborazione con Marta Moruzzi. Ad esempio la scelta di abbandonare il formato A4 e di eliminare il grassetto porrà più di una difficoltà a sacerdoti anziani ed è chiaro che: a) chi ha fatto queste scelte ha pensato alla Chiesa italiana come a una chiesa asiatica o africana con preti dall’età media di 35 anni; b) chi le ha approvate ritiene che le scelte di un grafico che non ha mai celebrato una Messa siano valide in assoluto e migliori delle indicazioni - a questo punto inutili - che sarebbero potute venire da buoni “preti di canonica”. Ed è chiaro che dietro ai laici c’è stato qualche prete, teologo, liturgista e... torinese, per cui tutto si spiega.
Ma lasciamo perdere e pronunciamo una parola di pace: stomachevole nelle immagini e discutibile nell’impaginazione, il Messale italiano 2020 nel suo insieme è migliorato nel testo rispetto all’edizione del 1983 e questa è certamente una buona notizia, non facile però da cogliere a causa di un’informazione spesso troppo settoriale.
EQUIVOCI DA EVITARE
Più che di “nuovo Messale” si dovrebbe parlare di una terza edizione del Messale italiano con una piccola parte di testi nuovi - ad esempio le orazioni per i santi canonizzati dopo il 1983 - e con tutto il resto revisionato nella traduzione. È l’acquisizione di alcuni nuovi testi dell’edizione tipica latina del 2000 e la revisione integrale di tutto il resto che hanno giustificato una nuova edizione e non il cambiamento di una frase del Padre nostro e del Gloria, nonché le “sorelle” aggiunte ai fratelli nell’Atto penitenziale: se le novità fossero state tutte qui, sarebbe bastato produrre tre o quattro linguette adesive di una riga da incollare sui testi precedenti...
Inoltre il rito della Messa non è cambiato se non in piccoli e quasi impercettibili particolari e dunque non ha senso sospettare un tentativo di protestantizzazione della Messa. Questa tendenza c’è e può aver agito più o meno in certe traduzioni, ma per attivarsi veramente avrebbe avuto bisogno di un’operazione ben diversa dalla revisione di una traduzione.
Stando così le cose, si comprende il timore di certi liturgisti che il nuovo Messale sia accolto un po’ in sordina e senza stupore: mi pare invece normale che così avvenga, in quanto, iconografia a parte, la linea della continuità è prevalente sulla linea della novità.
LA NUOVA TRADUZIONE E I CAMMINI PRECEDENTI
La “nuova Messa” con l’uso della lingua parlata è iniziata il 7 marzo 1965, prima domenica di Quaresima. Paolo VI per la prima volta così la celebrò a Roma nella chiesa di Ognissanti e nell’omelia annunciò che «si inaugura, oggi, la nuova forma della Liturgia (...), un grande avvenimento, che si dovrà ricordare come principio di rigogliosa vita spirituale» e, quanto al linguaggio, «norma fondamentale è, d’ora in avanti, quella di pregare comprendendo le singole frasi e parole, di completarle con i nostri sentimenti personali, e di uniformare questi all’anima della comunità, che fa coro con noi». Dopo cinquant’anni esatti, il 7 marzo 2015, terza domenica di Quaresima, il Romano Pontefice Francesco ha celebrato l’Eucaristia nella stessa chiesa ricordando sobriamente l’anniversario.
Il 7 marzo 1965 si arrivò alla nuova Messa senza disporre di tutti i testi tradotti, per cui fu giocoforza aggiustarsi. Per quanto riguarda l’Italia, la Commissione episcopale per la liturgia, in data 21 dicembre 1964, previde l’imminente uscita di un Messale festivo del celebrante e, per il resto e a giudizio dell’ordinario del luogo, si era autorizzati a ricorrere a messalini esistenti quali Feder-Bugnini, Levebvre, Caronti, V. Franco, Mistrorigo, Cioni (cf. ECEI 1/429).
A mano a mano che le traduzioni progredivano, si sentì il bisogno di modelli e norme codificate. Queste vennero formulate con una prima Istruzione in francese, del 25 gennaio 1969, dall’incipit e dal titolo Comme le prévoit: erano norme sagge e con molte aperture, che hanno orientato la traduzione del Messale italiano del 1973 e soprattutto quella del 1983 usata sino a ieri.
L’esperienza e un nuovo clima ecclesiale originarono l’Istruzione Liturgiam authenticam del 28 marzo 2001, più complessa e da subito osteggiata dai progressisti che la lessero come un ritorno all’indietro. In larga parte questa Istruzione ha guidato la revisione delle traduzioni confluite nell’attuale nuovo Messale, che dunque porta il marchio ideale e spirituale di Giovanni Paolo II e di Ratzinger: la precisazione è doverosa perché alcuni vi vedono il lavoro di novatori a tutti i costi, mentre così non è.
Più vicino a noi, il Romano Pontefice Francesco è intervenuto in argomento con il Motu proprio Magnum principium del 3 settembre 2017, che ha ampliato le facoltà delle Conferenze episcopali nell’approvazione delle traduzioni e nella implicita formulazione di criteri propri. Il Motu proprio, molto breve e che ripete passi di Comme le prévoit ma anche di Liturgiam authenticam, è stato recepito anche come una liberalizzazione dalle presunte strettoie di Liturgiam authenticam, nonostante ribadisca che «ogni traduzione dei testi liturgici deve essere congruente con la sana dottrina». Certamente si è trattato di un vento nuovo anche per quanto riguarda i criteri delle traduzioni - questo non tanto a causa delle parole del Motu proprio quanto per lo spirito con il quale sono state accolte -, un vento nuovo che forse ha influito sulle ultime revisioni del Messale italiano ma non ha annullato con un colpo di spugna il lavoro precedente.
Tornerò una prossima volta su questi documenti. Certamente ognuno di essi ha delle sottolineature alternative all’altro, ma tutti, sia pure in diverso modo, prescrivono da una parte che bisogna essere fedeli al testo originale latino, dall’altra che bisogna adattarlo ai destinatari non soltanto nelle singole parole ma nella loro cultura. Ora, non essendo queste due operazioni delle operazioni matematiche misurabili con esattezza, la valutazione di che cosa privilegiare - e in caso di difetto in che cosa si è mancato o ecceduto - dipende molto all’inizio da chi fa la prima revisione e alla fine da chi sta dietro lo sportello, cioè da chi la deve approvare.
Ciò detto, avendo personalmente interagito con il primo gruppo di revisori della traduzione dell’attuale Messale, credo che sia onesto precisare che se le discussioni teoriche nonché la palese contrarietà a Liturgiam authenticam furono quanto mai accese, poi la realtà si impose beneficamente con la sua forza e di fronte a un testo mal tradotto o a un’idea importante dell’originale latino non espressa nella versione del 1983, tutti pacificamente convenivano che era il caso di correggere. In questo senso ho affermato all’inizio che nel suo insieme il testo del nuovo Messale segna un progresso rispetto all’edizione del 1983.
Comunque l’attuale revisione della traduzione sarebbe stata necessaria anche senza documenti e discussioni, perché la lingua si trasforma sensibilmente e, adottata in liturgia la lingua parlata, bisogna rassegnarsi a una revisione ogni circa 50 anni, ciò che non capitava con il latino.
QUATTRO LIVELLI DI APPROCCIO
La valutazione del nuovo Messale è complessa e bisognerebbe procedere all’esame dei testi tenendo conto di quattro livelli.
1. Ciò che i fedeli devono pronunciare: qui i cambiamenti sono quantitativamente minimi e da soli, come ho già ricordato, non giustificano una nuova edizione del Messale.
2. Ciò che i fedeli sentono con più frequenza: l’Ordinario della Messa e soprattutto le Preghiere Eucaristiche.
3. Ciò che i fedeli sentono con minore frequenza, come le orazioni delle domeniche, ognuna delle quali cade una volta all’anno, così come certi prefazi delle solennità o dei Santi.
4. Ciò che i fedeli non sentono mai e cioè le Premesse (la Costituzione apostolica Missale Romanum di Paolo VI, l’Ordinamento Generale del Messale Romano, le Norme sull’Anno liturgico e il Calendario), testi che non sono da leggersi nella celebrazione, ma da studiarsi da parte del celebrante - ahimè, non tutti i preti li studiano! - e magari da parte di qualche fedele volenteroso. E con le Premesse anche la Presentazione e le Precisazioni della CEI.
È sotto gli occhi di tutti che l’attenzione e le polemiche si sono fermate al primo livello, mentre le scelte dei traduttori - quelle buone e quelle discutibili - sono contenute soprattutto nel secondo e nel terzo livello, per non parlare poi di tanti piccoli ritocchi all’Ordinamento Generale che orientano la comprensione dei riti e talvolta li modificano insensibilmente. È tutto questo materiale che formerà - o per i critici deformerà - i fedeli e non solo né principalmente il cambiamento di una frase del Gloria e del Padre nostro.
Ma analizzare i tre ultimi livelli è lungo e noioso in quanto bisogna sempre confrontare il testo nuovo con quello del 1983 ed entrambi con l’originale latino. «Se il Signore vorrà» (Gc 4,15) proverò a scriverne prossimamente sulla Bussola, spero senza aumentare la noia.
1.continua